Tecniche salvatempo in ortodonzia

Questo numero della rassegna della letteratura è dedicato all’ortodonzia e, in particolare, a tecniche e materiali che mirano ad accorciare i tempi sia operativi sia terapeutici. Il tempo è, in generale, un’ossessione per chiunque lavori, ma in particolare per gli ortodontisti. Provare bande, cementare attacchi e legare fili sono operazioni che richiedono tempo e possono ripetersi più volte nel corso del trattamento. Oltre ai metodi sotto descritti, ci sarebbe però anche un altro modo per sgravare l’ortodontista da compiti ripetitivi e mangiatempo, eppure in Italia ancora non se ne parla. Si potrebbe delegarli
ad ausiliari appositamente formati come gli/le orthodontic assistants che affiancano gli odontoiatri in Usa (salario medio annuo di 50.707 dollari), Regno Unito (salario medio annuo di 28.302 sterline) e altre nazioni, dove in due anni imparano anche a eseguire le rx e le manovre Bls salvavita. Dopo aver riconosciuto la figura dell’osteopata, sarebbe ora che il nostro legislatore pensasse anche a loro.

a cura di
Francesco Redi

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Effetto della somministrazione di sostanze biologiche sulla velocità del movimento ortodontico

Arqub SA, Gandhi V, Iverson MG et al. The effect of the local administration of biological substances on the rate of orthodontic tooth movement: a systematic review of human studies. Prog Orthod. 2021 Feb 1;22(1):5. 

La lunghezza dei tempi ortodontici è uno di quei fattori che spesso allontanano i potenziali pazienti; proprio per questo, negli ultimi anni, ha stimolato molte ricerche volte non solo a ridurla in modo apprezzabile, ma anche a diminuire il rischio dei possibili effetti indesiderati (riassorbimenti radicolari, carie, alterazioni dello smalto). 

Al contrario del problema estetico, però, che si è quasi ridotto a zero partendo dagli attacchi in ceramica per arrivare agli allineatori invisibili, quello del tempo di trattamento non è altrettanto semplice da risolvere, complice anche la nota e apparentemente incorreggibile debolezza dei protocolli di ricerca. I metodi finora studiati sono di tipo biologico, fisico e chirurgico. Dalle ricerche su animali sono venute promettenti indicazioni sull’uso di prostaglandine (PG), vitamine C e D e plasma arricchito di piastrine (PRP); contraddittorie, invece, le risultanze sull’ormone relaxina (HRH). Gli autori di questa revisione hanno estratto dalle banche dati gli 11 studi clinici che superavano la soglia minima di affidabilità; di questi, tre erano dedicati alle PG, gli altri a HRH, PRP, vitamina C, plasma arricchito di leucociti e piastrine (L-PRF) e plasma arricchito di fibrina (PRF). Sei ricerche erano di tipo randomizzato, di cui quattro con protocollo split-mouth; la durata andava da tre settimane a sei mesi. Incredibile a leggersi, nella maggior parte degli studi non era specificato il tipo di malocclusione e in due non era specificato il genere dei soggetti. Quanto mai eterogeneo era il metodo per misurare il movimento dentale: dai modelli studio alle sovrapposizioni digitali alle scansioni su tomografia Cone Beam passando per fotografie e misure dirette intraorali. Conseguentemente alto il rischio di bias, cioè errori sistematici insiti nel protocollo di ricerca. 

Tenendo ben presenti sia queste limitazioni, sia il notevole intervallo dell’età anagrafica nonché l’esiguo numero dei soggetti inclusi nei campioni (minimo 5 – massimo 39), ottengono un buon risultato prostaglandine e vitamina C, mentre la D (più precisamente il suo derivato calcitriolo) e PRP presentano risultati dose-dipendente; HRH è, invece, inefficace. Una sintesi delle evidenze disponibili è riportata nella tabella a sinistra.

Cementazione indiretta di attacchi ortodontici con supporto digitale a confronto con metodo tradizionale: tempi operativi, distacchi immediati e riduzione dei costi 

Czolgosz I, Cattaneo PM, Cornelis MA. Computer-aided indirect bonding versus traditional direct bonding of orthodontic brackets: bonding time, immediate bonding failures, and cost-minimization. A randomized controlled trial. Eur J Orthod. 2021 Apr 3;43(2):144-151

Quello della cementazione degli attacchi e delle bande è un passaggio tanto indispensabile quanto tedioso e dispendioso in termini di tempo. L’avvento dell’era digitale ha dato agli ortodontisti la possibilità di predeterminare la posizione degli attacchi con una precisione praticamente irraggiungibile rispetto alla semplice applicazione manuale, specialmente su elementi, come i secondi premolari, con accentuata curvatura vestibolare e minore accessibilità. Questo ha comunque un costo in termini di investimenti materiali, tempo di apprendimento e programmazione. Sono quindi benvenute le ricerche come questa, tanto più se utilizzano un protocollo split-mouth, dove negli stessi soggetti un lato della bocca funge da campione sperimentale e l’altro da controllo. 27 pazienti sono stati casualmente divisi in due gruppi: nel primo è stato usato il bandaggio indiretto nei quadranti superiore dx e inferiore sx e quello tradizionale negli altri due; nel secondo gruppo si è proceduto al contrario. I parametri oggetto di ricerca erano il tempo necessario per la cementazione e il numero di attacchi che si distaccavano nella stessa seduta di applicazione.
Per calcolare il tempo del bandaggio indiretto si è ovviamente tenuto conto sia del tempo trascorso al computer sia del tempo clinico. 

La valutazione dei parametri è avvenuta in cieco. Il tempo necessario alla poltrona si è rivelato decisamente e logicamente minore per il metodo digitale, pari a 12 minuti e 52 secondi contro 16 minuti e 47 secondi del tradizionale; aggiungendo il tempo al computer, però, il primo è risultato più lungo: ben 28 minuti e 14 secondi. L’analisi dei costi, quindi, ha proclamato la superiorità del metodo tradizionale; a questo proposito, è interessante leggere che ogni mascherina portabracket (prodotta in un laboratorio di Czestochowa, in Polonia) costava 42 euro mentre i modelli virtuali ne costavano 29. Infine, sgradita sorpresa, la mano ha battuto i microchip: nessun distacco di bracket con il metodo tradizionale contro i ben 14 che si sono verificati con quello digitale (il 5,1 % di tutti quelli applicati) e questo nonostante il fatto che, per evitare il distacco dei brackets, le mascherine fossero state prodotte in modo da poterle rimuovere in più parti, evitando così di dover applicare una forza eccessiva. Una possibile spiegazione è che la luce fotopolimerizzante venga parzialmente schermata dalla mascherina (in particolare dai jigs in plastica che bloccano gli attacchi nella posizione prestabilita); inoltre, in due casi, il laboratorio ha riconosciuto di avere usato un tempo di polimerizzazione troppo lungo, riducendo così la trasparenza del materiale. 

Effetti dei farmaci sulla recidiva post-ortodontica. Revisione sistematica di ricerche su animali

Kaklamanos EG, Makrygiannakis MA, Athanasiou AE. Could medications and biologic factors affect post-orthodontic tooth movement changes? A systematic review of animal studies. Orthod Craniofac Res. 2021 Feb;24(1):39-51.

I movimenti dentali indesiderati nel periodo post-ortodontico sono un problema antico e quotidiano. Tra le tante cause, sono stati inseriti anche i farmaci. Poiché il movimento ortodontico può essere influenzato da qualsiasi molecola in grado di interferire con le vie regolatorie della matrice ossea, l’ortodontista deve considerare anche il potenziale rischio di recidiva in presenza di determinati farmaci. Sull’argomento sono disponibili studi su alcune molecole, che hanno evidenziato il loro effetto prevalentemente negli animali, ma anche negli umani. Gli autori hanno condotto la prima revisione sistematica analizzando 17 ricerche su animali che rispondevano ai criteri di elezione. Il ketorolac per esempio, è un antiflogistico non steroideo che, attraverso la via ciclossigenasi-prostaglandine-acido arachidonico, può teoricamente influenzare l’attività di osteoclasti e osteoblasti, ma i dati sperimentali non sostengono questa ipotesi. Secondo gli autori, tuttavia, essa non è da scartare perché la qualità delle ricerche esaminate non è elevata. Le tetracicline, invece, potrebbero ridurre il rischio di recidiva perché inibiscono la genesi degli osteoclasti così come, almeno teoricamente, i bifosfonati, che aderiscono alle superfici dell’osso in rimodellamento e ne impediscono il riassorbimento bloccando gli osteoclasti. Secondo la revisione degli autori, la recidiva è minore in presenza di questi farmaci, ma uno studio sperimentale nei ratti basato sulla somministrazione di 8mg/kg di risedronato per 24 giorni non ha sortito effetti misurabili. Anche un’altra classe di farmaci molto prescritta, le statine, possiede documentate azioni anaboliche sull’osso (e in minor misura, cataboliche) ai dosaggi abituali, ma queste si invertono riducendo le dosi. Non univoche neppure le indicazioni tra un farmaco e l’altro: per la simvastatina i dati sperimentali sono inconsistenti o contraddittori, mentre per l’atorvastatina sono più coerenti; a complicare ulteriormente, le differenze osservate tra animali di specie diverse (ratti, conigli). È stato sperimentato anche il raloxifene, un modulatore selettivo dei recettori estrogenici dell’utero e della mammella, che riduce il rischio di carcinoma mammario e la perdita di massa ossea post-menopausa; inoltre, presenta il vantaggio di indurre l’osteogenesi e ridurre il riassorbimento osseo . Nei modelli sperimentali ha ridotto il rischio di recidiva così come lo psoralene, sostanza di origine vegetale usata nella terapia di psoriasi e lichen planus. Secondo gli autori, calibrando meglio i protocolli di ricerca sarà possibile, in futuro, disporre di composizioni attive localmente da somministrare alla fine del trattamento ortodontico per impedire o almeno ridurre la recidiva.

Tecniche salvatempo in ortodonzia - Ultima modifica: 2022-03-29T11:08:41+00:00 da monicarecagni
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