Materiali per l’impronta di precisione in protesi fissa
Un restauro incongruo, che possieda caratteristiche di adattamento non ottimali (ad esempio, discrepanze marginali orizzontali, verticali o assolute), può determinare una serie di effetti negativi localizzati17, in particolare: maggiore accumulo o ritenzione di placca batterica18 e irritazione meccanica dei tessuti molli; nel lungo termine possono presentarsi complicanze quali carie secondaria, infiammazione gengivale e, in alcuni biotipi suscettibili, recessioni e/o inestetismi.
Per questi motivi la precisione di un restauro non rappresenta esclusivamente la squisita ricerca di una transizione ottimale fra l’elemento naturale e la protesi, ma è alla base della longevità (o aspettativa di sopravvivenza) della riabilitazione stessa. Si ritiene che l’imprecisione dei restauri, tradizionalmente prodotti, sia la somma di molteplici passaggi d’informazione fra clinica e laboratorio; il primo di questi è proprio la presa dell’impronta, che dovrebbe essere effettuata con materiali in grado di rilevare i più fini dettagli per restringere gli errori dimensionali.
Fino al 1950 gli idrocolloidi sono stati considerati il materiale di elezione fra quelli allora disponibili19; essi consentivano di valicare il principale limite del gesso rappresentato dall’impossibilità di superare i sottosquadri. Fra il 1950 e i primi anni Sessanta sono stati introdotti nel mercato odontoiatrico i polisolfuri e i siliconi per condensazione; il loro principale svantaggio, condiviso dagli idrocolloidi, era la contrazione dimensionale sviluppata nell’arco di poche ore dall’indurimento, determinata dall’evaporazione di molecole quali alcool e acqua.
Nel processo stesso di polimerizzazione, durante la fase di indurimento, polisolfuri e siliconi per condensazione raggiungono livelli di contrazione volumetrica compresi fra -0.4 e -0.6%19. Al termine degli anni Sessanta i polieteri, appartenenti alla grande famiglia degli elastomeri, offrivano per la prima volta al protesista eccellenti proprietà fisicomeccaniche, fra cui l’elevato recupero elastico e l’idrofilia.
Dieci anni dopo si assisteva alla comparsa dei siliconi per addizione, anche denominati polivinilsilossani (PVS), contraddistinti da un’elevata stabilità dimensionale nel tempo e alle temperature. Secondo Christensen20, nel corso degli ultimi vent’anni polieteri e PVS sono stati oggetto di considerevoli migliorie tali da renderli i materiali tutt’oggi dominanti nel campo della protesi fissa, sia essa basata su pilastri naturali o impianti3.
Principali caratteristiche di polieteri e PVS
In generale, il comportamento complessivo di qualunque materiale da impronta deriva dall’insieme delle sue proprietà fisicomeccaniche; la definizione delle caratteristiche più comunemente valutate in Odontoiatria, e dei valori di riferimento associati, è fornita in Tabella 2. L’utilizzo di uno specifico materiale da impronta e, nel caso in esame, la scelta fra polieteri o siliconi per addizione ai fini di una registrazione di precisione, dovrebbe fondarsi sulla conoscenza delle caratteristiche dei materiali stessi, valutando le conseguenze cliniche delle differenti proprietà.
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