È corretto eseguire il rialzo del pavimento del seno mascellare per via transcrestale tramite tecnica atraumatica SinCrest, anche in presenza di una ridotta altezza del residuo osseo alveolare? È quanto chiede Emma Grecchi, giovane odontoiatra di Milano, ad Andrea Enrico Borgonovo, responsabile chirurgico del Reparto Universitario di Riabilitazione orale dell’Istituto Stomatologico Italiano.
Laureata in Odontoiatria e Protesi dentaria presso l’Università degli Studi di Milano nel 2012, si specializza con lode in Chirurgia odontostomatologica presso la stessa Università nel 2017. Dal 2013 è medico frequentatore presso la Fondazione IRCSS Cà Granda – Ospedale maggiore Policlinico – UOC Chirurgia maxillo-facciale e Odontostomatologia a Milano. È coautrice di 7 pubblicazioni scientifiche.
Laureato con lode in Medicina e chirurgia, si specializza con lode in Chirurgia maxillo-facciale. Dal 2006 è professore a contratto presso
la Scuola di specializzazione in Chirurgia odontostomatologica dell’Università degli Studi di Milano. Dal 2015 è visiting professor presso l’Università Cattolica di Murcia (Spagna) e adjunct professor presso LUdeS Foundation Università di Malta. Nel 2012 consegue l’abilitazione nazionale di professore di II fascia. Dal 2011 è responsabile chirurgico del Reparto Universitario di Riabilitazione orale dell’Istituto Stomatologico Italiano di Milano.
La riabilitazione del settore posteriore del mascellare superiore, a seguito della perdita di uno o più elementi dentari, è una situazione frequente da affrontare nella pratica clinica quotidiana. A causa della ridotta disponibilità dell’osso alveolare residuo e alla sua scarsa qualità, il corretto inserimento di impianti in questi settori è spesso problematico, così come la loro prevedibile osteointegrazione.
Pertanto, risulta necessario utilizzare delle tecniche di ricostruzione-rigenerazione ossea in modo da ricreare le condizioni anatomiche idonee a una efficace riabilitazione implantoprotesica.
La tecnica di rialzo del seno mascellare per via laterale nei casi di atrofia, con o senza implantologia immediata, è utilizzata con successo ormai da quasi quaranta anni (Tatum 1976). Tale chirurgia è indicata nei casi di estrema atrofia e può presentare complicanze intra e post-operatorie che hanno indotto progressivamente i clinici a individuare nei casi meno gravi soluzioni alternative mini-invasive e atraumatiche, soprattutto quando si tratti una monoedentulia e in presenza di un residuo osseo di 4-5 mm.
In queste situazioni si è dimostrato sufficiente un accesso chirurgico per via transcrestale con elevazione della membrana sinusale attraverso l’uso di strumentario dedicato, in grado di conservare l’integrità anatomica del seno mascellare, con o senza utilizzo di biomateriale.
Queste tecniche chirurgiche sono adottate nei casi in cui la distanza interarcata sia mantenuta e non ci siano concomitanti deficit verticali e/o trasversali che possano invece necessitare di rigenerazione ossea aggiuntiva (come guided bone regeneration – GBR, espansione della cresta, innesti ossei di apposizione).
La tecnica di rialzo di seno mascellare è stata introdotta da Boyne negli anni Sessanta utilizzando esclusivamente osso autologo da cresta iliaca, ma solo nel decennio successivo con Tatum (1976) è stata acquisita come chirurgia rigenerativa ambulatoriale necessaria per il trattamento dei pazienti con severo riassorbimento alveolare e/o pneumatizzazione del seno mascellare alla riabilitazione implanto-protesica.
Il caso clinico
È quello presentato da Emma Grecchi, giovane odontoiatra di Milano. «È giunta alla mia attenzione una paziente di 70 anni con edentulia parziale», racconta Grecchi, «gli elementi 15 e 16, infatti, erano stati rimossi in seguito al fallimento di pregresse terapie endodontiche non finalizzate correttamente.
La condizione di edentulia perdurava da 3 anni, di qui la richiesta della paziente di riabilitazione protesica fissa senza la compromissione dell’integrità anatomica degli elementi dentari residui. L’elemento 17, ancora in arcata, risultava leggermente mesializzato, mentre il 14 era correttamente posizionato (Figura 1)».
Per ripristinare la funzione masticatoria del settore posteriore del mascellare superiore destro, nonché soddisfare le richieste della paziente, Grecchi decide di posizionare, in anestesia locale, 2 impianti endossei in sede 15 e 16 con successiva riabilitazione protesica con corone cementate.
«La dimensione della cresta alveolare si presentava trasversalmente mantenuta», spiega Grecchi, «anche la distanza interarcata era corretta; al contrario, dagli esami radiografici si evidenziava una pneumatizzazione del seno mascellare con importante riduzione dell’altezza dell’osso alveolare. In merito alle scelte terapeutiche, ho valutato idonea la dimensione verticale dell’osso alveolare presente a un trattamento di rigenerazione ossea per via transcrestale, anche in relazione al buon residuo alveolare trasversale presente».
L’altezza dell’osso alveolare è stata misurata con precisione prima dell’intervento tramite un esame TC e una radiografia endorale eseguita con dei misuratori millimetrati inseriti in posizione 15 e 16: l’altezza dell’osso residuo misurata in zona 16 è risultata di 4 mm, mentre in zona 15 di 8 mm (Figura 2).
«Ho così deciso di eseguire, in anestesia locale, per via transalveolare», dice Grecchi, «un rialzo di seno con tecnica chirurgica minimamente invasiva e atraumatica SinCrest (Meta, CGM SpA, Reggio Emilia), con posizionamento di impianti, considerando che la quantità di altezza ossea residua risultava sufficiente per eseguire l’inserimento contestuale di impianti».
La procedura chirurgica
Eseguita l’anestesia locale plessica con 1 tubofiala di mepivacaina con vasocostrittore e praticata l’incisione mucoperiostea crestale da 14 a 17 con scarico vestibolare distale in zona 17 e mesiale in zona 14 con risparmio della papilla, Grecchi ha eseguito la scheletrizzazione dell’osso alveolare dove sono state individuate e marcate le sedi implantari.
Con frese dedicate e passaggi successivi, è stata portata a termine, sotto controllo radiografico, una elevazione del pavimento di 4,5 mm in sede 16 e di 2 mm in sede 15, misure ritenute idonee all’inserimento e al supporto di due impianti endossei (Outlink, Sweden & Martina, Due Carrare, Padova: in zona 15 è stato inserito un impianto 4.1 x 10 mm, mentre in sede 16 un impianto 3.75 x 8.5 mm) (Figura 3).
«Le sedi per l’alloggiamento del device manuale, con cui è stato concretizzato l’aumento osseo programmato», spiega Grecchi, «sono state preparate tramite frese chirurgiche idonee, di diametro crescente, dotate di stop intercambiabili. Il dispositivo è stato inserito nelle sedi ossee correttamente preparate in sicurezza fino a 1 mm dal pavimento del seno mascellare e successivamente è stato ruotato alternativamente per mezzo giro in senso orario e antiorario, con una leggera pressione in direzione assiale, fino a provocare l’erosione controllata del residuo osseo precedentemente mantenuto in sede. La conseguente frattura del sottile strato di cresta alveolare residua avviene tramite l’avanzamento controllato dello strumento. Lo scollamento della membrana sinusale è stato portato a termine con l’uso di strumenti dedicati (EndoSINUS Probe, Maxil, Omnia). Queste manovre, atraumatiche, correttamente eseguite non hanno provocato perforazioni della membrana schneideriana in fase intraoperatoria e successivamente sono stati posizionati due impianti endossei dopo l’inserimento di innesto osseo Bio-Oss (Geistich Pharma AG, Wolhousen, Switzerland)».
L’intervento s’è concluso con una sutura della mucosa con filo intrecciato in materiale riassorbibile. Nel post-operatorio è stata prescritta un’adeguata terapia antibiotica e antiflogistica con supporto di spray nasale contenente vasocostrittore e corticosteroidi. Il decorso successivo all’operazione è stato regolare e non si sono manifestati episodi sospetti per contaminazione dello spazio respiratorio o infezione localizzata.
«È evidente nella radiografia endorale eseguita immediatamente dopo la fine dell’intervento», fa notare Grecchi, «l’elevazione della corticale inferiore del seno mascellare che risulta riposizionata verso l’alto dalla manovra chirurgica, quindi apicale agli impianti (Figura 4).
Trascorso il periodo dell’osteointegrazione, in fase di quiete, a distanza di 8 mesi dall’intervento chirurgico è stata poi completata e finalizzata la riabilitazione protesica tramite due corone in metallo ceramica cementate agli impianti (Figura 5)».
Il dubbio
Nel caso clinico presentato, la scelta terapeutica effettuata per riabilitare la cresta edentula della paziente è stata quella di rialzare il pavimento del seno mascellare per via transcrestale tramite tecnica atraumatica SinCrest, utilizzando una serie di frese chirurgiche dotate di stop intercambiabili e un device manuale per concretizzare la frattura controllata della corticale sinusale sotto leggera pressione esercitata dall’operatore; e di posizionare immediatamente degli impianti nell’osso alveolare residuo.
«La zona edentula posteriore del mascellare superiore trattata presentava un’altezza ossea della cresta alveolare di solo 4 mm nella sede di inserimento di un impianto, e di 8 mm nella sede di posizionamento del secondo impianto.
È stato corretto affrontare questo caso clinico con questo approccio chirurgico», chiede Emma Grecchi, «nonostante la ridotta altezza del residuo osseo alveolare?».