Massimo Simion. GBR e gestione dei tessuti molli: imparate bene prima di lanciarvi

Il Presidente della Italian Academy of Osseointegration, nonché uno dei maggiori esperti mondiali in implantologia e rigenerazione ossea, fa il punto sull’evoluzione delle tecniche e dei materiali. Con un consiglio prezioso per chi si approccia alla chirurgia rigenerativa e implantare: studiare tanto, esercitarsi a lungo affiancati da tutor esperti e procedere per gradi sui pazienti. Perché la cosa più importante per l’apprendimento, come ci spiega il professor Simion in questa esclusiva intervista, è continuare ad aggiornarsi, assistere a interventi di chirurgia dal vivo, scegliere con cura i materiali e operare sì, ma senza farsi prendere la mano o andare oltre le proprie effettive capacità.

Professor Simion, quali sono le novità più interessanti emerse sul tema della riabilitazione protesica associata a tecniche di rigenerazione ossea e dei tessuti molli?
Massimo Simion
Massimo Simion

La tecnica di rigenerazione ossea continua a essere estremamente valida nonostante sia stata messa a punto all’inizio degli anni Novanta. Non c’è stata una evoluzione sostanziale nei materiali, nel senso che tuttora si utilizzano membrane non riassorbibili in politetrafluoroetilene rinforzate al titano oppure, nei casi meno complessi, membrane riassorbibili in collagene. C’è stata però un’evoluzione nei biomateriali, che sono diventati molto affidabili. Questo è vero soprattutto per l’osso eterologo, l’osso bovino deproteinizzato che può essere associato all’osso autologo o utilizzato da solo per gli aumenti orizzontali di minore entità e per i rialzi del seno mascellare.
Una opzione presente da 3-4 anni, ma che a livello clinico è ancora poco utilizzata, sono le griglie di titano customizzate semiocclusive. Non sono reti di titanio a maglie larghe, bensì fogli di titanio con microporosità che lavorano esattamente come una membrana non riassorbibile; il vantaggio è che possono essere preparate prima, sulla base di una CBCT, una cone beam tridimensionale, e poi personalizzate sul paziente e sul difetto, rendendo la tecnica più semplice e rapida.
Altre novità riguardano la pianificazione digitale della riabilitazione finale del paziente, che può comprendere la previsione sia della quantità di osso da rigenerare sia dello spessore dei tessuti molli da ottenere per una riabilitazione ideale dal punto di vista funzionale ed estetico.

Quanto sono diffuse oggi queste tecniche? Quanto realmente vengono utilizzate negli studi odontoiatrici?

Nei primi 10-15 anni i chirurghi in grado di utilizzarle si contavano sulla punta delle dita. Adesso, grazie all’insegnamento sia a livello universitario sia privato da parte dei pionieri e dei massimi esponenti di questa tecnica, ci sono molti più utilizzatori. I casi semplici possono essere affrontati anche dal dentista generico che si occupa di implantologia. Chi fa chirurgia implantare è in grado, se segue corsi o programmi di insegnamento, di utilizzare le tecniche più semplici come il trattamento dei difetti perimplantari, gli aumenti orizzontali di piccola portata, il posizionamento immediato di impianti in siti post estrattivi.
Le tecniche più avanzate, ad esempio i rialzi verticali di cresta o gli aumenti di spessore di cresta di maggiori volumi, possono essere praticate solo da chi ha seguito un percorso di apprendimento abbastanza intenso. Non basta assistere a una conferenza e poi andare in studio e provare a farlo. Sono necessari corsi prolungati, semestrali o annuali, in cui si approfondisce la tecnica in modo molto dettagliato e ripetuto. Soprattutto, è utile che i colleghi apprendisti seguano interventi di chirurgia dal vivo, con un insegnante accanto che guidi la loro mano e dica cosa fare: oltre alla tecnica, che è molto standardizzata, è importantissima l’esperienza, perché non c’è mai un caso uguale all’altro e bisogna essere in grado di risolvere tutti i problemi che si possono verificare durante un intervento.

Quanto dura in media la curva di apprendimento necessaria per trattare casi anche complessi

Se si hanno le basi di chirurgia parodontale e di chirurgia implantare, in un anno si può acquisire una certa sicurezza nel trattamento dei casi più semplici e di media difficoltà. Per risolvere casi più avanzati, come i rialzi verticali in pazienti che hanno subito incidenti automobilistici e presentano tessuti danneggiati e cicatriziali, è necessario avere dai tre ai cinque anni di esperienza. L’apprendimento deve essere sempre un processo graduale. È importante acquistare sicurezza nelle rigenerazioni ossee di minori dimensioni e di minore difficoltà, e passare via via a interventi più complessi. Ma per essere veramente pronti bisogna praticare questa metodica per un periodo di cinque anni. La cosa più sbagliata è lanciarsi subito con casi molto difficili, perché poi si paga il prezzo di incorrere in complicanze e insuccessi terapeutici.

È molto frequente il tasso di insuccessi? A cosa bisogna prestare attenzione?

L’insuccesso è fortemente dipendente dall’operatore e dal singolo caso clinico, poiché alcuni risultano veramente difficili e tutti i casi difficili presentano percentuali di complicanze maggiori. Diciamo che nei casi medi, normali o avanzati le percentuali di insuccesso possono aggirarsi attorno al 5%. Solo nei casi semplici si riesce ad avere una percentuale di successo quasi al 100%. I rischi maggiori sono le infezioni, soprattutto nel post-operatorio: una infezione dell’innesto o della membrana ne comporta necessariamente la rimozione; quindi, la rigenerazione avviene solo in parte o non avviene del tutto.

A quel punto si può nuovamente intervenire sul paziente per porre rimedio?

Si può intervenire di nuovo già a distanza di tre mesi, a guarigione ottenuta. A volte ci capita di vedere pazienti che presentano complicanze perché sono stati trattati in precedenza da colleghi con poca esperienza in questo campo e con mani meno esperte. I casi più difficili sono quelli in cui si deve risolvere una situazione che è stata compromessa durante la prima chirurgia, non solo in termini di rigenerazione ossea, ma anche di implantologia. Questi pazienti hanno già subito una o più chirurgie andate male; dal punto di vista psicologico sono più affaticati e sfiduciati, e magari hanno già pagato diverse parcelle. Andarli a ritrattare è sempre complesso.

Uno dei trend emergenti è la chirurgia guidata, alla quale oggi sempre più odontoiatri, anche molto giovani, si avvicinano

La chirurgia guidata facilita molto la chirurgia implantare. È una tecnica che si sta sviluppando sempre di più e funziona bene, specie per quanto riguarda la progettazione preoperatoria dell’intervento e la riabilitazione del paziente: riuscire a prevedere il risultato finale e a pianificare tutti gli step necessari è estremamente utile. Soprattutto, questa tecnica consente di evitare gli errori di posizionamento dell’impianto nelle tre dimensioni dello spazio, guidandolo nella posizione corretta. Questo elimina una parte delle possibili complicanze. La chirurgia guidata, però, non risolve il problema degli errori nella preparazione del sito e nella stabilizzazione dell’impianto, così come il rischio di surriscaldamento dell’osso.
È una opportunità utile, ma se un giovane collega si abitua fin da subito a utilizzare le tecniche guidate non acquisisce la padronanza della tecnica a mano libera guidata dal cervello e rimane un po’ limitato dal punto di vista chirurgico, con il rischio di restringere la propria manualità e la propria esperienza.

I materiali da innesto possono provocare crisi di rigetto nei pazienti trattati?

Non accade di frequente, anche perché i principali materiali presenti sul mercato, quelli supportati da serie ricerche scientifiche, sono di ottima qualità: funzionano molto bene, sono biocompatibili e non provocano crisi di rigetto. Purtroppo, come sempre accade, ci si può imbattere in biomateriali di dubbia qualità; per questo è fondamentale affidarsi solo a prodotti certificati e sottoposti a rigorosi studi e controlli.
Si è evidenziata anche l’importanza dell’approccio corretto ai tessuti molli, la cui salute è necessaria per il successo terapeutico
Nei primi anni Novanta e fino al 2000 si prendevano già in considerazione sia i tessuti duri, quindi l’osso, sia i tessuti molli, ma a questi ultimi si dedicava minore attenzione. Attualmente, grazie alle ricerche svolte e all’esperienza acquisita, si considerano i tessuti molli importanti tanto quanto l’osso, anche e soprattutto nelle zone estetiche, ma anche nelle zone postero-laterali dei mascellari, perché si è visto che un adeguato spessore e una adeguata qualità dei tessuti molli favoriscono il successo e la salute a lungo termine dei tessuti peri-implantari in generale, e quindi anche degli impianti. Nelle zone estetiche è rarissimo trattare un paziente con impianti, magari con rigenerazione, senza intervenire una o più volte sui tessuti molli mediante innesti di connettivo o altre tecniche. Rispetto al passato oggi lo si fa con più attenzione e con una maggiore precisione nel disegno dell’innesto che viene prelevato, nel suo adattamento al sito e anche nella sutura, che viene eseguita con maggiore accuratezza.

Tra i molti casi clinici che ha affrontato in questi decenni, ce n’è uno che ricorda con maggiore emozione per la sua complessità e per il risultato ottenuto?

I casi che per me sono stati una sfida sono tanti, ma forse quello che mi ha dato maggiore soddisfazione è stato il caso di una ragazza di 25 anni con agenesia bilaterale degli incisivi laterali superiori. Era stata trattata con due impianti che, fallendo, hanno provocato una gravissima perdita di supporto osseo e di attacco parodontale a livello dei denti adiacenti e, conseguentemente, un enorme danno estetico. Dopo due anni di terapia rigenerativa con GBR e innesti di tessuto connettivo, è stato possibile ristabilire una corretta funzione e un soddisfacente risultato estetico.

Massimo Simion

Laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Milano nel 1979, ha una Specializzazione in Odontoiatria e Protesi Dentaria conseguita nella stessa Università nel 1981.
Professore Associato e Direttore del Reparto di Parodontologia della Clinica Odontoiatrica dell’Università di Milano.Membro del Board della European Association for Osseointegration (EAO) dal 1998 al 2005. Presidente della EAO dal 2001 al 2003 e Immediate Past-President per gli anni 2004/2005. Membro del Council della EAO 2005/2011 è Fondatore della Società Italiana di Osteointegrazione.Socio Attivo e Vice-Presidente della Società Italiana di Parodontologia (SidP) per gli anni 2003/2005.
È attualmente Presidente dell’Italian Academy of Osseointegration (IAO). Ha pubblicato numerosi libri e articoli su riviste scientifiche ed è relatore di livello internazionale sull’argomento Parodontologia, Osteointegrazione e Rigenerazione Ossea.

Massimo Simion. GBR e gestione dei tessuti molli: imparate bene prima di lanciarvi - Ultima modifica: 2024-07-26T09:23:13+00:00 da K4
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