Risale al 2013 la sigla del primo accordo di collaborazione fra l’Associazione CAF (Centro di Aiuto ai minori e alla Famiglia in crisi), Fondazione ISI e l’Istituto Stomatologico Italiano di Milano per il trattamento e la cura odontoiatrica di bambini e ragazzi che, a causa del loro vissuto traumatico, si rivelano talora molto difficili da approcciare.
Fondata nel 1979 da Ida Borletti con il supporto del Comune di Milano e il riconoscimento del Tribunale per i Minorenni, l’Associazione CAF (Centro di Aiuto ai Minori e alla Famiglia in crisi) si è via via sviluppata nel corso dei decenni aggiungendo al suo ventaglio di attività una serie di servizi sempre nuovi. A oggi gestisce tre Comunità residenziali per bambini fra i tre e i 12 anni nella sua struttura di via Emanuele Orlando nel quartiere periferico di Gratosoglio e 2 Comunità residenziali per ragazzi tra i 13 e i 18 anni in via Zurigo. Negli ultimi anni, con il progetto Teen House, ha previsto percorsi per neomaggiorenni d’accompagnamento al mondo degli adulti.
Sin dal 2013, e in virtù di un’intesa sempre rinnovatasi sin da allora, fra i partner dell’Associazione CAF c’è anche la Fondazione ISI che attraverso l’Istituto Stomatologico Italiano (ISI) offre prestazioni odontoiatriche gratuite ai giovani ospiti delle sedi associative.
L’accordo è stato confermato per l’ultima volta lo scorso febbraio. Per gli operatori dell’Istituto è un’esperienza importante che pone dinanzi a sfide impegnative. Quanto vissuto e sperimentato dai piccoli pazienti lungo il breve arco di una vita segnata per lo più da storie di abuso, maltrattamento e abbandono è tale da rendere l’approccio con loro qualcosa di estremamente delicato e difficile.
A raccontare a Il Dentista Moderno le ragioni di una simile criticità è stata la dottoressa Stefania De Giorgio. Odontoiatra e ortodontista che sta ultimando gli studi di specializzazione in Odontoiatria pediatrica, De Giorgio svolge presso l’Istituto compiti di coordinamento del lavoro ambulatoriale.
Una lingua comune
Tanto per cominciare, i maggiori ostacoli da superare non sono inizialmente di ordine clinico, bensì di natura puramente relazionale.
Le Comunità residenziali CAF sono infatti “case temporanee che offrono protezione, cura e sostegno psico-educativo a bambini e adolescenti allontanati dalle proprie famiglie d’origine per decreto del Tribunale per i Minorenni, a causa di gravi situazioni che hanno messo in pericolo il loro benessere, la loro crescita e incolumità psicofisica e affettiva”. E se le vicende degli assistiti hanno un tratto in comune, ebbene è quello di avere ingenerato nella maggior parte di loro una più che comprensibile diffidenza - o la completa chiusura - nei confronti dei grandi. Cosicché, stabilirvi un rapporto e canali di comunicazione efficaci è per i medici del dipartimento di Odontoiatria materno infantile dell’ISI la prima partita da vincere.
“Si tratta”, ha esordito la dottoressa Stefania De Giorgio, “di soggetti che ci giungono accompagnati dagli educatori di comunità o talvolta dalle famiglie affidatarie; e che provengono da ambienti caratterizzati da un elevato livello di disagio. Quando interagiamo con loro dobbiamo in primo luogo fare attenzione alla terminologia che utilizziamo, poiché alcune parole costituiscono degli autentici tabù. Paradossalmente, tali parole sono sovente quelle che invece per la stragrande maggioranza dei bambini risultano più familiari e tranquillizzanti. Basti pensare che è consigliabile se non doveroso evitare i riferimenti alle famiglie, a mamma e papà, perché evocatori di maltrattamenti”.
Dei loro effettivi trascorsi agli odontoiatri volontari dell’Istituto Stomatologico Italiano non è dato sapere che lo stretto necessario e naturalmente non molto di più viene detto dai pazienti. Per il semplice fatto che, scossi dai traumi del passato, non di rado essi si rifiutano, tout court, di parlare.
“Sono madre”, ha aggiunto De Giorgio, “e trovarmi a stretto contatto con casi tanto drammatici è sicuramente doloroso, per quanto per altri versi faccia risaltare il valore di una vita familiare normale, serena.
È inevitabile portare il lascito di alcune storie a casa con sé, una volta terminato il lavoro. La paura di molti è percepibile: rifiutano il contatto e diffidano della vicinanza fisica; e per riuscire a istaurare una relazione di fiducia che consenta di praticare le cure, trovare delle forme di mediazione, di compromesso, è inevitabile, benché tutt’altro che semplice”.
Fra i tanti casi il primo che mi viene in mente è quello di una ragazza di circa 16 anni, ma dallo sviluppo psico-fisico e intellettuale più simile a quello di una 12enne. Mi si è presentata di fronte con la sua bocca letteralmente distrutta da lesioni diffuse, e senza parlare. Vederla pian piano sorridere e mostrare i denti di nuovo candidi è stato un momento indimenticabile”
Se questa è la componente emozionale del lavoro nelle sale di via Pace, non meno onerosa è quella più strettamente e propriamente clinica.
“Abbiamo assistito negli anni decine di bambini e adolescenti”, ha raccontato la dottoressa De Giorgio, “la cui età media si aggira attorno ai dieci anni. Al primo ingresso e dopo la compilazione dei documenti per il consenso informato, a carico dei genitori affidatari o del personale CAF, o ancora degli Uffici Comunali preposti, gli interventi cominciano con l’esecuzione di una radiografia panoramica. Solo per circa un quarto di essi lo stato di salute orale è accettabile; ma i tre quarti manifestano problematiche dentali più o meno severe”.
La difficoltà di rapportarsi a soggetti di tipo tanto particolare fa sì che in molte circostanze, per poter procedere alle terapie si debba ricorrere a una sedazione totale, che interessa soprattutto i più piccoli; o a una sedazione cosciente, ottenuta attraverso la somministrazione di protossido di azoto. “Sotto l’aspetto clinico”, ha continuato la coordinatrice del lavoro ambulatoriale dell’ISI, “vengono offerte soprattutto prestazioni di otturazione, sigillatura, di devitalizzazione ed estrazione. Proponiamo anche servizi di igiene dentale e insieme agli educatori abbiamo anche cercato di dare vita a percorsi di sensibilizzazione e formazione sulla cura orale, la pulizia. L’ideale sarebbe fissare dei regolari controlli semestrali, ma questo non è sempre di facile attuazione, per vari motivi. Così come non è semplice trasmettere le nozioni più importanti di un regime alimentare equilibrato”.
Il sorriso di un bambino
Pure, quando le barriere crollano, la soddisfazione è immensa. “Sono riuscita ad accompagnare alcuni degli ospiti dell’Associazione CAF sino quasi alle soglie della maggiore età”, ha ricordato l’odontoiatra, “e fino al termine del loro curriculum di studi.
Cosa fare di più
L’auspicio di De Giorgio è che l’asticella del livello di servizio possa ben presto elevarsi ulteriormente poiché “anche l’ortodonzia rappresenta una problematica importante e frequente ma le convenzioni in essere ci consentono di fornirla solo raramente”. Ci si limita per lo più e giocoforza alla gestione delle urgenze nonostante che con eventi e iniziative mirati alla raccolta di fondi si stia cercando di andare oltre.
“I trattamenti ortodontici sono molto richiesti”, ha detto, “specialmente dal momento in cui comincia il confronto con gli altri, pure per ragioni di autostima”.
Altro nervo scoperto è, come accennato, quello della corretta alimentazione, svezzamento a parte.
“La condizione psicologica”, ha spiegato la dottoressa, “e il contesto in cui i pazienti, seguiti da cinque dei nostri professionisti si trovano a vivere, influiscono su tutto il resto. Il regime alimentare è spesso quanto meno migliorabile e anche su questo si cerca di lavorare insieme ai responsabili”.
C’è, ed è di grande supporto, un dialogo intenso con i pediatri; e le serate di raccolta-fondi hanno rappresentato altrettante occasioni di confronto e formazione. Quel che forse potrebbe o dovrebbe consolidarsi è la collaborazione con gli psicologi, per una migliore e più approfondita comprensione delle dinamiche relazionali.
A fare la differenza è invece in maggior misura il bagaglio di esperienze accumulato dagli odontoiatri, sul campo, durante gli anni. “L’esperienza diretta è senza dubbio la forma di training più efficace e preziosa”, ha ammesso in conclusione Stefania De Giorgio, “e di questo mi sono resa conto in maniera particolare quando, dovendo assentarmi per il periodo di maternità, mi sono trovata ad affidare parte delle mie consuete mansioni ad altri colleghi più giovani. Mi sono allora accorta di come tutti noi nel corso del tempo ci siamo autocostruiti un manuale di istruzioni virtuale, utile ogni giorno e valido per trasmettere agli altri quanto appreso”.