La sigillatura dei solchi e delle fossette è una misura preventiva ad oggi insostituibile per quanto riguarda la patologia cariosa. Le Linee guida di odontoiatria pediatrica, approvate dal ministero della Salute, inquadrano questa procedura con il più alto grado di evidenza scientifica (I) e di forza della della raccomandazione (A). Il documento illustra anche il fatto che la massima efficacia sia riscontrata mettendo in atto la terapia in un periodo relativamente breve (1-2 anni) dopo l’eruzione. Viene infine fornita una breve descrizione della procedura clinica. Considerando quest’ultimo aspetto, sembra interessante sondare la Letteratura più recente, con il fine di certificare la presenza di protocolli o comunque tecniche operative evidence based. È quanto si propone un interessante documento apparso recentemente sulla rivista dell’American Academy of Pediatric Dentistry e redatto in collaborazione con la American Dental Association.
La prime evidenza considerata dagli Autori, che coincide con la raccomandazione più forte espressa, costituisce un potenziale sviluppo di quanto attualmente affermato dalle linee guida italiane. L’impiego dei sigillanti, rispetto al mancato uso, costituisce un’opzione vantaggiosa non solo nella classica indicazione di superfici libere da segni di demineralizzazione, ma anche in presenza di lesioni occlusali non cavitate. Il termine identifica quegli spot discromici non interessati da sondaggio.
I sigillanti di uso comune, attualmente, continuano a costituire lo standard terapeutico. Al momento, infatti, la qualità delle evidenze non pare ancora sufficiente ad avvalorare l’impiego alternativo di prodotti quali vernici al fluoro.
Concentrandosi dunque sui sigillanti, l’ultima domanda sollevata dal lavoro consiste nell’eventuale superiorità clinica di un particolare prodotto tra quelli a disposizione. Nella fattispecie, sono state considerate le principali famiglie presenti sul mercato: sigillanti a base resinosa, sigillanti vetroionomerici, eventualmente modificati in forma di resina e, da ultimi, sigillante a base di poliacidi. Le evidenze disponibili al momento non inducono il clinico a preferire una tipologia in termini assoluti. Al contrario, sono argomentabili le differenze relative alle tecniche d’uso. Qualora si riscontrino, ad esempio, particolari difficoltà nell’isolamento del campo, sarebbe preferibile l’impiego di un prodotto a carattere maggiormente idrofilico come un ventroionomero. In ambiente asciutto la scelta potrebbe ricadere su di una resina.
In conclusione, è bene ribadire come, in un panorama scientifico e commerciale mutevole, le linee guida costituiscono una realtà solida nell’approccio al paziente. Queste, poi, costituiscono per definizione un documento soggetto a periodicp aggiornamento di pari passo con il progresso scientifico. Nel frattempo, il clinico, pur muovendosi nei limiti – le sigillature sono raccomandate in tutti i bambini e adolescenti fra i 5 e i 17 anni – è libero di seguire lo sviluppo dei prodotti e adeguarsi al protocollo che gli è più congeniale.