Le recessioni gengivali costituiscono una tematica sempre attuale e, anzi, stanno incontrando un maggiore interesse sia da parte dei clinici che da quello dei pazienti. Se per quanto riguarda i pazienti, l’aspetto di primaria considerazione è per forza di cose l’estetica, i professionisti affrontano queste condizioni cliniche con un know how crescente. In primo luogo, nel corso degli ultimi anni sono stati meglio compresi diversi aspetti eziologici e alcuni meccanismi patogenetici che portano al riassorbimento della gengiva e alla formazione della recessione. Secondariamente, è chiaro che l’odontoiatra ha una percezione clinica che va oltre il disestetismo fine a se stesso: sta a lui informare il paziente su quelle che sono le problematiche più gravi legate alle recessioni (predisposizione a carie radicolare, azione sinergica alla perdita di attacco clinico nella malattia parodontale) e confrontarsi nel modo giusto sul piano terapeutico.
Un altro aspetto importante è che l’evoluzione della diagnosi delle recessioni e della chirurgia mucogengivale hanno sensibilmente migliorato la gestione dei tessuti molli anche in ambito protesico, sia che si tratti della protesi tradizionale cementata su dente naturale che di quella su impianti.
YouTube: please specify correct url
Video from Youtube by Dr Kuljeet Mehta
La definizione di recessione gengivale è oggi sostanzialmente univoca. Naturalmente, i dati epidemiologici disponibili in Letteratura risentono del contesto dal quale vengono estrapolati.
A seconda degli studi, la problematica interessa una fetta della popolazione non inferiore al 30%. Alcuni Autori forniscono dei campioni interessati nella loro totalità percentuale. Un dato tenuto particolarmente in considerazione si riferisce al lavoro di Albandar e Kingman del 1997, che riporta una prevalenza del 58% nella popolazione statunitense per quanto riguarda le recessioni di almeno 1 mm, dato a salire con l’età.
Dal punto di vista eziologico, i fattori predisponenti sono ordinati in 3 gruppi principali. Il primo è per forza di cose la forma del tessuto gengivale: è accertato come i biotipi sottili siano maggiormente esposti alla problematica rispetto ai biotipi spessi. Va da sé che si tratta di un discorso generico, dato che ogni singolo paziente presenta un biotipo proprio, inquadrabile però in un contenitore più ampio. A tal proposito, sono diverse le metodiche atte a definire il biotipo.
Il secondo aspetto da considerare è costituito dalle condizioni anatomiche, ovvero da come la gengiva si interfaccia con la struttura dentaria sottostante: vengono qui considerati diversi dati, tra i quali la prominenza della radice, alcune malposizioni dentarie, la presenza di deiscenze ossee e fenestrazioni e problematiche a carico della sequenza eruttiva. Un dato anatomico fondamentale in alcuni settori riguarda il punto d’inserzione dei frenuli.
A questi fattori predisponenti si aggiungono tutti quei fattori che rappresentano una forma di traumatismo a carico della gengiva: tecnica di spazzolamento inadeguata, fattori di natura iatrogena (restauri incongrui a livello marginale o fattori legati alle terapie ortodontiche).