Degradazione dello strato ibrido e pretrattamento con clorexidina

L’avvento delle metodiche di restauro adesive ha senza dubbio determinato una rivoluzione nella pratica conservativa e protesica in odontoiatria, segnando un passaggio netto dalle tecniche basate sulla ritenzione meccanica nel materiale. Oggi le preparazioni sono in linea di massima più risparmiose nei confronti del tessuto sano e possono rispettare protocolli tendenzialmente meno rigidi. Ciò non comporta comunque il fatto che questo tipo di riabilitazioni non siano potenzialmente soggette a complicanze. È per questo essenziale innanzitutto il rispetto delle indicazioni d’uso degli stessi produttori. Uno dei passaggi che devono essere efficacemente realizzati durante la metodica adesiva è la formazione del cosiddetto strato ibrido.

Nel corso degli anni sono stati individuati e studiati dei procedimenti biochimici in grado di indurre una degradazione dello strato ibrido, favorendo pertanto macroscopicamente il fallimento della ricostruzione. Il procedimento viene in parte correlato all’inserimento di monomeri acidi e idrofilici nelle formulazioni di adesivi sia etch-and-rinse che self-etch, il che ha di per sé l’obiettivo di facilitare nel breve termine l’adesione chimica in ambiente anche parzialmente umido. Tuttavia, nel caso in cui la polimerizzazione non avvenga in maniera efficace, le caratteristiche di idrofilia del monomero residuo predispongono alla degradazione in ambiente acquoso. L’esposizione della matrice collagenica, precedentemente sigillata dalla resina, predispone quindi all’aggressione chimica ed enzimatica. Gli adesivi metacrilati contengono diversi gruppi (esteri, uretano, idrossili, carbossili e fosfati) suscettibili a idrolisi. L’ulteriore infiltrazione da parte dell’acqua favorisce in particolare l’azione delle esterasi. Il complesso è in realtà più ampio e coinvolge altri enzimi proteolitici, quali ad esempio collagenasi, metalloproteinasi di matrice e proteasi cisteina; queste ultime, appartenenti al gruppo delle catepsine, di relativa recente scoperta.

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Una volta compreso il meccanismo di base, la ricerca nell’ambito dei biomateriali ad uso odontoiatrico si è pertanto concentrata su come bloccare il processo degradativo.

Clorexidina in restaurativa adesiva e nella formazione dello strato ibrido

Il composto maggiormente studiato, in questo senso, è probabilmente la clorexidina, la quale manifesta un’azione inibitoria nei confronti delle MMP-2, -8 e -9 e proprio delle catepsine. Ha in più un’efficacia nel mantenimento sia della solidità dello strato ibrido sia della stabilità a lungo termine del legame.

Un ultimo aspetto riguarda le concentrazioni alla quali è consigliato l’impiego della clorexidina. In linea teorica, una concentrazione compresa fra lo 0.05% e lo 0.2% sarebbe sufficiente a interdire le MMP. Tuttavia si è osservato come la presenza di ioni calcio, come quelli liberati durante il passaggio con il primer, sia in grado di interferire con il procedimento. Oltre a ciò, sembra anche che il collagene dentinale esposto competa con le stesse MMP nel legare la clorexidina. Per questi motivi, le indicazioni si stanno orientando su formulazioni maggiormente concentrate (0.5-1% fino al 2%).

Degradazione dello strato ibrido e pretrattamento con clorexidina - Ultima modifica: 2017-05-31T06:11:09+00:00 da redazione