Tra i personaggi che non possono mancare in un ambulatorio odontoiatrico ci sono il paziente convinto di essere destinato a portare in eterno una collana di tartaro sugli incisivi inferiori perché la sua saliva è acida (aggiungendo come supporto bibliografico “me l’ha detto il dentista dove andavo prima”) e la paziente che “i miei denti si sono rovinati con la gravidanza” (citando la figlia della sua parrucchiera che conosce la segretaria di un dentista). Bisognerà quindi pazientemente spiegare al primo che il pH della saliva può variare in presenza di patologie o terapie, ma nel suo caso, essendo in buona salute, oscillerà tra 7 (saliva non stimolata) e 7,6 (saliva stimolata) contribuendo a mantenere il pH orale tra 6,8 e 7,8 con un flusso medio di 0.3-0.4 mL/min.
A questo prezioso alleato della nostra salute è dedicata la seguente rassegna, raccomandando la lettura integrale dei seguenti articoli.
La saliva: un'immagine molecolare del corpo umano? Implicazioni diagnostico-terapeutiche
Géli V, Nabet N. Saliva, a molecular reflection of the human body? Implications for diagnosis and treatment. Cell Stress. 2024 May 27;8:59-68
Aggiornamenti in tema di saliva e salute orale
Uchida H, Ovitt CE Novel impacts of saliva with regard to oral health. J Prosth Dent 2022 Mar; 127(3): 383-391
Saliva e stato di salute
Composizione e flusso salivare variano con l’età e con il sesso; in particolare con l’età si riduce più negli uomini che nelle donne, secondo quanto mostrano le ricerche sull’espressione di alcuni geni nelle cellule della ghiandole parotide. Il flusso salivare, inoltre, è influenzato dal ritmo circadiano con un picco massimo nel tardo pomeriggio e il minimo durante il sonno; anche la temperatura ambientale influisce, aumentando il flusso e la secrezione proteica a basse temperature (4°C) rispetto a quelle medie (21°C) ed elevate (37°C).
Alcune classi di farmaci alterano flusso e composizione, in primo luogo gli anticolinergici come l’atropina, dato che agiscono sul sistema parasimpatico. Poiché l’acetilcolina agisce sui recettori muscarinici posti sulla membrana delle cellule acinose stimolando la secrezione della saliva, mentre le fibre nervose simpatiche agiscono sui recettori adrenergici e inducono la secrezione di proteine, la saliva può essere alterata anche dai farmaci che interferiscono con il sistema simpatico, come alcuni antipertensivi, e con il sistema serotoninergico, ad esempio gli antidepressivi appartenenti alla famiglia SNRI (inibitori della ricaptazione di serotonina e adrenalina) come la duloxetina.
Come dimostra la bassa frequenza di infezioni in presenza di lesioni del cavo orale, la saliva esercita una potente azione difensiva attraverso una batteria di proteine, la più nota delle quali è il lisozima che, come dice il nome, svolge azione litica sulle pareti batteriche. Vi sono poi le beta-defensine, peptidi a catena corta prodotte nell’epitelio linguale che causano la formazione di pori nelle membrane cellulari, e la catelicidina che pure altera la membrana batterica legandosi al lipopolisaccaride. Svolgono invece un’azione inibitoria all’interno della cellula batterica le cistatine e la lattoferrina: le prime inibiscono la sintesi della cisteina mentre la seconda agisce chelando gli ioni ferro bloccando così il metabolismo.
Nella saliva si trovano poi molecole più complesse come le mucine che, attraverso la loro estremità acida, causano l’aggregazione delle cellule batteriche facilitandone l’eliminazione, mentre l’estremità glucidica si è rivelata capace di aggregare il virus Hiv impedendone l’ingresso nelle cellule. Molto attive sui miceti sono, invece, le istatine di cui una ha mostrato un’azione protettiva anche contro la diarrea del viaggiatore impedendo l’adesione alle cellule intestinali di E.coli enterotossica. Note per la loro influenza negativa sono la sindrome di Sjogren che con il suo infiltrato linfocitario causa la progressiva distruzione del parenchima ghiandolare, il diabete che riduce il flusso e alimenta i batteri con la maggiore concentrazione di glucosio, la depressione e la trisomia 21.
Saliva, alimentazione e senso del gusto
L’interazione tra saliva e cibi è alla base delle sensazioni gustative, tanto che sono state rivelate significative variazioni sensitive collegate a differenti profili proteici salivari e a differenti composizioni del microbioma orale.
Anche gli ormoni presenti nella saliva (tra cui insulina, glucagone e leptina) possono modulare il senso del gusto e nel diabete la loro concentrazione è alterata, risultando inversamente proporzionale alla preferenza per il sapore dolce.
Molto interessanti anche gli studi sull’influenza esercitata dal microbioma: 109 specie batteriche sono risultate in correlazione con almeno un gusto, mentre la presenza di alcune specie (come le Rickenellaceae) è correlata con tutti i cinque gusti.
Il dato più interessante è la correlazione unidirezionale se il microrganismo si correla con almeno due gusti.
Infine un aggiornamento sui noti danni provocati dal virus SARS-Cov-2 capace di penetrare nelle cellule delle gemme gustative e delle ghiandole salivari, causando ipogeusia e xerostomia che in alcuni pazienti persistono anche dopo la guarigione. Alcuni autori raccomandano la somministrazione di zinco che favorirebbe sia la normalizzazione del flusso salivare sia il recupero del senso del gusto.
Il razionale di questa raccomandazione sta in un particolare tipo di recettore per questo metallo nelle ghiandole salivari che contribuisce a regolarne la funzione secretiva e nel riscontro di una ridotta concentrazione plasmatica di zinco nei pazienti con Covid-19.
La saliva come mezzo diagnostico
Rispetto ai prelievi ematici, l’analisi della saliva offre i vantaggi di non essere invasiva e di essere facilmente eseguibile anche da personale non sanitario. La ricerca della presenza di farmaci e droghe è oramai routine come pure la raccolta di prove per l’identificazione personale; infatti, le cellule epiteliali ed ematiche sono una fonte sufficiente di Dna che, nell’odontologia forense, può essere integrata con l’analisi del microbioma orale. L’analisi quali-quantitativa dei microrganismi presenti può dare molte informazioni: per esempio, la prevalenza di alcune specie si associa al tabagismo, altre sono tipiche del consumo di alcol, altre ancora prevalgono nella terza età. In futuro l’analisi genetica del microbioma orale potrebbe rivelarsi importante quanto quella del Dna umano.
Rimane molta strada da fare per i biomarcatori delle patologie orali: ad oggi vi sono solo indicazioni ma non prove certe sul legame tra queste e le molecole biologiche; più di cento molecole presenti nella saliva sono state proposte come indicatori di neoplasie ma nella maggior parte dei casi (come interleuchine, TNF e γ-interferone) sono presenti anche negli stati infiammatori, risultando così poco specifiche. A uno stato infiammatorio è collegato anche l’aumento della concentrazione citoplasmatica di Dna mitocondriale, che poi confluisce nella saliva, rilevato nei pazienti con neoplasie cervicofacciali nei quali è un affidabile segno prognostico.
Decisamente più solide le basi per usare la saliva nella diagnosi di infezioni virali tra cui quelle da Cytomegalovirus, Hiv e Dengue, mentre per alcune varianti di Covid la sensibilità dei test salivari è perfino superiore a quella dei tamponi nasofaringei anche per la maggiore concentrazione virale.
Anche per molte patologie sistemiche, tra cui quelle autoimmunitarie, la saliva potrebbe diventare risolutiva per la diagnosi, ma sono necessari ancora anni di ricerche, così come per le alterazioni del profilo glicidico salivare rilevate nelle neoplasie polmonari maligne attraverso il test HHL.
È invece l’endometriosi l’unica patologia (che colpisce dal 5 al 10% delle donne in età riproduttiva) per la quale è già disponibile un test salivare basato sull’analisi dei microRna con una sensibilità del 95,1% e una specificità del 86,7%, posizionandosi così al di sopra degli altri mezzi diagnostici.
È interessante, a questo punto, aggiungere qualche informazione sugli Rna non codificanti (miRna, lncRna, piRna, circRna) oggetto di numerose e importanti ricerche nell’ultimo decennio, e sulle vescicole extracelulari (EV), che mettono in comunicazione cellule diverse trasportando proteine, recettori di membrana, Rna non codificanti e altro ancora.
È ora noto che varie patologie, tra cui le neoplasie, alterano flusso e composizione delle EV, che possono quindi diventare marcatori diagnostici; è quasi certo, inoltre, che EV rilasciate da cellule neoplastiche possono raggiungere le ghiandole salivari ed essere fagocitate dalle cellule acinose che, a loro volta, rilasciano EV la cui composizione differisce da quella riscontrabile in un paziente sano.
Il potenziale uso diagnostico è evidente e di enorme importanza dato che l’analisi delle EV andrebbe a sostituire mezzi più invasivi e/o più costosi.
Attualmente sono oggetto di indagine alcune neoplasie tra le più diffuse e maligne (esofago, polmone, pancreas, colon, fegato e ovaio); per quelle pancreatiche, caratterizzate da un decorso particolarmente rapido e infausto, si è scoperto che le EV contengono una particolare forma di proteina di membrana che potrebbe rendere più specifico il test salivare.