Negli ultimi anni l’impiego del laser in odontoiatria ha conosciuto un deciso sviluppo che ha coinvolto diversi ambiti operativi. Le applicazioni più ampie sono state riscontrate probabilmente nell’approccio clinico ai tessuti molli. In un documento molto ampio apparso recentemente su Periodontology 2000, Charles M. Cobb ha tracciato una definizione, basata sulle attuali evidenze disponibili, a proposito dello stato dell’arte della laserterapia in parodontologia, ripercorrendo una storia che conta in realtà quasi un quarto di secolo. Verranno ora ribaditi alcuni dei punti salienti esposti dall’Autore.
Ruolo del laser in parodontologia
Il laser costituisce senza dubbio un’opzione chirurgica efficace sui tessuti molli, in quanto permette l’ablazione di piccole quantità di tessuto, favorisce l’emostasi, e abbassa il rischio di gonfiore postoperatorio. Oltre alla ridotta invasività, il laser ha un’azione biostimolante che si manifesta nei processi di guarigione della ferita. Evidenze recenti inducono a pensare che abbia anche un effetto inibitorio su mediatori dell’infiammazione quali IL-6, TNF-α e MMP-8. Dall’altra parte, sono sollevati alcuni dubbi riguardanti i possibili effetti di un’esposizione indesiderata al laser di radice, legamento parodontale e osso alveolare e, a maggior ragione, di strutture extraorali. Le attuali evidenze inducono a pensare che l’utilizzo della metodica secondo indicazioni tuteli il pazienti da eventuali effetti indesiderati. Sembra anche che il laser abbia un’azione detossificante a livello delle superfici radicolari esposte alle tasche parodontali e, in certi casi, possa indurre addirittura la rigenerazione tissutale.
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L’approccio di base ai casi di malattia parodontale è tipicamente di tipo non chirurgico e comprende principalmente scaling, root planing e applicazione topica di agenti disinfettanti. Pazienti che manifestino una forma clinica francamente aggressiva, una volta ristabilito un compenso adeguato di igiene orale, possono essere valutati rapidamente per un eventuale approccio open flap. Ecco dunque che il laser può inserirsi, a seconda delle esperienze cliniche, come adiuvante o come vera e propria alternativa. L’impiego nella terapia causale è stato suggerito con il fine di standardizzare i risultati in termini di rimozione del tartaro sottogengivale. Sembra inoltre che alcune precise lunghezze d’onda manifestino un tropismo per talune specie patogene, quali Porphyromonas gingivalis, Prevotella intermedia, nigrescens, melaninogenica e specie del genere Bacteroides.
In conclusione, sempre ricollegandosi a quanto affermato da Cobb, che ha considerato un totale di 118 studi umani, le indicazioni riguardanti l’impiego del laser, per quanto promettenti, non depongono, ad oggi, a favore di un completo superamento della terapia tradizionale. Ciò detto, è possibile attendersi ulteriori sviluppi tecnici e diverse altre pubblicazioni negli anni a venire, contando che la metodica si è già estesa a campi affini alla terapia parodontale, uno su tutti il trattamento delle perimplantiti.