La miglior ricerca clinica nel campo della biologia peri-implantare del 2018, per l’EAO, è italiana. L’European Academy for Osseointegration, infatti, durante il congresso annuale, svoltosi quest’anno a Vienna, ha premiato Marco Clementini, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Odontoiatria dell’Università Vita-Salute San Raffaele, per la miglior ricerca clinica presentata nel campo della biologia peri-implantare.
Un riconoscimento inaspettato
“La mia ricerca clinica aveva già vinto un finanziamento dall’Osteology Foundation, un importante ente internazionale per la promozione della ricerca nel campo della rigenerazione tissutale”, racconta Marco Clementini, “e questo era già un segno dell’attenzione che il mio lavoro aveva suscitato. Tuttavia, sinceramente non mi aspettavo questo risultato: non per niente ero convinto che dopo la presentazione orale del mio lavoro, come da programma, sarei ritornato a casa. Invece, dopo aver risposto alle domande dei commissari, ho capito che intorno alla mia ricerca si stava concentrando un certo interesse che è poi sfociato nel premio”.
Prova che non sempre è necessario recarsi all’estero per poter condurre una buona ricerca scientifica e raggiungere importanti traguardi. “È vero, si può fare ricerca anche in Italia“, sostiene Clementini, “purché si abbia però la fortuna di essere supportati nel proprio lavoro. Ed io, nel mio, lo sono stato, dall’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, dove lavoro dal 2015 e dove ho condotto la ricerca sotto la supervisione del professor Massimo De Sanctis, associato di Parodontologia UniSR, nel reparto di Odontoiatria diretto dal professor Enrico Gherlone, presidente del Corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, direttore della Scuola disSpecializzazione in Chirurgia Orale e da pochi giorni nuovo Rettore dell’Università Vita-Salute San Raffaele”.
L’oggetto della ricerca clinica premiata dall’EAO
È uno studio randomizzato clinico che testa tre modalità di trattamento dopo l’estrazione di un elemento dentale. “Abbiamo confronto tra loro diverse opzioni”, spiega il ricercatore, “la modalità classica, cioè quella in cui si estrae il dente e poi si lascia guarire spontaneamente l’alveolo prima di poter inserire eventualmente un impianto; il trattamento che cerca di prevenire il riassorbimento e preservare la morfologia della cresta, attraverso l’inserimento di un biomateriale che permette di mantenere la struttura tridimensionale; infine, la terza modalità, quella su cui ci siamo concentrati maggiormente e che prevede l’utilizzo delle metodiche di preservazione già dette e contestualmente l’inserimento dell’impianto. In altre parole, abbiamo voluto verificare se l’inserimento di un impianto all’atto dell’estrazione, oltre che far risparmiare al paziente una seconda chirurgia, comportasse gli stessi vantaggi di preservazione che si hanno con la seconda metodica. Osservando i risultati, abbiano visto che i vantaggi di preservazione sono mantenuti e questo lascia ben sperare”.
I prossimi passi
Lo studio è promettente, ma essendo per ora unico e avendo interessato un numero piuttosto ristretto di pazienti, fa sapere Clementini, richiede degli approfondimenti. “C’è la necessità”, spiega, “di aumentare il numero di casi trattati per vedere il grado di predicibilità di questa tecnica, magari coinvolgendo diversi gruppi di ricerca per avere dati più attendibili che a questo punto non dovranno più riguardare solo le alterazioni dei tessuti duri, ma anche la risposta dei tessuti molli. D’altronde, la novità del nostro studio non risiede tanto e solo nell’aver dimostrato la possibilità di ridurre i tempi di inserimento di un impianto dopo l’estrazione, cosa che già si attua da parecchi anni ma con risultati estetici non sempre ottimali, soprattutto nei settori estetici. Il nostro studio mira a individuare la tecnica con la maggiore predicibilità dei risultati clinici ed estetici che devono però mantenersi anche nel medio-lungo termine, ed è quanto ci ripromettiamo di fare nella nostra prossima ricerca”.