In questo mondo così “global” una voce si leva dal coro chiedendo individualizzazione: è il Tribunale di Velletri che vuole la personalizzazione dell’asserito e richiesto danno, pena il non accoglimento della domanda di risarcimento avanzata.
Proprio così! Per avere il ristoro di un danno asserito quale subìto bisogna dare la prova che non sia generico, ma che abbia veramente influito in modo eccezionale nello svolgimento di attività quotidiane. È quanto deciso dal Tribunale di Velletri interessato da un paziente che chiedeva di vedersi risarcire i danni subiti a seguito di una operazione cui aveva dovuto sottoporsi, a suo dire, per diagnosi e procedure errate poste in essere non da uno, ma da ben due dentisti da cui si era recato.
Il caso
“… A fondamento della domanda, l’attore ha dedotto la responsabilità medica dei convenuti, assumendo che la Dottoressa M., presso la quale era in cura da anni, aveva omesso i controlli necessari a diagnosticare la voluminosa cisti, per cui in seguito era stato operato. In particolare, non aveva prescritto un esame radiologico ortopantomografico, e ciò soprattutto dopo un episodio di recidiva infettiva e dopo un trattamento endodontico per un ascesso, mentre il Dottor S., al quale l’attore si era rivolto dopo che l’esigenza dell’intervento per la rimozione della cisti gli era stata già indicata dal Dottor R. del Centro Odontoiatrico… e nonché dal Dottor B. dell’Istituto… quando la data dell’intervento era già stata programmata, aveva sconsigliato l’intervento e proposto una soluzione alternativa, consistente nel pungere la cisti con ago sottile e disinfettarla, senza fornire adeguate informazioni sui rischi connessi a tale soluzione ai danni del nervo alveolare inferiore, che infatti, in meno di 48 ore dalla sua esecuzione, si erano verificati …”. Dopo accertamento tecnico preventivo richiesto prima di adire per le vie ordinarie, l’Autorità Giudiziaria escludeva però responsabilità in capo alla Dottoressa M., rinvenendo esclusivamente un nesso di causalità tra esecuzione della prestazione e danno lamentato in capo all’operato del Dottor. S. “… Il CTU, infatti, ha censurato la soluzione terapeutica suggerita dal Dottor S., consistita nel ritrattamento canalare, posto che <la risposta a terapia di ritrattamento canalare vi è solo in quelle cisti che siano riconosciute di sicura origine endodontica>, mentre <in tutte le immagini radiografiche allegate agli atti non c’è assolutamente l’evidenza di difetti nell’esecuzione della pregressa devitalizzazione dell’elemento 46>. Un’altra indicazione all’apertura di canali già trattati è quella di iniziale decompressione del contenuto cistico per rapida riattivazione dei processi espansivi, ma qui è bene notare come il Signor S. sia pervenuto all’osservazione del Dottor S. in condizioni non certo critiche, in quanto la sintomatologia era ormai silente da mesi e certamente non in condizioni di urgenza, visto che addirittura il Centro odontoiatrico universitario aveva predisposto l’intervento chirurgico dopo ben 5 mesi. Censurabile è quindi la strada intrapresa dal sanitario in quanto, sia per le dimensioni della cavità sia per l’impossibilità di stabilire con certezza il tipo di lesione in oggetto, l’unica soluzione sicura per la salute del paziente era l’intervento chirurgico. Ma soprattutto il CTU ha riscontrato nell’operato del Dottor S. la responsabilità esclusiva degli esiti lamentati: “... è pur vero che il paziente si è sottoposto alla terapia in condizioni sostanzialmente stabili e senza alcun danno neurologico e si è ritrovato dopo poche ore in un pronto soccorso con una diagnosi di ingresso di voluminosa cisti emimandibolare destra con stato febbrile, parestesia dell’alveolare inferiore destro di sospetta origine iatrogena, referto dell’Ospedale… del 21-09-2014 al quale seguiva immediato ricovero. Non c’è dubbio che qualunque cosa sia stata fatta nello studio del Dottor S. è qui che il danno neurologico si è verificato”. A nulla è valsa la difesa del Dottor S. che sosteneva aver adeguatamente informato il Sig. S., in quanto “la carenza di consenso informato in tema di attività medico-chirurgica rileva in via autonoma ai fini risarcitori solo in presenza di un atto terapeutico correttamente eseguito e non è questo il caso. Ad ogni modo, il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo all’uopo idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico, né rilevando, ai fini della completezza ed effettività del consenso, la qualità del paziente, che incide unicamente sulle modalità dell’informazione, da adattarsi al suo livello culturale mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (Cass. n. 23328/19). Nella specie, dunque, va ritenuta non adeguata l’informazione fornita al paziente dal Dottor S. mediante la sottoscrizione del modulo allegato sub doc. 4, trattandosi di un modulo prestampato dal contenuto generico, senza indicazione degli esatti termini della patologia, delle concrete prospettive di superamento della medesima attraverso la terapia alternativa suggerita rispetto a quelle invece derivanti dall’intervento”.
La valutazione del danno
Appurata la responsabilità, il Tribunale passava alla valutazione del danno e così decideva: “Quanto alla personalizzazione del danno permanente, ancora invocata dall’attore nelle memorie conclusionali, si osserva che ai fini della personalizzazione sul danneggiato gravava l’onere di provare l’esistenza di specifiche circostanze incidenti su aspetti “eccezionali” e non semplicemente quotidiani della vita, tali, per caratteristiche, dimensione o intensità ed in relazione alle particolari condizioni di vita dell’attore, da porli al di fuori delle conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età. Tale onere probatorio non è stato assolto dall’attore, il quale ha fatto generico riferimento ai disagi nello svolgimento di attività quotidiane tipicamente connessi agli esiti accertati, omettendo di caratterizzare la propria condizione rispetto a quelle della generalità, mediante l’allegazione di quelle “specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale...” (Cass. n. 2788/19). L’unico aspetto evidenziato dall’attore a tal fine riguarda l’attività lavorativa prestata quale agente penitenziario in relazione alla perdita di volume osseo mandibolare attestata anche dal CTU, che tuttavia non ha ricondotto tale esito alla responsabilità del Dr. S., ritenendola conseguenza inevitabile dei trattamenti di bonifica chirurgica”.
La decisione
Il procedimento si concludeva, quindi, con un parziale accoglimento della domanda, nonché con la condanna dell’attore per aver in malafede chiamato in giudizio anche la Dottoressa, scagionata dalla consulenza fatta in sede di accertamento tecnico preventivo.
Lo stampo
“Natura il fece e poi ruppe lo stampo”. Così l’Ariosto descriveva Zerbino, figlio del re di Scozia, nel Canto X dell’Orlando Furioso. L’unicità di un condottiero è traslata in un’aula di Tribunale, è prerogativa dell’attore per ottenere il risarcimento dei danni subiti. Non più quindi atti giudiziari fatti “con lo stampino”, ma particolari e degni di considerazione, adeguati e adattati alla persona che li richiede.