Le patologie cariose a carico degli elementi dentari posteriori fanno parte della pratica quotidiana di qualsiasi professionista che si occupi di odontoiatria restaurativa conservativa. Negli ultimi anni, l’avvento delle resine composite ha modificato il concetto di cavità, storicamente legato al nome e alla classificazione di Black, che mantiene comunque una valenza didattica imprescindibile per chi si avvicina alla disciplina. Per quanto dunque la preparazione cavitaria modernamente intesa si limiti a seguire l’estensione della lesione cariosa, rimane corretto definire come cavità di I classe quella che interessa la superficie occlusale di elemento posteriore, senza coinvolgere in alcun modo le aree approssimali.
Questo tipo di restauri, che dal punto di vista clinico possono essere considerati fra i più facili, in realtà presentano aspetti critici dal punto di vista biomeccanico, collegate sostanzialmente con la contrazione da polimerizzazione del composito.
Il rischio sopracitato può essere quantizzato: si definisce fattore C il rapporto fra il numero delle superfici di adesione di una cavità e il numero delle superfici su cui l’adesione non viene effettuata. Il valore maggiormente favorevole è 1, risultante della presenza di una superficie di adesione e di una di non adesione. Al contrario, l’otturazione di I classe risente del fattore C più elevato (5), dato che presentano una singola superficie libera in grado di scaricare lo stress da contrazione sulle 4 pareti e sul pavimento della cavità; risolvere il restauro tramite l’apporto di un’unica massa di composito è pertanto sconsigliato. Il modo con cui è stato risolto questo problema è la stratificazione: ogni singola apposizione di materiale ha perciò un proprio fattore C ridotto (comunemente ha valore 1).
Il video mostra passo passo la realizzazione di una cavità interprossimale in area estetica
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Nel corso degli anni, l’affinamento dei materiali ha fatto sì che venissero introdotte tecniche incrementali diverse, indirizzate ad un ventaglio di esigenze cliniche man mano più ampio: stratificazione orizzontale od obliqua, a 3 o a 4 incrementi e così via.
Negli ultimi tempi, a fianco di esse, si è fatta strada la tecnica bulk-fill, basata su un materiale dalle caratteristiche differenti, che è già stata affrontata in altri lavori precedenti. Basandosi solo sul punto di vista del fattore C, infatti, sembrerebbe ovvio che una resina ancora più ricca di matrice disposta a contrarsi sia assolutamente controindicata per questo tipo di restauri. In realtà, le case che hanno introdotto tale tecnica argomentano ampiamente rispetto a tali dubbi, in primo luogo ricordando che il fondo di bulk viene completato superficialmente con un composito caricato in riempitivo inorganico.
In conclusione, va ricordato infine che allo stato attuale dell’arte, e con le pur notevoli performance garantite dai materiali compositi, è solo padroneggiando una tecnica di stratificazione che si possono ottenere risultati estetici eccellenti, si in termini di fedeltà anatomica che di verosimiglianza cromatica.