I fallimenti endodontici sono comunemente associati con due dati clinici: dolore e patologia periapicale.
Dover approcciare clinicamente un dente già trattato non significa doverlo necessariamente ritrattare. Un lavoro classico di Friedman e Stabholtz fornisce un diagramma di flusso che chiarisce bene come, al pari della devitalizzazione nel trattamento della patologia cariosa, il ritrattamento ha un peso intermedio tra terapie non invasive (monitoraggio clinico e radiografico nel tempo) e opzioni chirurgiche. Queste ultime possono a loro volta essere distinte sulla base della scelta di mantenere l’elemento: comprendono infatti sia l’endodonzia chirurgica che la chirurgia estrattiva e, successivamente ad essa, quella riabilitativa implantologica.
Si consideri la scelta terapeutica come articolata in due passaggi: nella pratica, lo schema tiene conto in maniera più ampia delle esigenze del paziente e può risultare pertanto più elastico.
Il primo step consiste nello studio del caso dal punto di vista endodontico, clinicamente e con indagini radiografiche di primo (periapicale) e secondo livello (CBCT). Il dente può essere valutato come esposto a potenziale fallimento e, pertanto, non immediatamente indicato all’intervento, che è per definizione necessario nell’elemento sintomatico e/o affetto da patologia periapicale.
La seconda valutazione da effettuare è legata al restauro presente, del quale cui vanno considerate la tipologia e la congruità. Si pensi al caso tipico di una prima visita in cui, all’ortopantomografia, si osserva un dente trattato e ricostruito diverso tempo prima.
In caso di elemento giudicato solo a rischio e portatore di restauro coronale congruo o comunque che non necessita di revisione, si potrà confermare l’approccio attendista.
Al contrario, nel caso di elemento asintomatico che richiede rifacimento del restauro o ulteriore intervento (ad esempio la rimozione di un’otturazione in amalgama e la protesizzazione), la zona endodontica si trova esposta direttamente o per via iatrogena al rischio di contaminazione e viene pertanto indicato per il ritrattamento.
Nel caso del dente affetto da patologia, l’elemento decisionale è il restauro, osservato non tanto dal punto di vista dello stato, quanto da quello della rimovibilità della corona. In presenza di ritenzioni canalari molto rappresentate, la cui rimozione metterebbe a rischio la sopravvivenza del dente, è la metodica chirurgica a trovare indicazione.
In generale, l’endodonzia chirurgica è indicata in tutti i casi in cui il ritrattamento ortogrado non sia attuabile, per la presenza di ostacoli non rimovibili o di natura anatomica, o qualora la problematica persista, oppure ancora nel caso siano sospettati danni non riparabili (fratture o alcune perforazioni). D’altra parte, Castellucci osserva in un testo SIE come gli avanzamenti tecnologici nella metodica ortograda abbiano ridotto ai minimi termini le reali indicazioni alla chirurgia. Anche questo ambito operativo, nell’ultimo ventennio, ha beneficiato di 3 progressi fondamentale: la diffusione del microscopio operatorio, a cui è stato dedicato un articolo monografico, le sistematiche a ultrasuoni per la preparazione retrograda e i nuovi materiali da otturazione ad alta biocompatibilità, segmento quest’ultimo tuttora in forte evoluzione.
Riferimenti bibliografici
https://www.ildentistamoderno.com/il-ritrattamento-endodontico-indicazioni-strumenti-consigliati-e-procedure/
Guidelines for Surgical Endodontics – Royal College of Surgeons
Micro-endodonzia chirurgica Micro-surgical endodontics Arnaldo Castellucci Matteo Papaleoni