L’approccio implantare ad atrofie mascellari sempre più gravi è sempre più comune ma, allo stesso tempo, rappresenta ancora una sfida clinica, gestibile solo con materiali eccellenti e protocolli validati. Di fronte a un deficit di grado francamente severo, che interessa sia la dimensione orizzontale che quella verticale, l’implantologo si trova sostanzialmente a dover scegliere fra 3 opzioni di bone augmentation: la rigenerazione ossea guidata (GBR), la distrazione osteogenica e l’onlay grafting, ovvero l’innesto a blocco. Quest’ultimo rappresenta la tecnica classica e maggiormente documentata, e prevede siti di prelievo extraorali, come la cresta iliaca, o intraorali, come il ramo ascendente della mandibola.
Anche l’osso autologo, pur rappresentando il gold standard in termini di biocompatibilità e capacità osteoconduttive, una volta trapiantato nella sede ricevente, va incontro a fenomeni di guarigione e integrazione, comportanti anche necessariamente un certo tasso di riassorbimento.
Al fine di quantificare efficacemente l’entità di tale processo, il gruppo di lavoro tedesco di Stricker ha condotto uno studio analitico su immagini TC cone beam sottoposte a registratura automatizzata. I risultati dello studio sono stati recentemente pubblicati in un articolo apparso sull’ International Journal of Implant Dentistry.
Il lavoro ha incluso complessivamente 11 pazienti adulti (età 20–69, media 53), di cui 10 di sesso femminile, affetti da difetti ossei severi, con uno spessore trasversale inferiore ai 3 mm e una dimensione verticale minima di 7 mm.
Innesto a blocco: grado di riassorbimento
Tutti sono stati sottoposti a TC cone beam al tempo zero, subito dopo l’intervento bone augmentation e a 12 mesi da questo, che per tutti è consistito in un innesto a blocco a prelievo retromolare. La tecnica è stata per tutti la medesima: incisione mucoperiostea paramarginale e prelievo corticomidollare, con chirurgia piezoelettrica e osteotomo, dal ramo ascendente mandibolare. L’innesto è stato quindi adattato al sito ricevente (allestito e valutato preventivamente), al quale è stato fissato con viti in titanio da 1.5 mm di diametro e 8 mm di lunghezza. Il lembo tension-free è stato infine suturato con filo non riassorbibile.
Complessivamente, negli 11 pazienti sono stati effettuati 16 interventi di bone augmentation e, a una distanza media di poco più di 3 mesi, inseriti complessivamente 22 impianti, tutti protesizzati con successo.
Per quanto riguarda l’analisi volumetrica, come detto, è stato impiegato il procedimento della registratura di immagini al fine di confrontare immagini CBCT, raccolte nelle diverse fasi, mantenendo gli stessi riferimenti anatomici delle regioni di interesse (ROI).
Il volume medio dell’innesto è risultato pari a 372.2 ± 179.4 mm3. Al termine del follow-up annuale, il riassorbimento relativo al volume di partenza è stato del 43.7 ± 19.0% ed è stato giudicato altamente significativo, con una differenza superiore a livello del mascellare superiore.
In conclusione, le ampie variazioni volumetriche rilevate in questo studio pilota, in attesa di studi controllati con campioni numericamente più consistenti, dimostrano la necessità di un attento monitoraggio del grado di riassorbimento dell'innesto osseo a blocco, prima e dopo l’inserimento degli impianti, anche in una tecnica consolidata come quella in esame.