Le soluzioni riabilitative per il paziente totalmente o parzialmente edentulo sono molteplici e sempre in grado di risolvere il problema. Tuttavia, prima è bene effettuare un’attenta valutazione di tutte le possibili alternative, per evitare che le reali esigenze del paziente siano sacrificate sull’altare del tecnicismo o, peggio, dell’interesse economico.
La carie dentale non trattata e la perdita dei denti sono fenomeni diffusi a livello globale, con ampie variazioni tra diversi Paesi, gruppi di età e status socioeconomico. Lo attestano le pubblicazioni scientifiche, lo suggerisce il buon senso e lo conferma un recente rapporto pubblicato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Nella regione europea dell’Oms, che include 53 Paesi tra Europa e Asia centrale, un adulto su due soffre di una malattia dentale, mentre uno su quattro ha perso almeno un dente.
La carie colpisce il 33,6% degli adulti e il 39,6% dei bambini da uno a nove anni. La parodontite, più diffusa nei Paesi ad alto reddito, interessa il 17,9% dei cittadini.
L’Italia si colloca nella media europea: il 36,1% della popolazione italiana soffre di carie, il 18,2% di parodontite, mentre la perdita di uno o più denti colpisce il 29,4% dei cittadini.
Secondo l’Oms, i governi e le autorità sanitarie dovrebbero investire di più per assicurare a tutti l’accesso alle cure sanitarie orali che, per chi in particolare ha perso tutti i denti o quasi, rappresenta un’occasione unica per tornare a sorridere, in tutti i sensi. Hans Henri P. Kluge, direttore regionale dell’Oms per l’Europa, ricorda che «molte delle nostre funzioni umane più basilari come parlare e comunicare, mangiare, respirare e, non da ultimo, sorridere, dipendono da una buona salute orale». Per questi motivi la riabilitazione del paziente edentulo rappresenta una sfida sociale e professionale, che forse più di altre richiede competenza e abilità tecnica, ma anche sensibilità e ragionevolezza.
Un problema con molte sfaccettature
«Il trattamento del paziente edentulo rappresenta la vera sfida riabilitativa della disciplina odontoiatrica», afferma Francesco Pera, professore associato e responsabile del Servizio di Protesi Dentaria e Implantoprotesi presso la Dental School dell’Università degli Studi di Torino, diretta dal professor Elio Berutti. «La mancanza dell’organo masticatorio nella sua totalità è un deficit funzionale ed estetico. Influisce sulla capacità masticatoria e digestiva, può generare problematiche fonetiche e condiziona la psicologica del paziente. Il professionista deve tenere conto di tutti questi fattori nella gestione del paziente edentulo». Nell’analizzare il fenomeno dell’edentulismo, suggerisce Pera, vanno presi in considerazione due fattori fondamentali: il primo è l’allungamento della vita media e il conseguente invecchiamento della popolazione; il secondo è l’aumento della qualità della vita del paziente anziano, che comporta precise esigenze in termini di risultato clinico.
«La quota di pazienti edentuli, nonostante l’alto livello sviluppato nella diagnosi precoce e nei trattamenti di prevenzione della patologia odontoiatrica, risulta numericamente imponente. L’epidemiologia dell’edentulismo e l’aumento del livello della qualità di vita portano l’odontoiatra a dover trattare pazienti sempre più avanti con gli anni e quindi più fragili, con esigenze di piani di trattamento più complesse, non riconducibili esclusivamente alla semplificazione e all’utilizzo della protesi mobile, ma anche a trattamenti chirurgici implanto-protesici. Non è raro al giorno d’oggi che un paziente ultraottantenne richieda una riabilitazione chirurgico-implantare, con tutte le difficoltà conseguenti». Per fortuna oggi il clinico ha a disposizione molte soluzioni.
«L’utilizzo degli impianti, esploso all’inizio degli anni ’80, ha stravolto le potenzialità riabilitative offerte dal trattamento protesico, permettendo di raggiungere risultati di eccellenza estetica e funzionale tali da avvicinarsi all’efficienza masticatoria del paziente con dentatura naturale. Negli ultimi anni, l’enorme sviluppo di software e attrezzature digitali ha permesso di proporre terapie in passato ritenute molto più complesse, riducendone l’invasività e aumentandone la predicibilità. Si parte dai programmi di diagnostica radiografica che permettono di effettuare misurazioni millimetriche, fino alle attrezzature di ultima generazione che permettono la “chirurgia navigata”, che dà la possibilità di monitorare tridimensionalmente e virtualmente la posizione dello strumento durante le fasi più complesse del trattamento chirurgico».
Gli impianti: per molti, ma non per tutti
Per ragioni economiche, non è possibile pensare di praticare a tutti una riabilitazione completa su impianti, fa notare Pera, senza considerare che le gravi atrofie riducono la predicibilità del trattamento, aumentandone i costi.
«Nei pazienti in età avanzata, alternative come le protesi overdenture supportate da due impianti consentono trattamenti poco invasivi e con facile follow-up, riducendo tra l’altro notevolmente l’impatto economico. Inoltre, va considerata tutta la fascia di popolazione rappresentata dai pazienti affetti da malattie sistemiche che afferiscono ai nostri reparti. Torino rappresenta un punto di riferimento per i centri trapianto: i pazienti in attesa di questo tipo di terapie devono spesso sottoporsi a una bonifica dentaria e hanno la necessità di essere riabilitati con tempistiche ridotte e con un piano di trattamento poco invasivo, come il ricorso alla protesi mobile tradizionale, per esempio, che non richiede alcuna procedura chirurgica».
La riabilitazione del paziente edentulo resta una sfida impegnativa e complessa che richiede una formazione universitaria, una curva di apprendimento e un continuo aggiornamento.
«La fortuna di far parte di una squadra di forte connotazione “protesica” ci permette di ribadire spesso che il goal riabilitativo deve essere sempre il dente: l’impianto è solo uno strumento per stabilizzarlo», puntualizza Pera.
«A livello educativo, dunque, è inutile concentrarsi solo sulla formazione chirurgica e implantare, ignorando quale sia poi un corretto progetto protesico finale. Oggi abbiamo inoltre l’opportunità di avere a disposizione strumenti didattici di ultima generazione, tra questi anche i simulatori virtuali, che permettono agli studenti di esercitarsi vivendo a livello di “gaming” esperienze riabilitative molto simili al reale».
Realtà che negli ultimi anni ha visto crescere il business implantare odontoiatrico in maniera esponenziale, non senza conseguenze. «Da un lato è stata una grande fortuna in termini di offerta terapeutica per il paziente, ma dall’altro un mare complesso in cui navigare.
Per questo la formazione oggi deve fornire ai giovani odontoiatri una preparazione culturale che permetta loro di “difendersi” da proposte commerciali poco etiche o scarsamente predicibili in termini riabilitativi».
“Nessuno deve morire con i suoi denti in un bicchiere di vetro”: per concludere il suo pensiero, Francesco Pera cita quello di Per-Ingvar Brånemark, l’autore svedese tra i più importanti ricercatori del mondo odontoiatrico, a cui si deve lo sviluppo dell’implantologia moderna.
«Potremmo applicare lo stesso concetto alla riabilitazione protesica in generale. Perché una protesi che funziona e piace ridona il benessere sociale e l’autostima a un paziente mutilato per la perdita dei denti. Una protesi incongrua, invece, rappresenta una sofferenza quotidiana e un’importante invalidità psico-fisica».
L’approccio ideale al paziente edentulo non esiste
«Nel trattare questo tema, è importante innanzitutto compiere una distinzione preliminare tra pazienti totalmente edentuli e solo parzialmente edentuli», precisa Andrea Enrico Borgonovo, medico specialista in chirurgia maxillo-facciale in forza presso il reparto di Estetica dentale dell’Università degli Studi di Milano, diretto dal professore Dino Re e collocato all’interno dell’Istituto Stomatologico Italiano di Milano. «È una distinzione forse persino scontata, ma fondamentale, dato che influisce sull’approccio alla riabilitazione. Nel caso dei pazienti completamente edentuli, una delle soluzioni possibili è la riabilitazione fissa. Tuttavia, è importante valutare se il paziente abbia o meno la volontà e la necessità di una riabilitazione fissa, poiché è possibile ottenere una buona funzionalità anche con una riabilitazione rimovibile. Per una riabilitazione fissa di buona qualità, nel mascellare superiore potrebbero essere necessari tra quattro e sei impianti, mentre nel mascellare inferiore un minimo di quattro impianti per ottenere una stabilità sufficiente.
La scelta del numero di impianti dipende da diversi fattori, principalmente anatomici (quantità e qualità ossea, tipologia e morfologia dell’arcata da riabilitare e di quella antagonista)».
La situazione clinica del paziente è un fattore importante da considerare, ma non l’unico.
«Bisogna tenere conto anche delle considerazioni temporali ed economiche, poiché le riabilitazioni fisse richiedono più tempo e più appuntamenti rispetto alle protesi rimovibili che non prevedono l’inserimento di impianti. Oltretutto non sempre è possibile ottenere un carico immediato e questo può allungare i tempi della riabilitazione. Dal punto di vista economico, le riabilitazioni fisse hanno un costo maggiore rispetto alle protesi rimovibili e anche questo è un elemento da considerare».
Altro fattore chiave è l’età del paziente. «Nelle persone più giovani si preferisce posizionare un maggior numero di impianti, in modo che possano sostenere meglio il carico masticatorio nel corso degli anni; per ottenere questo risultato, in alcune situazioni sono necessari interventi aggiuntivi, con una maggiore invasività, finalizzati al ripristino di una corretta morfologia ossea. Nei pazienti anziani, invece, per una riabilitazione adeguata potrebbe essere sufficiente un numero minore di impianti, prediligendo riabilitazioni più conservative, magari con l’ausilio di tecniche flapless con o senza il supporto della chirurgia computer guidata o navigata».
Nei pazienti parzialmente edentuli, sottolinea Borgonovo, l’ideale è cercare di mantenere i denti residui, poiché la propriocezione dei denti naturali svolge un ruolo fondamentale per diverse funzioni del paziente. «Questo non significa spingere il paziente a mantenere i denti a tutti i costi, ma fare il possibile per conservarli e, se necessario, posizionare gli impianti nelle aree mancanti. Anche in questo caso, è importante valutare la situazione clinica e considerare i fattori temporali ed economici».
Ogni opzione va ponderata bene
Per quanto riguarda la comunicazione con i pazienti, secondo Borgonovo è bene spiegare in modo chiaro e convincente i concetti relativi alla riabilitazione e le opzioni proposte.
«Si deve cercare di far comprendere al paziente che l’approccio conservativo è preferibile a qualsiasi altro e che esistono soluzioni intermedie. Penso sia fondamentale esternare in modo chiaro il proprio pensiero e essere convinti di ciò che si dice. Personalmente cerco di spiegare al paziente quale scelta farei per me stesso o per i miei cari. Poi, su alcuni punti si può cercare o accettare un compromesso, mentre su altri assolutamente no. Ad esempio, non sacrifico mai i denti naturali che potrebbero essere conservati nella bocca dei pazienti che però non vogliono tenerli per ridurre i tempi della riabilitazione e accedere a un trattamento più semplice e economico.
In tal caso, cerco di convincerli a desistere da questa idea; al peggio, li invito a rivolgersi ad altri professionisti. Spiego anche che è possibile effettuare piccoli passi, riabilitazioni parziali, mentre per le riabilitazioni totali cerco sempre di far presente che l’approccio più corretto è quello conservativo, cioè quello che ripristina la corretta posizione dei denti.
Per esempio, se un paziente ha la possibilità di effettuare una riabilitazione totale, cerco di posizionare gli impianti in modo assiale per sostituire il maggior numero possibile di denti.
Se non è possibile, cerco comunque di posizionare gli impianti nell’osso nativo, così da avere una prognosi migliore. Cerco di far capire che ci sono sempre compromessi tra costi, tempi di realizzazione e idealità che si possono raggiungere. Ad esempio, non è vero che per ripristinare dodici denti sono sempre necessari dodici impianti. È importante personalizzare la scelta in base ai fattori temporali, economici, anatomici e fisici del paziente». Solo quando tutti questi fattori sono stati presi sufficientemente in esame, insieme con il paziente, sostiene Borgonovo, l’odontoiatra può dire di aver trovato la soluzione ottimale, che non è quella ideale in assoluto, ma la migliore possibile per quel singolo paziente.
«Se una persona ha gravi problemi di salute generale, si riducono l’operatività e l’invasività, e si cercano soluzioni meno complesse. Personalizzazione, a mio avviso, è la parola chiave che dovrebbe orientare sempre il nostro approccio, in modo particolare nei confronti del paziente edentulo. Una personalizzazione che deve tener conto dunque dei fattori temporali, economici e anatomici del paziente, ma anche di quelli legati alla sua salute sistemica e ai suoi reali bisogni».
Gli impianti zigomatici: solo in casi estremi e ben selezionati
È la raccomandazione di Enrico Agliardi, medico-chirurgo, specialista in chirurgia maxillo-facciale e in ortognatodonzia, professore associato presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano (guidata dal professor Enrico Gherlone, magnifico rettore dell’Ateneo e direttore dell’Unità di Odontoiatria all’IRCCS Ospedale San Raffaele), nonché libero professionista a Bollate, in provincia di Milano. Gli impianti zigomatici sono davvero una buona soluzione per la riabilitazione implanto-protesica del paziente edentulo atrofico? «Dipende. Innanzitutto, va detto che gli impianti zigomatici funzionano bene, ma solo se posizionati correttamente, da mani esperte. Si tratta infatti di impianti extraorali che è consigliabile utilizzare solo laddove tutte le altre soluzioni possibili, e sono davvero numerose, siano andate incontro a fallimento o fallirebbero per ragioni anatomiche. In una mia pubblicazione, intitolata Tilted Implants, ho illustrato quanto siano efficaci gli impianti inclinati intraorali che, nelle loro diverse applicazioni, possono risolvere molti casi di atrofia ossea anche gravi e sono più alla portata dell’odontoiatra non specialista. Inoltre, comportano un intervento meno invasivo o complicato e con meno rischi rispetto agli impianti zigomatici extraorali».
Perché questi sono più rischiosi? «Innanzitutto, perché mettono in comunicazione il naso e la bocca e questo può rappresentare un problema se non si conosce perfettamente il protocollo chirurgico e non si ha adeguata esperienza. Qualsiasi complicanza nel breve o medio termine potrebbe diventare cronica e causare notevoli disagi al paziente. Poi anche perché, soprattutto per un neofita, non è sempre facile distinguere gli impianti zigomatici di buona qualità, essendocene davvero tanti sul mercato. Vi sono aziende storiche che si sono impegnate a lungo nella ricerca e nella sperimentazione di questi particolari impianti, anche grazie al supporto di noi clinici che in questi due decenni abbiamo dato il nostro contributo. L'approccio corretto prevede la minor invasività possibile nell’interesse del paziente. È fondamentale seguire le corrette indicazioni d’utilizzo degli impianti inclinati, intraorali ed extraorali, evitando il ricorso a interventi non necessari e senza voler dimostrare la nostra abilità nell’effettuare chirurgie complesse e invasive che poi altro non sono che un overtreatment».
Solo per avere un punto di riferimento, dal 2005 a oggi, per esempio, io stesso ho eseguito solo circa 200 interventi di questo tipo ed è un numero in assoluto piuttosto basso se si considera che nella maggior parte dei casi ho curato pazienti riferiti. Nella realtà clinica di uno studio generalista, i casi di edentulismo da trattare con gli impianti zigomatici sono meno dell’1%».
Questo significa che per imparare a posizionarli correttamente ci vuole molto tempo...
«Sì, e molta formazione che però da sola non è sufficiente a impratichirsi davvero, considerando che in un comune studio odontoiatrico, cioè non specializzato in questo tipo di intervento, può presentarsi mediamente un caso all’anno, non di più. Il mio consiglio, per chi volesse aggiungere anche questa tecnica alle altre già consolidate, è quella di seguire un’adeguata formazione che però, per le ragioni dette, a mio avviso deve essere continua e periodicamente rinnovata, così da garantire una vera e costante preparazione.
Per fortuna, in Italia, la qualità del nostro lavoro - ne ho avuto conferma recentemente al congresso mondiale del paziente edentulo, dedicato proprio a questi temi - non è seconda a nessuno, anche nel trattamento del paziente gravemente atrofico con impianti zigomatici.