Nella procedura VPT sono diversi i parametri da tenere in considerazione per ottenere un buon esito terapeutico: vanno conosciuti tutti e analizzati con attenzione, come spiega Angelo Itri al suo allievo Giacomo Ridolfi.
a cura di Pierluigi Altea
La Vital Pulp Therapy (VPT) è una procedura che permette di evitare la devitalizzazione di un dente quando la polpa è esposta per cause traumatiche, accidentali e cariose. «In letteratura esistono pareri discordanti sulla validità e il successo a lungo termine di questa procedura, tuttavia, nella mia pratica durante il tirocinio», dice Giacomo Ridolfi, studente del sesto anno presso il Corso di laurea di Odontoiatria e Protesi dentaria dell’Università degli Studi di Genova, «l’idea di poter eseguire una procedura veloce e semplice rispetto alla classica terapia canalare, mi ha sempre attirato per poter fornire al paziente una più ampia scelta di terapie per risolvere il caso».
Nella sua pratica durante il tirocinio clinico del sesto anno di Odontoiatria e Protesi dentaria, Ridolfi ha eseguito, sotto la supervione di un tutor, una decina di VPT su denti permanenti.
«In alcuni casi ho dovuto devitalizzare il dente», spiega, «forse perché non ho eseguito una corretta diagnosi di pulpite reversibile: il caso che mostrerò è uno dei miei insuccessi clinici».
Il caso clinico
La paziente (35 anni) si presenta all’attenzione del clinico con la volontà di risolvere il problema dell’accumulo di cibo tra l’elemento 17 e 16. «All’analisi radiografica», spiega Ridolfi, «era apprezzabile un margine incongruo mesiale sul 17 e distale sul 16. La terapia proposta è stata quella di ritrattare l’elemento 16 con esecuzione di terapia conservativa indiretta, mentre sul 17 il dubbio era se devitalizzare o meno l’elemento che risultava asintomatico».
Seguendo l’albero decisionale sulla VPT proposto in altri articoli (Itri 2017), Ridolfi ha eseguito il test al freddo vestibolare (valore 2 che persisteva entro i 30 secondi), il test elettrico (valore 16), il test alla percussione (negativo) e misurato la distanza tra la camera pulpare e il restauro (meno di 1 mm).
«Previo consenso informato», spiega il giovane studente di Odontoiatria, «sotto supervisione del mio tutor ho eseguito un’anestesia plessica con articaina (articaina 1:200.000) e ho iniziato a rimuovere il vecchio restauro esponendo parte della camera pulpare. Successivamente ho eseguito una minipulpotomia per eliminare parte del tessuto pulpare, per aumentare l’adesione meccanica della Biodentine e per eliminare empiricamente parte del tessuto infiammato».
Dopo aver atteso 15 minuti di presa del materiale, si è proceduto con il disinserimento della diga di gomma e la rivalutazione della paziente confrontando i test a 7 giorni (freddo 3, elettrico 29, percussione negativa) e 14 giorni (freddo 2, elettrico 26, percussione negativa).
«La paziente riferiva una continua irradiazione del dolore alla zona mascellare destra mentre mangiava», racconta Ridolfi, «disagio che perdurava anche per 30 minuti al giorno e che gestiva con antidolorifici. Dopo l’analisi dei test, dove si evinceva una fisiologica risposta ai test più reattiva, abbiamo deciso di devitalizzare il dente in questione, perché non trovavamo normale una continua gestione con Fans del post operatorio a distanza di 14 giorni e per il dolore irradiato nella zona. All’apertura in seduta endodontica, non risultava presente sanguinamento, così abbiamo finalizzato la terapia con alesatura e chiusura dei due canali».
Il dubbio
Perché la VPT non ha funzionato in questo caso? Cos’altro c’è da sapere sull’inquadramento del paziente in un caso del genere? Quali altri parametri devono essere analizzati intra-operatoriamente per aumentare le percentuali di successo della terapia? Sono i dubbi clinici di Giacomo Ridolfi, studente del sesto anno presso il Corso di laurea di Odontoiatria e Protesi dentaria dell’Università degli Studi di Genova. «Ho deciso di chiedere un secondo parere ad Angelo Itri», spiega Ridolfi, «perché oltre a essere mio docente, è anche colui che ha iniziato a codificare la procedura con Biodentine per la VPT, tenendo seminari sull’argomento e scrivendo articoli nazionali e internazionali su questo tipo di procedura».
Nella diagnosi il senso della Vital Pulp Therapy
Per raggiungere il successo con la VTP è necessario eseguire una diagnosi corretta del caso clinico, perché tralasciare anche un solo dettaglio può inficiare il risultato finale, come spiega Angelo Itri al suo allievo Giacomo Ridolfi.
Con il termine di VPT (Vital Pulp Therapy) si intendono una serie di procedure atte a mantenere la vitalità di un elemento dentale in caso di esposizione di parte della polpa. «Nel corso degli ultimi dieci anni», ricorda Angelo Itri, professore a contratto presso il Dipartimento di Conservativa ed Endodonzia al Corso di laurea in Odontoiatria e Protesi dentaria dell’Università degli Studi di Genova, «sono stati pubblicati molti articoli internazionali su diversi materiali che avessero lo scopo di mantenere la vitalità dell’elemento trattato, con risultati molto variabili.
Quando ho iniziato a studiare la VPT c’era qualcosa che non mi tornava: la diagnosi pre-operatoria, che risultava essere sempre troppo generica e non riproducibile da chiunque nella pratica clinica. Per questo motivo, negli ultimi anni, ho incentrato gran parte delle mie ricerche sul codificare una sequenza diagnostica che fosse semplice e riproducibile da chiunque volesse intraprendere un percorso terapeutico di VPT».
Il caso proposto da Giacomo Ridolfi è stato gestito seguendo in parte l’iter terapeutico proposto da Angelo Itri in altre sue pubblicazioni, con la mancanza però di un altro parametro intraoperatorio importante: la valutazione del sanguinamento.
«Questo parametro è la prova del nove», dice Itri. «Se analizziamo bene i test diagnostici», spiega, «noteremo come un test elettrico con valore 16 e una distanza tra carie/vecchio restauro e cornetto pulpare inferiore a 1 mm indicano una flogosi importante su un molare. Inoltre il test del freddo è stato eseguito solo vestibolarmente all’elemento e non palatalmente: saggiare la risposta a questi stimoli su ogni radice presente è importante per capire il grado di flogosi nell’elemento dentale».
Un’altra valutazione intraoperatoria da tenere in considerazione è la posizione dell’esposizione della polpa.
«Anche se ancora non sono stati pubblicati dati scientifici a riguardo», spiega Itri, «durante la mia esperienza clinica ho potuto notare come un’esposizione ai lati della camera pulpare in un molare (come nel caso proposto da Giacomo) non possa portare a un successo certo in VPT che invece risulta riproducibile quando l’esposizione avviene in zona occlusale alla camera pulpare».
Altra accortezza da prendere in considerazione è consigliare al paziente di non masticare sull’elemento trattato e ricordargli, spiega Itri «di evitare stimoli termici troppo caldi o troppo freddi nella zona interessata con l’introduzione di cibi per almeno 40 giorni: tempo necessario alla guarigione dell’elemento trattato a seguito della reazione infiammatoria».