Una vera svolta nel campo dell‘odontoiatria conservativa seguì l’introduzione delle resine composite nella pratica quotidiana: il passaggio dalla ritenzione meccanica + cementazione, proprie degli amalgami, alla ritenzione chimica ha necessariamente stravolto i requisiti cavitari. Nel contempo, numerosi studi microbiologici hanno incrementato notevolmente le conoscenze sull’eziopatogenesi della carie dentale, rendendo più mirata anche l’azione preventiva, che verrà illustrata successivamente.
I compositi, naturalmente, non esentano l’operatore dalla fase chirurgica demolitiva, ma fanno sì che questa segua con precisione la forma della lesione cariosa. Il risultato è stato, a fianco ovviamente della brillantezza della resa cromatica, un aumento indiscutibile della tolleranza biologica nei confronti del materiale e, nel complesso, di una maggiore naturalezza del restauro.
Naturalmente, anche i materiali compositi hanno esigenze meccaniche da rispettare e difetti a cui porre rimedio. La variabile più importante è la contrazione da polimerizzazione, diretta conseguenza della composizione chimica del materiale, e che può cambiare anche notevolmente in ragione di quest’ultima. Una strategia valida atta a minimizzare questo ed altri aspetti problematici è la procedura di stratificazione del composito, che tra l’altro permette un maggiore controllo sull’anatomia e sulle determinanti del colore.
Come già detto, negli ultimi decenni sono state compiute scoperte fondamentali sui processi biologici che portano alla deposizione del biofilm (è stato in primo luogo scoperto che la placca è, appunto, un biofilm) sulle superfici dentarie e su come alcune sostanze prodotte dai batteri siano in grado di aggredire i tessuti mineralizzati. A fianco della conservativa tradizionale, che può essere definita la terapia chirurgica della carie, è stata introdotta una forma di terapia medica per questa patologia multifattoriale. La strategia principalmente adottata è quella di aumentare la resistenza del substrato dentario, favorendo la trasformazione dei cristalli di idrossiapatite dello smalto in fluoroapatite. Si tratta, ovviamente, della fluoroprofilassi, che può essere condotta per via topica o, in maniera ancor più efficace, attraverso la somministrazione per os di fluoruri in età evolutiva; nel caso della terapia sistemica, è indispensabile attenersi alle indicazioni fornite con precisione all’interno delle Linee Guida ministeriali. I composti fluorurati, una volta legati al tessuto dentario, vengono rilasciati lentamente e svolgono un’azione protettiva contro il microbiota cariogeno.
Procedura di odontoiatria restaurativa nel rispetto del concetto di minimamente invasivo
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Più recentemente, è stata codificato e proposto un’approccio combinato tra terapia medica e chirurgica, definito trattamento microinvasivo. In questo caso, viene asportato solamente il quantitativo di dentina irreversibilmente compromessa (infetta) e il relativo smalto sottominato. La dentina affetta circostante viene sottoposta a fluoroterapia, al fine di portarla a rimineralizzazione.
Questo interessante approccio garantisce un risparmio anche notevole dei tessuti vitali ma, nel contempo, richiede una precisa preparazione tecnica all’operatore.
[…] fluoroprofilassi viene considerata, come illustrato anche in un precedente articolo dedicato al razionale della […]