Mentre serissime start-up scoprono nuovi campi di applicazione dell'intelligenza artificiale, elaborando progetti per impiegarla in modo etico anche in ambito medico, l'imprenditore digitale Massimiliano Turazzini suggerisce un nuovo punto di vista: smettiamo di chiederci come usarla e iniziamo a dialogare con lei per capire cosa può fare. Scopriremo che è possibile insegnarle a ragionare con i nostri circuiti mentali, trasformandola nell'assistente che abbiamo sempre sognato.
Hai mai provato a interagire con l’Intelligenza Artificiale? Sì, no, forse... prima o poi lo farò. Sono queste le probabili risposte che chiunque, in questo momento di transizione e di presa di coscienza epocale, fornirebbe se “interrogato” sulla nuova tecnologia più prorompente, discussa, ma anche promettente del momento. Iniziamo da un fatto inconfutabile: l’AI, che lo vogliamo o no, è già entrata nelle nostre vite, magari come un’efficiente organizzatrice del nostro tempo in quel nuovo gestionale che tiene in ordine agenda e cartelle cliniche, o nella chat box che dialoga con i pazienti quando siamo troppo occupati per rispondere. Ma come evolverà la situazione a livello planetario e quali saranno le prossime effettive applicazioni della AI nelle nostre vite personali e professionali? Giriamo questa e altre domande a Massimiliano Turazzini, imprenditore attivo nel campo dell’innovazione digitale e dell’Intelligenza Artificiale, con ruoli attivi o di investitore in diverse startup tecnologiche, e autore del volume Assumere un’Intelligenza Artificiale in azienda. Strategie efficaci per l’integrazione dell’AI generativa, edito da Tecniche Nuove.
Dottor Turazzini, a che punto siamo?
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Siamo al confronto con l’Intelligenza Artificiale Generativa, un cervello virtuale che “ragiona” con l’intento di risolvere un problema percorrendo diverse vie e che ormai tocca ogni dominio applicativo e ogni aspetto funzionale conosciuto. Da due anni e mezzo, tramite un software, è accessibile a tutti e permette di comunicare con un'entità che non sia un altro essere umano, formulando una richiesta in un linguaggio estremamente naturale e aspettandosi risposte testuali rapide e circostanziate. Siamo di fronte a qualcosa di nuovo, dalle implicazioni enormi. Il tema non è solo cosa possiamo fare tecnicamente, bensì quale sarà l’impatto economico, commerciale, sociale, umano ed emozionale dell’Intelligenza Artificiale. Servono consapevolezza e cultura per capire come integrare la AI e il suo immenso potere nella nostra attività.
In quali ambiti si hanno i risultati migliori?
Fino a giugno 2024 sono state rilasciate oltre 13 mila applicazioni di intelligenza artificiale che coprono 5 mila compiti diversi. Ogni azienda è o sarà presto impattata dalla AI, in tempi e modi diversi, e personalmente credo sia possibile imparare a sfruttarne l’immenso potenziale per generare un valore significativo. L’AI di tutti i giorni, che ha come interfaccia una chat di base, aiuta la produttività personale e consente di trovare risposte immediate: sa leggere, creare testi, immagini e risponde a ogni domanda venga posta. A un livello superiore si sta verificando un utilizzo molto ampio dell’AI all’interno di organizzazioni e grandi aziende, dove questa tecnologia, di cui esistono moltissime varianti, viene impiegata per migliorare la qualità del lavoro e ottimizzare i tempi, processare e automatizzare specifici input e flussi di lavoro, ma anche per fare cose nuove. Si tratta di processi complessi, che richiedono dati strutturati e molta disciplina. L’AI può partecipare anche a semplici workflow sulle attività di backoffice, efficaci nelle piccole realtà professionali magari per ottimizzare i flussi di lavoro o migliorare l’assistenza clienti. In tutti i casi, le AI aiutano a ridurre quei tempi morti dove l’interazione umana è sprecata e risolvono molte cose che ci fanno perdere inutilmente tempo. Poi c’è l’AI copilota, che ci guida nell’utilizzo di un’applicazione già esistente: ad esempio un software editor di testi o di immagini o un sistema gestionale, dove il suo compito è migliorare l’interazione e l’efficienza. Uno degli ambiti su cui oggi c’è da scommettere di più sono la fase di progettazione e modellazione, dove è possibile unire AI e 3D per trovare soluzioni anche proattive. In ambito odontoiatrico, ad esempio, per la costruzione di impianti e protesi.
Nel suo libro sostiene che si può assumere una intelligenza artificiale in azienda. Davvero?
Se provassimo a smettere di pensare alla AI come a un software, potremmo immaginarla come una figura umana, una risorsa nuova da inserire nella nostra organizzazione. Uso la metafora dello stagista, ossia una persona giovane da formare che, se ben addestrata, consentirà di velocizzare molte attività, di automatizzare processi noiosi e di offrire stimoli su ogni argomento, oltre ad aiutare il team di lavoro a essere più efficiente. In poco tempo il nuovo assistente riuscirà a svolgere compiti anche iper-specializzati in modo rapido e lineare e si inserirà nella cultura aziendale come qualsiasi nuovo arrivato.
È stato calcolato che i primi 100 giorni sono i più importanti per costruire il giusto percorso. Nessuno conosce il potenziale di un particolare modello di AI finché non lo sperimenta.
Parliamo di etica...
L’AI non ha etica. O meglio: ha l’etica che dimostriamo di avere noi nel suo utilizzo, perché è un acceleratore di ciò che facciamo. E tutto quello che facciamo ha bisogno di essere vagliato da un punto di vista etico. Prima però bisogna aver capito che tutto quello che si può fare con l'AI è veloce, potente e amplificato. Sappiamo gestirlo?
Vale anche in campo medico?
Questo è un grande tema. Da qualche anno collaboro con una start up in cui l’AI viene impiegata in ambito sanitario. Non per sostituirsi al professionista, ma ad esempio per effettuare l’attività iniziale di triage di un paziente, avendo accesso a cartelle cliniche, esami e referti precedenti. Il compito dell'AI, è effettuare quel complesso lavoro di sintesi che difficilmente il medico ha tempo di fare nel corso di una visita, soprattutto se il paziente ha una storia clinica lunga e tortuosa ed è già stato visto da molti altri specialisti.
Esistono poi sistemi utilizzati in ambito diagnostico che partendo da radiografie, tomografie, immagini di risonanza magnetica, dati e cartelle cliniche aiutano i medici a identificare patologie, a creare correlazioni importanti e persino a fare diagnosi, ma non va dimenticato che è il medico la persona più importante del processo, l’unico che può porre le domande giuste per cercare fonti, informazioni e dati rilevanti.
Ci sarà una rivoluzione nella diagnostica?
Molti produttori di device di scansione stanno elaborando i propri sistemi di AI, che analizzando le immagini sono in grado di produrre il referto completo. Dentro ogni immagine ad altissima risoluzione, come radiografie o risonanze magnetiche, l’AI riesce a vedere sotto il millimetro di risoluzione molto meglio del tecnico o del medico e può segnalare dettagli e fornire indicazioni che il sanitario può poi verificare, valutando elementi che in prima battuta non apparivano con immediata chiarezza.
Esistono già molte start up e aziende che producono macchinari corredati di AI, però manca ancora la cultura per applicare in concreto tutte queste potenzialità, perché solo pochi professionisti sono stati formati per occuparsi di questo. In ambito medico, poi, ci sono ancora molti timori e una certa diffidenza. Uno dei problemi della AI generativa è che può essere imprevedibile, mentre in medicina opacità e mancata precisione sono due problemi importantissimi. Eppure, nella ricerca clinica si stanno facendo passi da gigante.
Esempi virtuosi?
È nata ad esempio una start up che ha in corso un progetto con l’Istituto Romagnolo per lo studio dei tumori “Dino Amadori” pensato per fare in modo che l’AI assista i ricercatori operanti in ambito oncologico. Una piattaforma analizza dati anonimi di molti pazienti con patologie tumorali per offrire agli studiosi strumenti che permettano di trovare informazioni in tempi molto più rapidi. L’obiettivo è superare la complessità nella gestione e nella interpretazione dei dati clinici e incrociare le informazioni con le evidenze scientifiche fornite dalla Letteratura. Un medico o un ricercatore che dialoga con l’AI ha però bisogno di molte spiegazioni su come si è arrivati a certe conclusioni. Per questo le diverse tecnologie introdotte non solo forniscono la risposta cercata, ma sono anche in grado di spiegare come si è arrivati a quella risposta. Non sono tanto i dati raccolti o elaborati dalla AI quelli che interessano, bensì la sua capacità di analisi. I modelli di AI non si programmano, si formano durante una fase di addestramento iniziale.
La qualità e la quantità dei dati forniti modellano il senso di attenzione delle AI. Questo permette loro di imparare a unire i puntini in modo facile e congruente con il nostro pensiero. Ovviamente l’AI non ha responsabilità e non ha una capacità decisionale al nostro livello. Deve essere vista come uno specchio davanti al quale il professionista può fare questo tipo di riflessioni.
Come si gestisce la protezione dei dati?
In campo medico è un problema immenso. Già da anni nel settore informatico abbiamo visto problemi legati a dati poco protetti o pubblicati senza autorizzazione. In ambito sanitario molti professionisti si stanno convincendo della effettiva utilità dell’AI, ma c’è un grande problema di fiducia sulla condivisione e sul trattamento di cartelle cliniche e immagini diagnostiche. Qui, però, l’Intelligenza Artificiale di per sé c’entra poco. Bisogna piuttosto stare attenti a chi c’è dietro e a chi può avere accesso ai nostri dati. Spesso le chat di AI sono prodotte da microaziende con buoni scopi, ma sono pur sempre piccole realtà che hanno principalmente l’obiettivo di portare a casa soldi.
Dando in pasto a questi strumenti dei dati sensibili, si rischia di vederli intercettare dalla persona sbagliata. Bisogna verificare che il fornitore sia attendibile e fare un’analisi completa: “chi c’è dietro?”, “dove risiederanno le cartelle cliniche dei miei pazienti?” “dove finisce il dato che inserisco?”, “quali certezze mi vengono offerte sulla cybersecurity?” e soprattutto verificare quanto costa il servizio che chiediamo: se è gratis, la partita di giro sono i dati. Per questo sarebbe preferibile affidarsi ad aziende note, a chi già fornisce sistemi e apparecchiature medicali o gestionali, chiedendo che siano loro ad offrire l’intero processo di intelligenza artificiale integrata.
Cosa cambierà?
Nel breve, auspico una molto più ampia adozione delle AI a livello di routine quotidiana. L’utilizzo su piccoli task serve a creare la cultura che ci permetterà poi di fare le domande e le scelte giuste per andare avanti e predisporre una mentalità pronta alla prossima fase di consolidamento, senza delegare la questione solo alle società hi-tech. Ci saranno AI in grado di uscire dal puro contesto del botta e risposta, che prima di tornare a interagire con noi si prenderanno il tempo di pensare al quesito che abbiamo posto, e noi dovremo avere la pazienza di aspettare anche per ore o giorni la risposta.
In commercio ci sono già AI che, stimolate da una domanda particolarmente complessa, iniziano a effettuare un ragionamento, a fare congetture, a prevedere possibili scenari e a soppesare le situazioni. Al momento rispondono in pochi secondi o minuti, in futuro potranno arrivare a pensarci molto a lungo.
Nel futuro più prossimo mi aspetto invece che grazie all’IA sarà possibile risolvere problemi su scala più grande, situazioni che prima sembravano impossibili o difficili da gestire perché troppo laboriose o complesse e che invece diventeranno molto più semplici. Immagino che partiranno temi molto rilevanti.
Nel frattempo, cosa possiamo fare?
Dobbiamo fare pratica, imparare a usare le intelligenze artificiali così da acquisire via via le giuste competenze per utilizzarle al meglio. Il successo con l’AI non dipende dalla tecnologia in sé, ma anche dalla mentalità e dall’approccio che si ha in questo ambito. Si può cominciare chiedendo alle AI le cose che non sappiamo, utilizzandola come un banale strumento di informazione. Non ci sono manuali su come usare le AI, ci si forma durante la pratica e soprattutto i medici, abituati a studiare continuamente, sapranno trovare una loro modalità di utilizzo e di interazione. In ogni caso, una formazione di base sulle AI dovrebbe essere obbligatoria in ogni organizzazione, altrimenti rischiamo di partire dai presupposti sbagliati. Ad esempio, conta anche come si formulano le domande. Creare prompt troppo corti, ossia inserire pochi elementi e dettagli nei quesiti, è sbagliato. Più elementi fornisco, più la soluzione che arriverà con la risposta sarà articolata e soddisfacente.

Imprenditore nel mondo della tecnologia da più di 20 anni, coinvolto nel mondo dell’AI dal 2018, scrive di AI su un blog (maxturazzini.com) e si occupa di formazione a CEO e management delle aziende sull’AI generativa assieme al Vjal Institute, organizzazione internazionale di oltre 290 trainer che sono a loro volta CEO o imprenditori.