In merito alla terapia dell’occlusione, la letteratura scientifica internazionale e le Linee Guida Ministeriali sembrano suddividere tra i diversi settori dell’odontoiatria differenti modelli di intervento, a volte mirati alla idealizzazione e a volte alla non modifica. Una ricerca svolta su PubMed, Cochrane library, MedLine e bibliografica manuale ha esaminato lavori che approfondissero gli approcci all’occlusione proposti nei vari ambiti odontoiatrici. L’analisi della letteratura e il confronto con le Linee Guida Ministeriali portano a considerare un cambio di paradigma dell’occlusione in funzione sistemica per valutarne in modo migliore l’importanza e l’approccio
Mauro Malerba
Professore a contratto di Gnatologia Corso di laurea in Odontoiatria e Protesi dentaria Università di Verona
Andrea Perina
Odontoiatra
Corrispondenza: drmauromalerba@gmail.com
L'occlusione dentale ha sempre rappresentato un importante elemento di discussione in ambito odontoiatrico, a partire dalla definizione di idealità e funzionalità sino a oggi, dove l’evidenza scientifica ne mette in discussione il senso. Il rapporto esistente tra i piani occlusali singoli delle due arcate dentarie antagoniste a contatto è il risultato della forma dei denti geneticamente determinata e della loro posizione, frutto di un equilibrio dinamico tra genetica, funzione e divenire del tempo(1), che si traduce sostanzialmente in un insieme di contatti dentari, in media non superiore a 40, distribuiti simmetricamente nelle due arcate. Punti di contatto che diventano progressivamente, per funzione occlusale, superfici di contatto tanto più quanto prevale la componente di funzione orizzontale su quella verticale. L’ortodonzia e la gnatologia hanno sempre rappresentato un pilastro nello studio dell’occlusione, come la protesi nella sua riproduzione e registrazione. Il temine “ortodonzia” venne inserito nel volume A Dictionary of Dental Science di C. Harris, pubblicato nel 1849 a New York, e la materia ha ragionato sull’allineamento dei denti, sulla correzione delle proporzioni del viso e sulle tecniche operative relative. In relazione ai rapporti canini e molari, nel 1899 Angle E.H. definì le classi di occlusione(2), trasformando la materia ortodontica in disciplina autonoma che si occupa dello studio, della diagnosi e della terapia della posizione anomala di uno o più elementi dentali con la fondazione della Angle School of Orthodontia nel 1900 a St Louis e della American Society of Orthodontists nel 1901. Introducendo i termini di occlusione corretta -normocclusione per la classe I e di occlusione non corretta-malocclusione per le classi II e III, a lui possiamo ricondurre la genitorialità del sinonimo malocclusione-patologia e quindi terapia, che ha retto lo stato dell’arte per tutto il ventesimo secolo. L’ortodontista dottor Harvey Stallard di San Diego (Stati Uniti) all’inizio degli anni ’20 del 1900 coniò il termine “gnatologia”, dal greco “gnathos” che significa mandibola e “ology” che significa studio e quindi “studio della mandibola” (anche se probabilmente l’autore intendeva studio delle mascelle).
Il dottor Beverly B. McCollum di Los Angeles (USA) nel 1926 fondò la Gnathological Society, che nel 1955 definisce la gnatologia come «la scienza che si occupa degli aspetti biologici dei meccanismi di masticazione, cioè la morfologia, l’anatomia, l’istologia, la fisiologia, la patologia e le terapie dell’organo orale, specialmente le mascelle e i denti, e le relazioni dell’organo masticatorio con il resto del corpo».Nel 1948, Ballard (3) introdusse il concetto di classe scheletrica analizzando l’angolo ANB su una teleradiografia, idealizzando il lavoro ortodontico e chirurgico dell’ortognatodonzia. Nel 1972 Andrews (4) considerò il rapporto molare della prima classe di Angle non sufficiente a definire la occlusione normale e introdusse il concetto delle sei chiavi di occlusione: rapporto molare di prima classe, asse coronale inclinato mesialmente, asse incisivo inclinato vestibolarmente e premolare-molare palatino, assenza di rotazioni, punti di contatto, leggera curva di Spee. Nel 1980 il dottor Ronald H. Roth (5, 6), che collaborò con il dr. Andrews nella definizione delle “Sei chiavi dell’Occlusione”, definì il concetto di “Occlusione Ottimale e Funzionale”: occlusione centrica coincide con relazione centrica, rapporti di classe I o cuspide-fossa, uguale distribuzione delle forze posteriori, rapporti di protrusiva, rapporti di lateralità, disclusione posteriore. Gli studi sull’ occlusione hanno avuto grande fermento nei due secoli scorsi nella definizione dei caratteri di idealità e di riferimento anatomico anche ai fini protesici: curva di Spee, curva di Wilson, elicoide di Ackermann-Gerber (7), angolo e movimento di Bennet, inclinazione del piano occlusale, piano di Francoforte di Rudolf Virchow, piano di Camper, rapporto cuspide fossa, occlusione bilanciata bilaterale di Gysi nel 1910 (8), occlusione organica di Stuart C.E. nel 1959, miocentrica di Bernard Jankelson nel 1969 (9), occlusione ideale di C.E Stuart (10) e R.E Stallard con 144 contatti nella posizione di massima intercuspidazione (PIM) e 168 secondo quella proposta da Peter K. Thomas (11) e tanti altri ancora. Il campo di studio si è esteso alle articolazioni temporomandibolari, ai muscoli masticatori, alla postura, alla psiche, al cognitivo-comportamentale e all’omeostasi, considerando il concetto di occlusione integrata quanto l’occlusione dentale sistema del sistema uomo (12). Ortodonzia, gnatologia e protesi hanno creato i razionali dell’occlusione riferendosi al lavoro eseguito in quattro milioni di anni di evoluzione dalla specie umana, che ha creato standard di forma-funzione che oggi la letteratura ci dice non correlabili al concetto di salute/patologia del sistema stomatognatico e posturale. Allora, quale deve essere l’atteggiamento del professionista che osserva l’occlusione del suo paziente? La forma non ideale è da cambiare, da tenere monitorata, da non considerare? Quali i parametri, i protocolli le linee guida? Le discipline dell’odontoiatria si devono approcciare tutte allo stesso modo all’occlusione; e quando parliamo di occlusione, quali e quanti parametri consideriamo? Consideriamo inoltre l’occlusione solo in bocca o anche nel cranio o nel corpo? In ambito gnatologico non è sostenuta scientificamente la terapia occlusale; sono indicati interventi reversibili e di gestione della sintomatologia sulla base del fatto che l’occlusione sembrerebbe avere solo un impatto di tipo marginale, se non nullo, sulla genesi dei disturbi articolari e muscolari nel paziente (13, 14). In ambito ortodontico, nel 2017, l’American Journal of Orthodontics (15) scrive che le occlusioni di seconda o terza classe di Angle non sono malocclusioni e le malocclusioni non sono patologie, ma variazioni rispetto a una norma ideale. Questo porterebbe a giustificare il cambio terminologico da terapia in trattamento; e poi trattamento a che fine: solo estetico, visto che la letteratura non sostiene la disfunzione stomatognatica e stomatognatico-posturale? E se la letteratura non sostiene la terapia occlusale, ma madre natura replica degli standard anatomo-funzionali, fino a dove è giusto integrare scienza e coscienza?
Materiali e metodi
Si è eseguita una ricerca bibliografica su PubMed, Cochrane library, MedLine e bibliografica manuale per ricercare studi che analizzassero gli approcci all’occlusione proposti in ambito odontoiatrico nelle discipline di gnatologia, protesi, ortodonzia e ortognatodonzia; si sono analizzate agli stessi capitoli le indicazioni del Ministero della Salute pubblicate nelle Raccomandazioni cliniche in odontostomatologia (14 Settembre 2017) e nelle Linee guida nazionali sulla classificazione, inquadramento e misurazione della postura e delle relative disfunzioni (29/12/2017).
Risultati
Occlusione in gnatologia
Nell’ambito della gnatologia, il trattamento dell’occlusione è da inquadrare nel capitolo dei disordini temporo-mandibolari e delle relazioni occluso-posturali. In merito ai disordini temporomandibolari è stato sviluppato un insieme dei criteri per la diagnosi e un sistema di classificazione, DC/TMD (Diagnostic criteria for temporomandibular disorders del National Institute of Dental Research) su due assi:
- disordini clinici muscolari e articolari vengono definiti come Axis I;
- fattori psicologici (ansia, depressione, somatizzazione) e sociali (qualità della vita) vengono classificati come Axis II (16, 17).
Secondo questa prospettiva, i fattori comportamentali, cognitivi, fisici e affettivi interagiscono tutti tra loro, definendo una genesi multifattoriale (De Boever JA. Functional disturbances of the temporomandibular joint, Oral Sci Rev 1973;2:100-17; Munksgaard, 1979) sul modello biopsicosociale (18). La natura a eziologia multifattoriale nel modello biopsicosociale introdotto dallo psichiatra George Libman Engel e Jon Romano della Rochester University nel 1977, ripreso nel Meikirch model for health and disease dello svizzero Johannes Bircher, ci permette di capire che non siamo di fronte a un modello deterministico; ogni elemento di causa non è necessario e sufficiente allo sviluppo della patologia e quindi ha una relazione debole. Dobbiamo quindi considerare un modello probabilistico di causa in cui, inevitabilmente, si devono attribuire dei pesi alle singole componenti, di cui l’occlusione è una fisica di struttura che in un’ottica sistemica sviluppa interazioni forma-funzione anche psico-metaboliche. Il tutto associato alla capacità di adattamento del sistema uomo, di cui l’occlusione è un sottosistema che costituisce un ulteriore elemento di variabilità descritto in letteratura odontoiatrica già nel 1932 da Goodfriend (19). Questo insieme di punti sostiene modifiche occlusali reversibili, a mezzo placca gnatologica (20), come primo approccio da considerare diagnostico e prognostico determinando di fatto una gestione dell’ occlusione: modifica temporanea con un dispositivo al fine di risolvere o contribuire alla risoluzione della sintomatologia associato a una gestione farmacologica, rieducativa, cognitivo-comportamentale (21). In queste pagine si riportano alcuni lavori che non sostengono l’importanza dell’occlusione nei TMD (Tabella 1), lavori che la sostengono (Tabella 2) e le indicazioni ministeriali (Tabella 3).
In ambito di occlusione e postura si deve partire dalla posturologia, che considera l’occlusione come recettore da cui partono informazioni trigemino mediate in grado di influenzare la risposta neuromuscolare di posizione corporea e la performance (47, 48, 49, 50, 51). Dall’inizio degli anni ’80 del 1900, in Francia iniziano due filoni di ricerca: a Parigi il professor P.M.Gagey, a Marsiglia il gruppo del professor Bernard Bricot (52).
Entrambi parlano di un sistema cibernetico - il Sistema Posturale Fine (S.P.F.) secondo P.M. Gagey e il Sistema Tonico Posturale (S.T.P.) secondo B.Bricot - in cui afferenze periferiche, gli esocettori (occhio, piede, pelle, apparato stomatognatico) e i propriocettori, vengono elaborate a livello centrale con una risposta antigravità nei principi della termodinamica, massimo comfort e performance con il minor dispendio energetico.
L’occlusione rappresenta allo stesso modo un elemento di stimolo stabilizzante o perturbante per la postura o un punto in cui le richieste adattative del sistema esplicano la loro azione stabilizzante e perturbante; quindi, allo stesso tempo può essere causa o effetto di funzione e disfunzione, legando la sua forma alla posizione e simmetria mandibolare e dunque al baricentro corporeo. Si riportano alcuni lavori che sostengono la relazione occluso-posturale (Tabella 4), che non la sostengono (Tabella 5) e le indicazioni ministeriali (Tabella 6).
Occlusione in protesi
In ambito di protesi, la terapia dell’occlusione è da inquadrare nel capitolo del restauro protesico dei denti naturali e/o della sostituzione dei denti mancanti e dei tessuti orali contigui con sostituti artificiali. La letteratura ha avuto come focus principali il modello occlusale ideale e la relazione con la posizione condilo-meniscale.Il sistema stomatognatico dei pazienti sembra essere in grado di accettare e adattarsi alle modifiche occlusali; nel 2015, in merito alla capacità del sistema stomatognatico di adattarsi a una dimensione verticale recuperata o nuova, Moreno e Okeson hanno scritto quanto segue: «I cambiamenti occlusali permanenti dovrebbero essere tentati solo dopo che il paziente ha dimostrato adattabilità alla nuova dimensione verticale» (65). Si riportano alcuni lavori pubblicati (Tabella 7) e le indicazioni ministeriali (Tabella 8).
Occlusione in ortodonzia
In ambito ortodontico, la terapia dell’occlusione è da inquadrare nel capitolo dell’idealizzazione di forma dentale e forma dentoscheletrica in fase di crescita, con sua variazione permanente. La terapia ortodontica viene considerata neutra nei confronti dei TMD71 (Tabelle 9-10).
Occlusione in ortognatodonzia
In ambito ortognatodontico, la terapia dell’occlusione è da inquadrare nel capitolo dell’idealizzazione di forma dentoscheletrica nel paziente fine crescita, con sua variazione permanente a opera ortodontica e chirurgica (Tabelle 11, 12 e 13).
Discussione
Riguardo al tema occlusione, in letteratura i disordini temporo-mandibolari restano protagonisti di un intenso dibattito; nonostante esistano migliaia di pubblicazioni si è ancora orfani di un consenso.
Yaser Al-Sharaee et al. hanno confrontato i primi 100 articoli più citati nel campo dei TMD, pubblicati dall’anno 2000 al 18 novembre 202190, evidenziando che i focus sono stati:
a) criteri diagnostici;
b) sintomi dei TMD e principalmente sintomi correlati al dolore;
c) eziologia e fattori di rischio dei TMD e principalmente bruxismo;
d) trattamento dei TMD.
L’occlusione non è attualmente così considerata in questa classifica, evidenziandone la perdita di ruolo. Sicuramente la natura multifattoriale sul modello biopsicosociale e l’ampio concetto di occlusione, che si può riferire alla natura ortodontica della classificazione di Angle, alla natura gnatologica del numero di contatti dentari e ai caratteri delle curve e guide occlusali o alla natura protesica del numero di denti, rendono arduo per uno studio poter analizzare in modo completo il tema occlusione. Robert J. A. M. de Kanter et al. nella pubblicazione TMD: l’occlusione conta? (91) concludono con il consiglio di smettere di cercare di trovare l’esatto ruolo eziologico dell’occlusione nella prospettiva del TMD e di concentrarsi su uno studio critico delle informazioni scientifiche e cliniche disponibili e integrarle. Oltre alla relazione tra occlusione e TMD, l’altra vasta area di interesse scientifico riguarda la postura. Per la stazione eretta è fondamentale il controllo dell’asse cranio-podalico dove il sistema stomatognatico asse cranio-mandibolare svolge un ruolo primario di compenso nei disallineamenti; la mandibola è utilizzata per attivare le catene muscolari anticaduta sia nel disallineamento anteriore e posteriore sia laterale (92, 93, 94).
Si sono evidenziate relazioni tra classe dentoscheletrica e postura (95, 96, 97), chirurgia maxillo-facciale e postura (98, 99, 100), TMD e postura (101, 102), tra occlusione e sport (103), ma molte review restano negative al tema (60, 61, 62, 63, 64). Michelotti et al. (104) concludono la loro revisione della letteratura sostenendo che, se alcune associazioni sono state trovate tra fattori occlusali e alterazioni posturali, non c’è una evidenza scientifica che supporta la relazione causa-effetto. È ragionevole che il sistema stomatognatico possa influire sulla funzione della regione cervicale, ma gli effetti clinici e la rilevanza sulla postura corporea non sono ancora ben conosciuti al momento. Se la qualità della migliore evidenza è bassa, i risultati possono facilmente essere mal interpretati, e c’è un pericolo latente di overdiagnosis e overtreatment. Il confronto con le Linee Guida Ministeriali permette di inquadrare in ambito disciplinare odontoiatrico i vari interventi sull’occlusione, ma rende non pienamente comprensibile come la stessa occlusione sia giustificatamente trattabile in modi diversi. Superando i concetti di idealità di forma, la funzione occlusale stimola diverse aree della corteccia cerebrale: somatosensoriale, motoria supplementare e insulare. Inoltre, la corteccia sensomotoria è influenzata dai cambiamenti nell’occlusione. Sebastian Silva Ulloa et al. (105) descrivono come le alterazioni del pattern occlusale durante la masticazione possano portare a cambiamenti nell’attivazione di diverse regioni cerebrali legate alla memoria, all’apprendimento, al dolore e all’ansia. Ciò suggerisce che la masticazione mantenga l’integrità di alcune aree cerebrali e che potrebbe essere un fattore chiave nell’insorgenza di malattie neurodegenerative. La assenza dentale, una disarmonia occlusale, protesi scarsamente adattate o diminuzione della forza del morso sono fattori di rischio per il morbo di Alzheimer, la demenza senile, l’ansia e lo stress a causa di alterazioni dell’apporto sanguigno, e quindi di ossigeno, alla corteccia prefrontale. Il ponte di comunicazione tra i denti e le funzioni cerebrali avviene attraverso i meccanocettori orali del legamento parodontale, articolari e muscolari e il “generatore masticatorio centrale” (CPG), situato in una regione che va dal ponte medio al bulbo superiore del tronco cerebrale. Questo CPG provoca la masticazione a causa dei movimenti mandibolari e linguali e dell’azione della muscolatura periorale in azione automatica-ritmica, che sono modulati dalle informazioni sensoriali fornite durante la masticazione stessa e da aree sensoriali di ordine superiore come le aree motorie sottocorticali, i gangli della base e la corteccia sensomotoria. Miyamoto I. et al (106) e Ohkubo C.et al. (107) hanno simulato arcate dentarie complete e arcate dentarie corte utilizzando bite occlusali e misurato l’attività cerebrale durante il massimo serramento volontario. I livelli di OxyHb e il volume del sangue erano significativamente inferiori negli archi corti rispetto agli archi completi. Una possibile spiegazione potrebbe essere il minor numero di meccanocettori parodontali che producono meno impulsi e, quindi, provocano una minore attivazione della corteccia cerebrale e una minore attività muscolare. Il serramento volontario e la deglutizione volontaria sono attività muscolari che aumentano la frequenza cardiaca; l’uso del bite ne riduce invece l’aumento, evidenziando una relazione tra percezione sensoriale periferica e attività cardiocircolatoria. Inoltre, il serramento volontario sembrerebbe attivare il sistema nervoso parasimpatico e la deglutizione volontaria il simpatico (108). Tali evidenze definiscono l’occlusione e la sua modifica come interferente sistemico, vegetativo, metabolico e psichico dell’omeostasi corporea dell’individuo, che deve essere considerato nella proposta terapeutica (109).
Conclusioni
La variazione dell’occlusione attiva una risposta biologica che chiamiamo adattamento in funzione e forma, a volte adempiente al benessere e a volte inadempiente con disagio, insoddisfazione, TMD, dolore cronico, tensioni psicoemotive per motivi non deterministici che possono esulare dalla forma occlusale stessa, come la capacità di adattamento dell’individuo o una sua buona disposizione a tale atto, gnatologico, protesico, ortodontico o ortognatico che sia. L’analisi della letteratura e delle indicazioni ministeriali danno certamente indicazioni sulle modalità di approccio all’occlusione in accordo con l’evidenza scientifica; ciò che non pare certo è quando si deve fare diagnosi di occlusione patologica e poter usare pienamente il termine di terapia anche in considerazione medico-legale.
- In ambito gnatologico, si considera l’occlusione solo nei confronti dei TMD e della postura, attribuendole un ruolo marginale; pertanto, se ne propone un trattamento di tipo conservativo che non prevede modifiche permanenti: gestione.
- In ambito protesico si considera l’occlusione come elemento di stabilità da modificare in modo permanente solo in casi in cui si renda necessario a tale fine: restauro.
- In ambito ortodontico si considera l’occlusione in termini di allineamento senza definire alcuna classe di Angle patologica e si eseguono sempre modifiche permanenti tendenti alla idealizzazione: trattamento.
- In ambito ortognatico si considera patologia la discrepanza dentoscheletrica e si attuano sempre modifiche permanenti tendenti alla idealizzazione: terapia.
Nel corso di un secolo, l’importanza della terapia occlusale è passata da necessaria a sconsigliata in ambito gnatologico, ma non ortodontico o ortognatico; l’evidenza scientifica è controversa e l’indicazione sta migrando da una prevalenza funzionale a una estetica.
Nonostante la parcellizzazione disciplinare odontoiatrica, l’occlusione resta, a prescindere, sempre la stessa cosa: un agglomerato forma-funzione che madre natura ripete nel processo evolutivo della specie in ragione adattativa, una parte di un sistema interconnesso allo stesso e performante all’omeostasi e salute del soggetto, che è sempre un unicum. Potrebbe bastare solo questo per definire il senso e l’importanza dell’occlusione? L’aspetto terminologico di “gestione, restauro, trattamento o terapia” potrebbe essere riconsiderato in modo transdisciplinare e sistemico a “chiarezza etica, morale e deontologica oltre che scientifica”? Da ultimo e non ultimo, il paziente: è il peso che il paziente dà al sintomo o al segno che fa la patologia e quindi detta la necessità terapeutica?
Occlusion: management, restoration, treatment, therapy? Comparing scientific literature and ministerial guidelines
When it comes to occlusion therapy, international literature and ministerial guidelines seem to parcel out the different branches of dentistry to different models of intervention, sometimes aimed at idealization and sometimes at non-modification. What protocols, reasons and models. Comparison of publications. A search was performed on PubMed, Cochrane library, MedLine and manual bibliography to find studies that analyzed the approaches to occlusion proposed in dentistry.The analysis of the literature and the comparison with the ministerial guidelines lead us to consider a paradigm shift of the occlusion in a systemic function in order to be able to better evaluate its importance and its approach.
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