Lo scanner intraorale rappresenta una realtà operativa consolidata e con una crescente diffusione tra i professionisti. Si rivolge ormai a tutte le principali discipline dell’odontoiatria, dall’implantologia all’ortodonzia; la prima vocazione, comunque, è la protesi fissa su dente naturale.
In questo tipo di applicazioni, alcuni autori hanno rilevato dei limiti nella visualizzazione del profilo marginale della preparazione. Nel 2017, Mandelli è stato il primo a proporre una tecnica combinata analogico-digitale, che prevedeva però la scansione extraorale di un’impronta tradizionale in polimero, il che cancellerebbe il vantaggio del confort per il paziente.
Tecnica mista per l'impronta di precisione
Recentemente, in un lavoro pubblicato su International Journal of Environmental Research and Public Health, Mangano ha proposto un aggiornamento alla tecnica sopra descritta. Lo studio clinico prospettico ha coinvolto un totale di 30 pazienti, sottoposti a restauro con zirconia monolitica trasparente.
Il protocollo proposto è stato il seguente: inizialmente, è stata raccolta una prima impronta intraorale tramite scanner, senza però adottare particolari accorgimenti a livello del margine di preparazione. A questo livello, una volta precondizionati i tessuti molli con filo da retrazione gengivale, è stata successivamente raccolta un’impronta in polivinilsilossano. Per limitare il discomfort della procedura, è stato utilizzato un portaimpronta parziale, disegnato su misura e prodotto, tramite stampante 3D, in una resina certificata per l’uso intraorale. L’impronta analogica, con i margini perfettamente visibili, è stata trattata analogamente al protocollo di Mandelli: prima è stata sottoposta a scansione extraorale con lo stesso scanner utilizzato in precedenza; il negativo digitale così ottenuto è stato, quindi, invertito dal software. Le due scansioni, quella intraorale e quella extraorale, sono state successivamente integrate in un modello digitale unico. Dopo una verifica dei parametri considerati nello studio, effettuata con una replica in poliuretano della corona protesica, il caso è stato finalizzato, con la progettazione e realizzazione, da parte del tecnico, del restauro definitivo stesso.
Sulla replica della corona, gli autori hanno valutato, in totale, 3 outcome. Il primo è rappresentato dall’adattamento marginale, che è stato giudicato ottimale in tutti i trattamenti, a parte uno, errore peraltro imputato all’impronta analogica. Sono stati poi valutati i contatti interprossimali, perfetti in tutti i casi, anche qui con una sola eccezione: un deficit mesiale, che ha richiesto la correzione da parte del tecnico.
L’unico aspetto che ha richiesto correzioni sistematiche, sia in laboratorio che alla poltrona, è stato quello dei contatti occlusali, che hanno mostrato una tendenza all’eccesso, generalmente di entità contenuta.
In conclusione, gli autori hanno indicato il protocollo compatibile con la realizzazione di corone singole dotate di margino adeguato, proponendosi di applicare il protocollo su più pazienti e nell’esecuzione di restauri estesi a più elementi.
Riferimenti bibliografici
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31936096/