Riassunto
In chirurgia ortopedica vengono impiegati differenti tipi di viti di fissaggio. Nei siti in cui la corticale ossea è molto rappresentata sono richieste viti caratterizzate da un passo molto breve tra le spire, mentre nei siti in cui prevale la componente spongiosa un “pitch” più ampio permetterebbe di conseguire una maggiore stabilità. Sulla scorta di tali osservazioni preliminari, mutuate dalla chirurgia ortopedica, l’obiettivo del presente lavoro è quello di convalidare l’ipotesi secondo cui l’impiego degli impianti dentali Fine-Pitch Milo™ sarebbe più appropriato per l’osso prevalentemente corticale, mentre l’inserimento di impianti Wide-Pitch Milo™ troverebbe indicazione nell’osso a maggiore componente midollare. Per impianti Wide-Pitch è stato riportato un torque di inserzione superiore in modelli di osso midollare (del 20% più elevato rispetto quanto registrato con impianti Fine-Pitch). Il loro alloggiamento in tali distretti tissutali si dimostrerebbe pertanto più affidabile. Inoltre, sembrerebbe che la peculiare morfologia degli impianti Fine-Pitch permetta il loro inserimento solo previa generosa osteotomia (l’invito dovrebbe avere un diametro superiore a 1.5 mm), sia in osso corticale che spongioso.
Summary
In orthopedic surgery different types of fixing screw are used. In those sites where the cortical bone is well represented, it is necessary to use screws with a very short pitch among the threads. On the contrary, in those sites where there is a predominance of cancellous bone, a larger pitch enables to reach a better stability.
Based on these preliminary considerations, derived by the orthopedic surgery, the aim of this article is to validate the hypothesis that the use of the Fine-Pitch Milo™ dental implants is more suitable in the prevailing cortical bone, while the insertion of Wide-Pitch Milo™ implants is indicated in case of bone with a prevailing marrow component.
For the Wide-Pitch implants a higher insertion torque has been reported in medullary bone models (20% higher compared to the one registered with the Fine-Pitch implants). Consequently, in such tissue districts their insertion seems to be more reliable. Moreover, it seems that the peculiar morphology of the Fine-Pitch implants would allow their insertion only after a previous important osteotomy (with a diameter of insertion superior 1.5 mm), both in cortical and cancellous bone.
In chirurgia ortopedica diverse applicazioni richiedono l’utilizzo di viti di fissaggio. La guarigione di una frattura è influenzata da fattori biologici e meccanici, tra cui le sollecitazioni di carico e i micro-movimenti focali. I metodi di fissazione chirurgica sono diretti a conferire al focolaio di frattura una stabilità immediata, modificando in maniera apprezzabile il processo di riparazione ossea. Nell’osteosintesi rigida, ottenibile con viti o placche metalliche, la guarigione è di tipo diretto (altrimenti detta primaria o per contatto o a ponte): gettoni vascolari penetrano direttamente nei canali di Havers del frammento osseo vicino, con neoformazione di osteoni disposti parallelamente all’asse longitudinale dell’osso, senza formazione di callo periosteale né di callo fibroso o cartilagineo, evitando quindi tutte le tappe intermedie di differenziazione dei tessuti1. Il disegno della vite ne influenza sensibilmente l’efficacia. Le spire rappresentano il mezzo che permette al dispositivo di progredire attraverso il tessuto osseo. Il passo è la distanza tra due spire successive o la distanza percorsa dalla vite lungo il proprio asse longitudinale in un giro. Le viti da corticale hanno un passo tipicamente più breve, tale da permettere a un maggiore numero di spire di innestarsi in una frazione di tessuto denso e compatto. Le viti da midollare presentano un passo superiore, tale da permettere una maggiore area di contatto tra il corpo della vite e il tessuto osseo. Oltre a ciò, le viti da midollare presentano un maggiore rapporto tra il diametro esterno e quello interno (inteso come discrepanza tra il diametro delle spire e del core) per estendere ulteriormente la superficie di contatto2.
La stabilità delle viti da osteosintesi è verificata sperimentalmente in termini di resistenza all’estrazione dal sito ricevente (“pull-out strength”) e sembrerebbe essere direttamente influenzata dalle caratteristiche morfologiche della filettatura e, in modo particolare, dalla profondità e dal passo delle spire, ovvero “thread shape factor” (TSF)3. La resistenza all’estrazione è stata a sua volta messa in correlazione con il torque di inserzione. Salvo nei casi in cui viene effettuata la maschiatura del sito ricevente, le forze torsionali che si sviluppano durante l’inserzione della vite (torque) raggiungono un valore che è direttamente proporzionale alla tenuta (misurata come “pull-out strenght”).
È pensabile che tale valore possa rappresentare un fattore predittivo affidabile della stabilità di tali dispositivi4.
Il conseguimento della stabilità primaria rappresenta un requisito fondamentale anche per l’osteointegrazione degli impianti dentali, e può dipendere, oltre che dalla realizzazione del sito implantare, dalla densità ossea nel sito ricevente e dalla morfologia macroscopica della fixture5, 6. Alla stregua di quanto già descritto per le viti da osteosintesi, il torque di inserzione può rappresentare un parametro valido per verificare la stabilità primaria degli impianti osteointegrati. Studi recenti realizzati su osso di cadavere hanno dimostrato che la stabilità delle fixture, misurata con dispositivi elettronici, è correlata al picco di torque raggiunto per alloggiare l’impianto nel sito ricevente7, 8. Inoltre, studi clinici sembrano suggerire come il torque di inserzione condizioni non soltanto l’opportunità di ricorrere o meno al carico immediato, ma la stessa sopravvivenza implantare anche con il ricorso a protocolli tradizionali9.
Sulla scorta di tali osservazioni preliminari, mutuate in gran parte dalla chirurgia ortopedica, è stata realizzata una sperimentazione in vitro intesa a convalidare l’ipotesi secondo cui l’impiego degli impianti dentali “Fine-Pitch” sarebbe più appropriato per l’osso prevalentemente corticale, mentre l’inserimento di impianti “Wide-Pitch” troverebbe indicazione nell’osso a maggiore componente midollare.
Materiali e metodi
L’ampia variabilità strutturale che caratterizza il tessuto osseo naturale può compromettere la validità dei risultati delle sperimentazioni sulle proprietà meccaniche delle viti. Al fine di eliminare il problema della standardizzazione dei campioni, è stato descritto in letteratura l’impiego di sostituti artificiali, realizzati in resina o in poliuretano. I poliuretani espansi rigidi sono ottenuti per reazione di un isocianato e di acqua, con aggiunta di agenti espandenti nel caso si vogliano produrre delle schiume. Ciò che si ottiene è una struttura vacuolare chiusa che, con buona approssimazione, è assimilabile al tessuto osseo spugnoso, malgrado le microporosità che caratterizzano la struttura minerale dell’osso natio possiedano caratteristiche interconnessioni. La scelta di tali modelli consente di isolare le proprietà meccaniche delle viti implantari, secondarie alla morfologia delle spire, da fattori di confondimento derivanti dall’incostante densità e dal variabile orientamento delle trabecole ossee che si riscontra nelle biopsie di tessuto. In questo modo viene eliminata la variabilità “intra-” e “inter-specimen”, con il vantaggio di utilizzare materiali omogenei e di ottenere una minima deviazione standard10.
Gli impianti Milo™ nascono come mini-impianti particolarmente indicati nelle procedure di carico immediato, ideali per la stabilizzazione di overdenture grazie alla presenza di un abutment di forma sferoidale che si continua direttamente con il corpo della vite. Questo viene utilizzato come attacco a pallina per ritenzioni tipo “O-ring”.
Sono stati testati due impianti dentali le cui spire presentano una differente morfologia: Milo™ Fine-Pitch Implants (passo 0.762 mm) e Milo™ Wide-Pitch Implants (passo 1016 mm) entrambi di lunghezza 13 mm e diametro 3.0 mm.
Sono stati alloggiati in osso compatto, di tipo D1/D2 e in osso spugnoso, di tipo D3/D4.
I test di laboratorio sono stati eseguiti a mezzo di blocchetti rigidi e porosi realizzati in poliuretano in forma schiumosa, comunemente impiegati nelle simulazioni in vitro, in luogo di campioni di tessuto osseo. I blocchi erano separati e su ciascuno di essi venivano praticati dei fori: 12 di questi venivano realizzati mediante la fresa pilota del diametro di 1.5 mm, altrettanti siti venivano allestiti utilizzando una fresa calibratrice del diametro di 2.5 mm. In ognuno di questi fori è stato inserito un impianto appartenente a ognuno dei gruppi.
L’alloggiamento veniva completato utilizzando una chiave dinamometrica digitale che permetteva di registrare il torque finale di inserzione. In ultima analisi, venivano effettuati 4 test su blocchi di osso compatto, combinando i 2 differenti impianti con i 2 diversi diametri del sito ricevente. Altrettanti test venivano realizzati su modelli sperimentali di osso spongioso. Ogni test è stato ripetuto per tre volte consecutive.
Risultati
La tabella 1 riassume i risultati ottenuti nei singoli test e la media dei valori registrati. È possibile apprezzare come gli impianti che presentano un passo maggiore esercitino una maggiore azione compressiva in aree dove la densità ossea è ridotta: il torque di inserzione medio di questi impianti, in siti del diametro di 2.5 mm praticati su modelli di osso D3/D4, risultava essere del 20% superiore rispetto a quello raggiunto dagli impianti Fine-Pitch nella stessa serie di simulatori (14.7 vs 11.7 Ncm). Sembrerebbe inoltre che l’occupazione dei siti di piccolo diametro possa avvenire solo mediante impianti Wide-Pitch.
Discussione e conclusioni
La perdita degli elementi dentari nei settori latero-posteriori e la conseguente riduzione delle forze masticatorie applicate al mascellare superiore comportano un’irreversibile perdita di tessuto osseo a spese del processo alveolare. Oltre alla massiccia perdita ossea, un ulteriore fattore degno di nota per quello che concerne l’opportunità di posizionare impianti osteointegrati è la qualità dell’osso che residua a seguito della perdita degli elementi dentari: per effetto dell’atrofia prodotta dal riassorbimento, spesso nelle regioni posteriori dell’arcata mascellare l’osso corticale è del tutto assente, mentre la componente midollare presenta una densità molto bassa (di tipo IV) che risulta svantaggiosa ai fini del conseguimento della stabilità primaria11. Tali fattori spiegherebbero, ad esempio, la ridotta percentuale di successo a lungo termine che si registra per il posizionamento degli impianti endossei nelle regioni posteriori del mascellare superiore piuttosto che nell’arcata mandibolare. Gli studi longitudinali intesi a valutare l’influenza del distretto anatomico in cui sono posizionate le fixture sulla sopravvivenza implantare sono scarsi. Secondo una revisione della letteratura, la percentuale di successo di impianti inseriti nella regione interforaminale sarebbe del 97%, contro il 77% di successo di impianti alloggiati nelle aree mascellari posteriori12. In tali distretti è opportuno ricorrere a dispositivi che, in virtù di peculiari caratteristiche strutturali, permettano di assicurare una buona stabilità malgrado la scarsa densità del tessuto13. I risultati ottenuti confermano l’ipotesi iniziale secondo cui l’inserimento di impianti Wide-Pitch troverebbe indicazione nell’osso a maggiore componente midollare. Per gli impianti Wide-Pitch è stato riportato un torque di inserzione superiore in modelli di osso midollare (del 20% più elevato rispetto quanto registrato con impianti Fine-Pitch). Il loro alloggiamento in tali distretti tissutali si dimostrerebbe pertanto più affidabile. È pensabile che la particolare geometria della vite di questi ultimi eserciti una sorta di effetto compressivo, promuovendo una compattazione del tessuto nelle zone adiacenti, che richiederebbe lo sviluppo di forze torsionali superiori, a vantaggio della stabilità primaria.
Per gli impianti Wide-Pitch venivano registrati valori di torque più elevati anche in osso di tipo D1/D2.
Tuttavia, è stato dimostrato che valori di torque superiori a 70 N/cm sono da evitare in quanto possono provocare lo sviluppo di microfratture nel tessuto osseo in contiguità con le spire della vite14. Inoltre, sembrerebbe che la peculiare morfologia degli impianti Fine-Pitch Milo™ permetta il loro inserimento solo previa generosa osteotomia (l’invito dovrebbe avere un diametro superiore a 1.5 mm), sia in osso corticale che spongioso.
Durante l’alloggiamento, infatti, le spire provocavano la frattura del modello.
È possibile concludere che la scelta di viti implantari che presentano un passo ridotto tra le spire in associazione a una preparazione più ampia del sito ricevente sia indicata in osso di tipo D1/D2, mentre in osso di tipo D3/D4 è raccomandabile l’inserimento di viti con passo più ampio tra le spire in siti di calibro inferiore, in modo da favorire la compattazione del tessuto.
• Bruno Orlando1
• Antonio Barone1, 2
• Thierry M Giorno
• Luca Giacomelli1
• Giacomo Derchi1
• Ugo Covani1, 3
1 Istituto Stomatologico Tirreno, Centro di Odontoiatria, Ospedale della Versilia, Lido di Camaiore
2 Cattedra di Patologia Speciale Odontostomatologica, Università degli Studi di Genova
3 Dipartimento di Chirurgia, Università degli Studi di Pisa, Direttore: Prof. Paolo Miccoli
Corrispondenza
Orlando Bruno
Via del Tiro a Segno, 590
55100 – Lucca
Tel. 058356635
e-mail: b_orlando@virgilio.it
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