Un fondamentale obiettivo della terapia canalare, dopo l’eliminazione meccanica e chimica dei potenziali serbatoi tossinfettivi all’interno degli spazi endodontici, è l’otturazione dello stesso sistema canalare in maniera tridimensionale. Il core dell’otturazione canalare è costituito naturalmente dai coni di guttaperca, materiale che da diversi anni costituisce uno standard operativo impiegato – salvo casi particolari – in tutti i protocolli endodontici. Al fine di otturare completamente i possibili gap determinati dalla strumentazione e i possibili canalicoli accessori, alla guttaperca viene addizionato l’uso di un cemento endodontico, più propriamente definito un sigillante (root canal sealer). Durante la chiusura, anche qualora il professionista prestasse attenzione a mantenere in sede il cemento, una quota variabile può estrudere dalla costrizione apicale. Questo effetto, che talvolta è addirittura in qualche modo cercato dall’endodontista, deve mantenersi entro certi limiti, dato che alcuni Autori sottolineano come l’accumulo di materiale oltre apice possa condurre a reazioni avverse. Subito dopo la miscelazione, qualunque cemento manifesta un certo grado di tossicità, come testimoniato dall’infiltrazione di neutrofili immediatamente successiva al posizionamento. Con il processo di indurimento, tale tossicità andrà a ridursi; così per un periodo da 60 fino a 120 giorni. In più, nel lungo periodo si osserveranno anche fenomeni di riassorbimento. Verranno ora vagliati alcuni aspetti riguardanti la potenziale citotossicità delle principali classi di canal sealer, tenendo ben presente il fatto che qualsiasi materiale in commercio risponde a rigidi standard, anche in termini di biocompatibilità.
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I cementi all’ossido di zinco eugenolo (ZOE), ad esempio, sono tra i primi ad essere entrati in uso e tuttora si abbinano bene alle tecniche termoplastiche di compattazione. Sono altamente idrosolubili e manifestano contrazione durante il lungo processo di indurimento. Tendono inoltre al riassorbimento se estrusi. Alcuni cementi ZOE contengono una percentuale di parafolmaldeide, composto dotato di potenziale citotossico e mutagenico.
I cementi all’idrossido di calcio hanno azione antimicrobica e capacità osteo- e cementogenica. La solubilità è un requisito che permette la liberazione di ioni protettivi per i tessuti. Anche in questo caso, possibili effetti tossici sono stati correlati ad additivi – quali salicilato di metile e isobutile – contenuti in alcuni prodotti in commercio.
Per quanto riguarda infine i cementi di tipo resinoso, si tratta di un’altra categoria di materiali con una lunga storia. In alcuni casi, la possibile tossicità è stata ridotta agendo sulle formulazioni (passando ad esempio dal primo AH26 ad AH Plus, in cui non esiste rischio di rilascio di formaldeide). Altre volte, quando l’intento era di ottenere un “monoblocco” ad avvenuto indurimento, si riportava invece il rischio di mantenere una quota di monomero libero (ad esempio di idrossietilmetacrilato HEMA) in grado di diffondere ai tessuti periapicali.
In conclusione, è sempre bene ribadire come il corretto ed efficace utilizzo di materiali ampiamente testati passi in primo luogo dal rispetto dai protocolli operativi e dalle indicazioni dei produttori.