La sensibilità dentale, clinicamente denominata ipersensibilità dentinale, sta diventando sempre più diffusa nel mondo. È descritta come un dolore acuto e di breve durata esacerbato da stimoli tattili, termici, evaporativi, chimici od osmotici. Questo dolore, non attribuibile ad alcun difetto o patologia dentale, è avvertito in risposta a uno stimolo non nocivo e si allevia dopo la rimozione dello stesso.

È comunemente associata a lesioni cervicali non cariose, manifestazioni di una perdita di struttura dentale a livello della giunzione smalto-cemento non correlata a patologia cariosa (Aw et al, 2002).

L’incidenza dell’ipersensibilità dentinale nella popolazione generale è di una persona su 10, con un intervallo di prevalenza piuttosto ampio, compreso tra l’1.3% e il 92.1%.
Tale grande variabilità è dovuta ai diversi criteri utilizzati sia nella selezione dei pazienti (caratteristiche sociodemografiche e strategie di reclutamento) sia nella raccolta dei dati (Favaro Zeola et al,2019 – Idon et al, 2019 – Exarchou et al,2019 – Gillam, 2021).

L’ipersensibilità dentinale è più comune nei soggetti adulti di età compresa tra 20 e 50 anni con prevalenza del sesso femminile, e dimostra avere un impatto fortemente negativo sulla qualità di vita dei soggetti interessati. Comprendere l’ipersensibilità dentinale e identificare i fattori che determinano il successo del suo trattamento divengono elementi essenziali per ottenere il miglioramento sia della salute orale sia del benessere generale dei pazienti che ne sono affetti (Davari et al, 2013).

Fisiopatologia e meccanismo del dolore nell’ipersensibilità dentinale

In situazioni normali, la dentina, come il tessuto pulpare contenente le afferenze dentali principali che essa riveste, è protetta dall’ambiente orale grazie allo strato di smalto (dentina coronale) e di cemento (dentina cervicale) di cui è rivestita. Se lo smalto scompare o il tessuto gengivale recede, la dentina perde la sua protezione e i tubuli si trovano ad essere esposti. Questi cambiamenti strutturali possono essere il risultato di assunzione di cibi acidi, pratiche di igiene orale esagerate e parafunzioni, con conseguente comparsa di discomfort e dolore tipici dell’ipersensibilità dentinale. Poiché lo stimolo doloroso richiede la stimolazione di terminazioni nervose libere di neuroni afferenti primari, e la dentina è priva di fibre neuronali, ancora non è chiaro l’esatto meccanismo che spieghi tale condizione.

Tre le teorie proposte:

  • teoria dell’innervazione diretta (teoria neurale);
  • teoria idrodinamica;
  • teoria dell’odontoblasta traduttore.

Teoria neurale o dell’innervazione diretta. Tra le prime proposte, presuppone il coinvolgimento di fibre nervose nel segnale dolorifico. Sostiene che le fibre nervose attraversano la giunzione polpa-dentina portandosi negli strati profondi della dentina, permettendo di rilevare gli stimoli esterni. Il coinvolgimento di fibre nervose nel segnale doloroso è, in effetti, un’ipotesi ideale per spiegare l’ipersensibilità dentinale, come avviene in altre parti del corpo. Ci sono però risultati discordanti in merito alla presenza di fibre nervose nella dentina e nei tubuli dentinali, visto che molti studi lo negano. Lo stato dell’arte delle tecniche di imaging 3D – tecnica di preparazione di campioni istologici CLARITY (Clear, Lipid-exchanged, Anatomically Rigid, Imaging/immunostaining compatible, Tissue hYdrogel) unita a microscopia a foglio di luce (microscopia a fluorescenza) – ha consentito di ottenere l’immagine ad alta risoluzione di tessuti con anatomia preservata. Grazie a coloranti fluorescenti, le immagini hanno rivelato che fasci nervosi e loro rami corrono lungo l’asse longitudinale della radice del dente dal forame apicale fino alla polpa coronale con terminazioni che si portano vicino alla periferia della polpa. L’estensione di queste terminazioni (se raggiungano o meno la periferia della dentina) non è però ancora stata determinata.

Teoria dell’odontoblasta traduttore. Proposta da Rapp et al., ipotizza che l’odontoblasta agisca come cellula sensitiva se stimolata da un aumento del movimento di fluidi intratubulare, traducendolo in segnale elettrico e formando sinapsi con le terminazioni nervose afferenti primarie dentali vicine alla giunzione polpa-dentina. L’ipotizzato ruolo di cellula sensitiva svolto dall’odontoblasta deriverebbe dalla sua origine embriogenica: come i neuroni, origina dalle cellule mesenchimali della cresta neurale. Ricerche recenti hanno dimostrato che canali recettori della sensibilità meccanica e termica e alcuni membri del canale ionico della superfamiglia dei recettori di potenziale transitori sono espressi negli odontoblasti, fattore che supporta ulteriormente questa teoria (Kim et al, 2017 - Lee et al, 2019).

Teoria idrodinamica. Il concetto alla base fu proposto la prima volta nel 1900 da Gysi, che spiegò come il dolore dentinale fosse associato al movimento di fluidi all’interno dei tubuli dentinali. Negli anni Sessanta, Braennstroem e Astroem furono in grado di dimostrare che, facendo agire sulla dentina esposta stimoli meccanici, termici e osmotici (causati da zucchero o sale), poteva essere registrato l’incremento del movimento dei fluidi all’interno dei tubuli dentinali ipotizzato da Gysi. Ulteriori studi dimostrarono che questo incremento del movimento dei fluidi aveva come effetto l’eccitazione delle fibre C termosensitive e meccanosensitive e delle fibre nocicettive Ad della giunzione dentina-polpa, che a loro volta attivavano la via nocicettiva dentale. Il movimento del fluido dentinale può essere direzionato verso la polpa o verso l’estremità del tubulo dentinale rivolta verso il cavo orale: gli stimoli termici freddi, evaporativi e osmotici determinano lo spostamento centrifugo del fluido dentinale, ossia in direzione opposta alla polpa, mentre gli stimoli termici caldi causano un movimento inverso. L’espressione dei recettori delle sensibilità termica e meccanica, così come i canali ionici voltaggio-dipendenti coinvolti nel dolore che mandano il segnale ai neuroni afferenti primari dentali, supportano ulteriormente la teoria idrodinamica (Lee et al, 2019).

Diagnosi dell'ipersensibilità dentinale

La diagnosi di ipersensibilità dentinale è molto soggettiva e difficile da porre, nonostante le molteplici linee guida proposte e reperibili anche on line. La difficoltà è dovuta in parte alle numerose patologie dentali che presentano sintomi simili, per cui la diagnosi viene posta per esclusione e solo quando i segni e i sintomi presenti non possono essere attribuiti ad altre patologie. Il dolore acuto, improvviso, esacerbato dall’assunzione di cibi e/o bevande caldi, freddi o dolci è un sintomo che accomuna l’ipersensibilità dentinale e la pulpite reversibile. In una percentuale minore dei casi, la sintomatologia della ipersensibilità dentinale può essere confusa con quella dovuta a incrinature dentali che coinvolgano smalto o dentina, denti scheggiati o rotti, restauri incongruenti o fratturati, carie dentali, ipersensibilità conseguente a procedure di schiarimento/sbiancamento dentale, preparazione protesica o iperemia pulpare indotta dalla preparazione protesica, traumi dentali, trauma occlusale, presenza di placca cervicale e infiammazioni gengivali, malattia parodontale e trattamento parodontale. Va considerata anche la possibilità che coesistano patologie multiple in pazienti affetti da ipersensibilità dentinale con conseguente peggioramento della sintomatologia. Proprio per la possibilità che i pazienti confondano il dolore da ipersensibilità dentinale con altri tipi di dolore, giungere alla diagnosi richiede tempo. Dovranno essere accuratamente e approfonditamente raccolte la storia clinica del paziente e l’evoluzione della sintomatologia nel tempo; l’esecuzione di un attento esame clinico intraorale sottoporrà il paziente a test in grado di escludere le cause di sintomatologia simile alla ipersensibilità dentinale. La percussione dell’elemento dentario ipersensibile per escludere patologie parodontali o pulpari, la transilluminazione per evidenziare eventuali incrinature o fratture dentali, la presenza di otturazioni recenti non perfette e la presenza di recessioni sono alcuni esempi.

Di solito la storia clinica del paziente evidenzia che l’ipersensibilità dentinale esordisce come un piccolo fastidio che può progredire gradualmente diventando un dolore acuto esacerbato dalle attività quotidiane quali bere, mangiare e spazzolare i denti. Il dolore può variare in intensità e qualità in relazione alla gravità dell’esposizione della dentina e allo status delle sensibilità nocicettive centrale e periferica, pur mantenendo sempre la dipendenza dallo stimolo e la transitorietà che lo caratterizzano. È importante notare che l’ipersensibilità dentinale è sempre provocata dall’applicazione di uno stimolo esterno, e quasi mai si manifesta con un dolore continuo o spontaneo. Infatti, se il paziente riferisce questi due ultimi sintomi, devono essere prese in considerazione diagnosi diverse dall’ipersensibilità dentinale all’interno di un processo di diagnosi differenziale. La perdita di smalto così come la presenza di dentina esposta effetto di bruxismo, abitudini alimentari ricche di acidi, reflusso gastrico e bulimia sono considerati fattori predisponenti in grado di portare all’ipersensibilità dentinale e devono essere valutati attentamente.

La valutazione della presenza di fattori di rischio, con l’indagine anamnestica, è finalizzata alla raccolta di informazioni sugli stili di vita del paziente: abitudini di igiene orale domiciliare, regime alimentare, consumo di cibi o bevande acide, malattie sistemiche e assunzione di farmaci, reflusso gastroesofageo e disturbi alimentari, presenza di malocclusioni o quadri parafunzionali, quali il bruxismo.

È opportuno coinvolgere il paziente con interviste mirate che indaghino sulla percezione individuale del sintomo. Le domande sottoposte dal clinico devono essere dirette e a risposta aperta, in modo da definire il tipo di dolore e costruire un rapporto di fiducia medico-paziente. Definire il dolore permetterà di collocarlo, di valutarne l’estensione, di quantificarne l’intensità e la durata, di individuarne l’origine; risulta altrettanto utile porre domande sulla presenza di eventuali alterazioni della qualità di vita nei diversi ambiti (fisico, emotivo, sociale).

A questo scopo nel 2010 Boiko et al, ricercatori dell’Università di Sheffield nel Regno Unito, svilupparono e validarono un questionario composto da 48 domande, il Dentine Hypersensitivity Experience Questionnaire (DHEQ), volto a misurare la qualità di vita del paziente affetto da ipersensibilità dentinale. In esso sono contenute domande vertenti su cinque aspetti della vita quotidiana del paziente influenzati dalla presenza di ipersensibilità dentinale (limitazioni nell’attività quotidiana, presenza di comportamenti adattativi, identità personale, impatto sociale e impatto emotivo), domande per descrivere il dolore, domande vertenti sugli effetti generali della ipersensibilità dentinale sulla qualità di vita e una domanda sulla valutazione globale della salute orale. Per facilitare l’uso clinico del questionario, nel 2014 Machuca et al. elaborarono e validarono due questionari brevi: il DHEQ-10 e il DHEQ-15. Delle due versioni viene in genere preferita la DHEQ-15 perché, contenendo le domande più frequentemente poste dai pazienti e le più importanti per loro, risulta essere la più affidabile (Tabella 1).

 

 

 

Altro elemento da considerare è la presenza di altri fattori predisponenti come recessioni gengivali, gengiviti, parodontite (e suo trattamento) ed eccessivo spazzolamento dei denti. Un approfondimento della conoscenza dei sintomi o delle problematiche del paziente e un’analisi della storia della ipersensibilità dentinale e dei fattori predisponenti saranno d’aiuto al clinico per arrivare alla diagnosi corretta così che possa indirizzare il paziente verso il trattamento migliore per la sua ipersensibilità dentinale (Gillam, 2017). L’osservazione clinica intraorale consente all’odontoiatra e all’igienista dentale di raccogliere, attraverso un esame obiettivo, le informazioni relative allo stato di salute dei tessuti duri e dei tessuti molli del cavo orale. È in questa fase che devono essere indagati estensione e livello del dolore. A questo scopo si utilizzano l’Air Blast Test e la stimolazione tattile.

Air Blast Test

Viene eseguito con una siringa aria-acqua dentale standard e prevede l’applicazione di un getto perpendicolare d’aria fredda o calda alla base del dente sensibile alla distanza di 1 centimetro per 1 secondo.

Stimolazione tattile

Una sonda dentale viene appoggiata, di punta, direttamente sulla base del dente sensibile applicando una forza crescente da 10 a 50 grammi. La risposta del paziente ai due test è misurata per mezzo di due differenti parametri: la quantificazione del dolore effettuata dal clinico utilizza la scala di Shiff che assegna un punteggio da 0 (nessuna risposta) a 3 (risposta dolorosa) in base alla reazione del paziente al getto di aria; la quantificazione del dolore effettuata dal paziente, invece, utilizza una scala visuoanalogica rappresentata da un segmento lungo 10 centimetri alle estremità del quale si trovano i due parametri antitetici, dolore assente e dolore massimo, sul quale il paziente deve indicare con una X la quantità di dolore percepito.

Un diagramma decisionale relativo alla diagnosi dell’ipersensibilità dentinale è illustrato nel Grafico 1.

 

 

 

Trattamento dell’ipersensibilità dentinale

Le strategie messe in atto per la gestione dell’ipersensibilità dentinale includono:

• educazione all’igiene orale e istruzioni sulla tecnica di spazzolamento;

• controllo dei comportamenti ed eliminazione dei fattori predisponenti;

• trattamenti non invasivi per la riduzione del dolore volti ad occludere i tubuli dentinali e a bloccare la trasduzione/trasmissione nocicettiva;

• restauro o trattamento chirurgico dei difetti a carico dei tessuti dentali duri e molli.

Poiché l’ipersensibilità dentinale è spesso il risultato di usura dentale da erosione o abrasione, o di recessione gengivale con esposizione di dentina, la prima strategia è individuare i fattori causali predisponenti la patologia ed educare, istruire e responsabilizzare il paziente affinché possa diventare parte attiva nella gestione e nel trattamento dell’ipersensibilità dentinale. Dato che gli acidi contenuti nell’aceto, nella frutta e nei succhi di frutta così come nelle bevande gassate (acido citrico, acido malico e acido fosforico, per esempio) sono la principale causa dell’erosione dentale, i pazienti predisposti a sviluppare ipersensibilità dentinale dovrebbero limitare l’assunzione di cibi o bevande acidi.

Questi pazienti dovrebbero inoltre essere messi in guardia sul fatto che altri cibi o bevande, benché non acidi, possono contribuire ad abbassare il pH della cavità orale: possono contenere amidi o zuccheri diversi, che le amilasi salivari sono in grado di scomporre negli zuccheri che li costituiscono con conseguente produzione di acidi, come per esempio l’acido lattico, da parte dei batteri presenti nel cavo orale.

Consumare questo tipo di cibi o bevande prima di rimuovere il biofilm orale può accrescere la suscettibilità delle superfici con dentina esposta all’abrasione meccanica anche in caso di spazzolamento delicato, e dunque i pazienti dovrebbero essere educati a spazzolare i denti prima di consumare questo genere di cibi o bevande, enfatizzando anche la necessità di utilizzare con movimento verticale spazzolini con setole morbide e dentifrici non abrasivi per minimizzare il trauma sui tessuti dentali duri e molli. In ogni caso, se la superficie dentinale è stata ammorbidita dagli acidi prodotti grazie alla mediazione del biofilm, l’uso degli spazzolini più morbidi, anche senza dentifricio, può essere causa dell’usura della dentina (Addy, 2005 – Elsenburger et al, 2003).

Ove presente usura da bruxismo o compromissione della dentatura, è raccomandato l’utilizzo di un bite notturno o il restauro della dentatura usurata per ripristinare la dimensione verticale. Come detto, le gengiviti, le parodontiti e il loro trattamento sono state indentificate come fattori predisponenti l’ipersensibilità dentinale per via della esposizione secondaria della dentina che possono generare. Questa possibilità dovrebbe essere anticipata al paziente nel corso del trattamento parodontale e dovrebbero essere prese misure appropriate (come la modulazione degli altri fattori di rischio visti sopra) prima, durante e dopo il trattamento delle patologie gengivali.

In molti soggetti affetti da ipersensibilità dentinali in assenza di ammorbidimento della superficie dentinale mediata da acidi, è stata notata un’eccessiva frequenza di spazzolamento. Uno spazzolamento troppo zelante così come tutte le altre cause meccaniche di recessione gengivale, quali la presenza di piercing linguali, devono essere eliminate.

Anche patologie psichiatriche o mediche possono contribuire all’erosione/abrasione dentale e/o alla recessione gengivale.

Il reflusso gastrico, con il rilascio e la ritenzione di acidi gastrici all’interno della cavità orale, può erodere in modo aggressivo sia lo smalto sia la dentina, rendendola predisposta a rapida usura. Il restringimento/atresia dell’esofago dovuto a un incidente (per esempio chimico) o a una malattia (per esempio la sclerodermia) può anch’esso causare un incremento del livello degli acidi gastrici nel cavo orale.

Nello stesso modo, disturbi psichiatrici associati a comportamenti abbuffo/vomito, come la bulimia, espongono i denti a distruttivi livelli di acidi gastrici. Per questi motivi, le patologie mediche o psichiatriche che possono essere causa di ipersensibilità dentinale devono essere trattate e tenute sotto controllo.

 

Trattamento non invasivo dell’ipersensibilità dentinale

È il più usato, soprattutto nei casi in cui la perdita di tessuti duri dentali o l’esposizione cervicale sono limitati o invisibili, consiste nell’applicazione di desensibilizzanti. Concettualmente gli agenti desensibilizzanti o i trattamenti analgesici mirano a sopprimere l’impulso nervoso mediante l’ostruzione meccanica e chimica dei tubuli dentinali o bloccando direttamente la transduzione/trasmissione nocicettiva che si verifica all’interno del complesso dentina-odontoblasta-terminazione nervosa della polpa dentale.

Gli agenti neurali agiscono sulla trasmissione dell’impulso nervoso depolarizzando la concentrazione extracellulare di ioni nelle membrane neuronali, prevenendo la ripolarizzazione e, di conseguenza, riducendo la sintomatologia. Gli agenti obliteranti, invece, agiscono sigillando i tubuli dentinale mediante precipitazione di proteine, rimineralizzando la struttura, sigillando i tubuli e riducendo il flusso di fluidi nel loro interno.

Il trattamento desensibilizzante può essere distinto in domiciliare e professionale. Il trattamento domiciliare prevede l’utilizzo, da parte del paziente, di prodotti come dentifrici, collutori e gomme da masticare. Per il trattamento professionale si utilizzano gel, soluzioni, vernici, sigillanti, vetroionomeri e adesivi dentinali.

Va ricordato che tra i trattamenti desensibilizzanti professionali sono inclusi anche le più sofisticate tecniche laser, il cui meccanismo di azione non è però ancora del tutto chiaro (il laser a bassa potenza sopprimerebbe l’eccitabilità dei nervi pulpari – Machado et al, 2018 - mentre il laser ad alta potenza indurrebbe l’occlusione dei tubuli dentinali – Borges et al, 2018).

In generale, bisognerebbe sempre cominciare con tecniche non invasive, reversibili, sicure, facili da eseguire e non costose (Schmidlin et al, 2013).

La ricostruzione diretta dei difetti dei tessuti duri o la correzione chirurgica delle recessioni gengivali potrebbero costituire una soluzione terapeutica alternativa per l’ipersensibilità dentinale se esistono le indicazioni per la terapia conservativa o la chirurgia.

Si ritiene che in caso di erosioni o abrasioni, restauri diretti in composito o vetroionomero e restauri indiretti con corone o faccette possano rappresentare un valido trattamento a lungo termine. È dibattuto invece se la chirurgia parodontale delle recessioni possa a sua volta esserlo (Douglas de Oliveira et al, 2013).

Un diagramma decisionale relativo alla terapia dell’ipersensibilità dentinale è illustrato nel Grafico 2.

 

 

La Tabella 2 riassume i trattamenti attualmente utilizzati per la desensibilizzazione.

 

 

È possibile risolvere l'ipersensibilità dentinale in una sola seduta?

Zeni TC, Cardoso PMF, Vanolli RDS, Mendonça MJ, Ueda JK, Camilotti V. Single-session associative protocol for dentin hypersensitivity management: a 1-year randomized, blinded clinical study. Restor Dent Endod. 2024 Mar 20;49(2):e15.

Secondo gli Autori di questo studio, il protocollo da loro proposto lo consente. Sono stati selezionati 20 pazienti affetti da ipersensibilità dentinale, accomunati da un livello minimo di sensibilità sulla scala visuanalogica pari a 4. Lo studio è stato condotto secondo un modello split-mouth, con partecipanti che presentavano almeno un dente affetto in tutti e quattro quadranti. Sono stati confrontati tre diversi protocolli con un gruppo di controllo. Il gruppo di controllo ha previsto solo un trattamento con una vernice contenente il 5% di fluoruro di sodio in sospensione.

• Al gruppo PDN (Neural Desensitizing Protocol) è stato applicato un agente desensibilizzante neurale contenente il 5% di nitrato di potassio e il 2% di fluoruro di sodio e, a seguire, un adesivo.
• Al gruppo PAM (Mixed Desensitizing Protocol) è stato applicato un agente desensibilizzante neurale contenente il 5% di nitrato di potassio e il 2% di fluoruro di sodio e, a seguire, un obliterante.
• Al gruppo PDR (Remineralizing Desensitizing Protocol) è stato applicato un agente desensibilizzante neurale contenente il 5% di nitrato di potassio e il 2% di fluoruro di sodio e, a seguire, un remineralizzante.

È importante che la sequenza non venga alterata: i tubuli dentinali devono essere obliterati solo dopo aver ottenuto la depolarizzazione delle fibre nervose grazie al desensibilizzante neurale.
La valutazione dei risultati è stata effettuata immediatamente dopo l’applicazione a una settimana, a un mese, a due mesi e a dodici mesi per mezzo della scala visuanalogica.
Al controllo dei dodici mesi tutti i gruppi hanno evidenziato differenze statisticamente significative rispetto alla situazione di partenza, ed è stata rilevata anche una differenza statisticamente rilevante tra gruppo PAM, gruppo di controllo e gruppo PDR tra i quali il gruppo di controllo e il gruppo PDR si sono dimostrati i più efficaci. 

 

Take home message

La presenza di dentina esposta è solitamente il prerequisito per lo sviluppo dell’ipersensibilità dentinale, caratterizzata da un dolore acuto e di breve durata esacerbato da vari stimoli esterni (normalmente ben tollerati) che scompare all’allontanamento dello stimolo stesso.
Più frequente nel sesso femminile, l’ipersensibilità dentinale condiziona pesantemente la qualità di vita dei pazienti, minando il loro benessere psicologico e sociale.
Un’accurata diagnosi, fatta per esclusione, può consentire di trovare il trattamento più appropriato per ogni paziente, consentendo di ripristinare il suo stato di salute orale e la sua qualità di vita.

credito foto in apertura: pixelshot, canva.com

 

Ipersensibilità dentinale: cause e trattamento - Ultima modifica: 2024-09-12T11:10:29+00:00 da K4
Ipersensibilità dentinale: cause e trattamento - Ultima modifica: 2024-09-12T11:10:29+00:00 da K4