Limite in altezza dell’elevazione del pavimento
del seno mascellare: cosa suggerisce la letteratura?
Il secondo parere sul caso clinico presentato da Emma Grecchi è quello di Andrea Enrico Borgonovo
Nel trattamento delle atrofie del mascellare superiore sono state proposte nel tempo diverse tecniche chirurgiche di riabilitazione implantoprotesica.
«L’ottenimento di un’adeguata sede per eseguire l’implantologia immediata», ricorda Andrea Enrico Borgonovo, «può essere raggiunta attraverso l’elevazione della membrana sinusale e il conseguente sollevamento del pavimento del seno mascellare per via laterale o per via transalveolare.
Attualmente, per il trattamento di pazienti che presentano monoedentulie nel settore posteriore del mascellare superiore con atrofia localizzata e con un’adeguata distanza interarcata, è indicato l’utilizzo di tecniche chirurgiche di rialzo del pavimento del seno mascellare per via transalveolare.
Queste soluzioni terapeutiche, considerate minimamente invasive, sono da preferire rispetto alle tecniche chirurgiche più complesse con accesso laterale mediante corticotomia a botola della parete del seno mascellare».
La tecnica chirurgica di rialzo del pavimento del seno mascellare per via transalveolare one stage era stata proposta da Summers nel 1994, in due varianti: Osteotome Sinus Floor Elevation(OSFE) e Bone Added Osteotome Sinus Floor Elevation (BAOSFE).
«Entrambe le procedure chirurgiche», spiega Borgonovo, «prevedevano l’utilizzo di una serie di osteotomi a punta concava per produrre una frattura della corticale residua del seno mascellare in direzione apicale dopo una percussione controllata tramite un martelletto chirurgico. La differenza tra le due procedure è l’eventuale utilizzo di materiale da innesto aggiunto ripetutamente nel sito osteotomico, per raggiungere l’altezza del pavimento del seno mascellare desiderata, previsto nella seconda tecnica».
Nel corso degli anni, ricorda Borgonovo, sono state poi proposte diverse tecniche chirurgiche mininvasive e atraumatiche per elevare la membrana sinusale per via transalveolare, con l’obiettivo di diminuire gli aspetti negativi e aumentare la predicibilità dell’intervento chirurgico.
«In letteratura il rialzo di seno per via transcrestale era indicato per pazienti che presentassero una cresta alveolare residua di 8 mm», spiega, «in modo da permettere il contemporaneo posizionamento di un impianto di 10 mm, che rappresentava il gold standard, elevando la membrana schneideriana di 3 mm al massimo.
Attualmente il gold standard per l’altezza ideale degli impianti è diminuito e molti autori concordano sul fatto che l’indicazione clinica al rialzo del pavimento del seno mascellare per via transalveolare sia uno spessore della cresta ossea residua di 4-5 mm, laddove la distanza interarcata congrua sia mantenuta.
Sotto i 4 mm, infatti, l’elevazione della membrana schneideriana potrebbe essere eccessiva e superare i limiti fisiologici che in alcuni studi è di 5 mm, mentre secondo Nkenke e coll. è di 3 mm. Garbacea et al. confermano, tramite gli studi da loro effettuati, che il limite in altezza dell’elevazione del pavimento del seno mascellare è di 5 mm».
Nel caso clinico illustrato da Emma Grecchi si è presentata la necessità di posizionare due impianti in una zona di edentulia inframezzata a due elementi residui in arcata. Solamente uno dei due impianti doveva essere inserito nella zona dove la cresta alveolare residua misurava 4 mm di altezza. L’elevazione della membrana sinusale sufficiente per posizionare un impianto di una misura ideale in sede 15 è di 1,5 mm.
Il secondo impianto, nella zona con spessore osseo di 8 mm, non necessita di un rialzo di seno, perché la dimensione verticale è necessaria e sufficiente per inserire eventualmente una fixture della corretta altezza.
«Pertanto, eseguire un intervento chirurgico con accesso a botola tramite corticotomia della parete laterale del seno mascellare per elevare la membrana sinusale e aumentare l’altezza residua della cresta alveolare, in questa situazione», dice Borgonovo, «potrebbe risultare un overtreatment.
Quindi l’approccio atraumatico e minimamente invasivo adottato da Emma per affrontare questo caso clinico è valido, in quanto l’elevazione della membrana schneideriana ottenuta risulta nel range corretto per garantire agli impianti una prevedibile lunga sopravvivenza in seguito al loro immediato inserimento dopo il rialzo di seno eseguito per via transcrestale».