«Una bocca tanto secca e asciutta, senza saliva, da far fatica a masticare, mangiare, ingoiare, persino a parlare, con il rischio di infezioni nella bocca e caduta dei denti: si tratta di un disturbo frequente negli anziani, che può essere in realtà un comune effetto collaterale dei farmaci prescritti, soprattutto quelli per l’incontinenza urinaria». È quanto spiega uno studio della Monash University di Melbourne, pubblicato sul Journal of the American Geriatrics Society. Nella ricerca sono stati analizzati 52 studi per verificare il legame tra farmaci e bocca secca negli anziani. Sebbene sia ancora prematuro trarre conclusioni, i ricercatori hanno osservato che diversi medicinali sono collegati a questo disturbo: si tratta di quelli per trattare l’incontinenza urinaria, la depressione, l’insonnia, l’ansia e i diuretici per l’ipertensione. Nel caso dei farmaci per l’incontinenza, il sintomo della bocca secca è 6 volte maggiore che nel caso di un placebo. I medici che hanno in cura pazienti anziani, conclude lo studio, dovrebbero quindi monitorare regolarmente e rivedere tutti i farmaci per identificare i potenziali effetti collaterali e modificare le dosi, o ricorrere a un altro medicinale se necessario.
«La secchezza delle fauci o xerostomia», spiega Carlo Maiorana, professore ordinario di Malattie odontostomatologiche presso l’Università degli Studi di Milano, «fa venir meno tutti i meccanismi di autodetersione cui normalmente provvede la salivazione. A volte i problemi sono legati ai farmaci, come mostra questo studio, altre volte a una fisiologica involuzione delle strutture ghiandolari-salivari, altre volte ancora può essere l’espressione di patologie autoimmuni, come la Sindrome di Sjögren, che hanno tra le varie manifestazioni anche una riduzione o un blocco della salivazione, fenomeni che si possono solo in parte compensare con l’utilizzo di saliva artificiale. C’è poi la Sindrome della bocca bruciante, legata a cambiamenti ormonali, a stati di ansia o depressione, ma anche a intolleranza a protesi e per la quale non c’è ancora un trattamento realmente efficace, ma ci si deve affidare alla rimozione dei fattori causali e a terapie mirate all’attenuazione dei sintomi».
In tutti i casi, ricorda Maiorana, si tratta di disturbi e patologie che possono avere conseguenze sia sugli elementi dentari, sia sulle mucose, per questa ragione dovrebbero essere attentamente valutate dagli odontoiatri. «È un problema che si sta allargando come conseguenza del progressivo invecchiamento della popolazione», spiega il professore ordinario di Malattie odontostomatologiche, «e d’altronde il nostro lavoro non può limitarsi alla cura della bocca, ma deve prendere in carico la persona nella sua interezza. In generale, quando si ha a che fare con pazienti polisindromici o comunque con problematiche sistemiche gravi, il consiglio, da dare soprattutto ai giovani colleghi, è quello di riferirsi sempre al medico curante del paziente, cioè al medico di medicina generale, il professionista sanitario che ha la conoscenza più approfondita delle patologie di cui soffre il paziente e dei farmaci che assume. Quelli che possono creare maggiori problemi di interesse odontoiatrico sono quelli per uso neurologico, i farmaci antirigetto per i pazienti trapiantati che possono creare ipertrofie gengivali, ma anche in modo particolare i bifosfonati, farmaci per la cura dell’osteoporosi, tra le principali cause delle osteonecrosi dei mascellari».
E non è un caso che proprio sull’uso dei farmaci nei pazienti over 65 la Società Italiana di Medicina Interna (Simi), nell’ambito dell’ultimo Congresso nazionale, svoltosi a Roma dal 27 al 29 ottobre 2017, abbia lanciato un allarme: se ne prescrivono troppi, col risultato che ogni 12 mesi un milione e mezzo di pazienti subisce un ricovero per “eccesso di pillole”, quando il 25% dei farmaci sarebbe evitabile – così come il 55% dei ricoveri – migliorando l’appropriatezza nelle prescrizioni.