L’evoluzione dell’implantologia ceramica – Indicazioni all’utilizzo degli impianti ceramici bi-componente

Fig. 6 Impianto in zirconia di forma conica

Abstract

L’evoluzione del settore implantologico si è indirizzata negli ultimi anni verso la ricerca di materiali alternativi al titanio. Gli impianti in zirconia, inizialmente impiegati nella loro variante one-piece, hanno avuto un ulteriore sviluppo grazie all’introduzione della versione two-piece. Questo aggiornamento monografico ha come obiettivo quello di descrivere le peculiarità degli impianti in zirconia two-piece, prendendo in esame la letteratura scientifica al fine di comprendere ad oggi il tasso di successo di questi impianti, le caratteristiche morfologiche, i vantaggi e gli svantaggi che ne conseguono oltre che le indicazioni cliniche quali, per esempio, le riabilitazioni full-arch.

The evolution of ceramic implantology. Indications for use of two-piece ceramic implants

In the recent years, the dental implantology has evolved towards the research of alternative materials to titanium. The zirconia implants, at first used in their one-piece variant, have been further developed thanks to the introduction of the two-piece version. The monographic update aims to describe the peculiarities of two-piece zirconia implants, based on scientific literature in order to understand the current success rate of these implants, the indications, the morphological characteristics, the consequent advantages and disadvantages as well as clinical indications such as full-arch rehabilitations.

L’evoluzione dell’implantologia ceramica – Indicazioni all’utilizzo degli impianti ceramici bi-componente
- Ultima modifica: 2019-12-11T12:07:34+00:00
da Dino Re

L’evoluzione del settore implantologico si è indirizzata negli ultimi anni verso la ricerca di materiali alternativi al titanio. Gli impianti in zirconia, inizialmente impiegati nella loro variante one-piece, hanno avuto un ulteriore sviluppo grazie all’introduzione della versione two-piece. Questo aggiornamento monografico ha come obiettivo quello di descrivere le peculiarità degli impianti in zirconia two-piece, prendendo in esame la letteratura scientifica al fine di comprendere a oggi il tasso di successo di questi impianti, le caratteristiche morfologiche, i vantaggi e gli svantaggi che ne conseguono oltre che le indicazioni cliniche quali, per esempio, le riabilitazioni full-arch.

Dino Re
Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi di Milano nel 1984 e specializzato nello stesso ateneo in Odontostomatologia nel 1987 e in Ortognatodonzia nel 1991. Professore aggregato, svolge attività didattica e di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano. Dal 2001 è titolare dell’insegnamento del corso di protesi dentaria per la facoltà di Odontoiatria e protesi dentaria. È presidente della SITD (Società italiana di traumatologia dentale). Dal 2011 è direttore del Reparto universitario di Estetica dentale presso l’Istituto Stomatologico Italiano di Milano.
Andrea Enrico Borgonovo
Laureato in Medicina e Chirurgia e specializzato in Chirurgia Maxillo-facciale. Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Milano dal 2006 e Visiting professor presso Università Cattolica di Murcia (Spagna). Nel 2012 consegue l’abilitazione nazionale di professore associato. Dal 2011 è il responsabile di Chirurgia orale e Implantologia del Reparto Universitario di Estetica dentale presso l’Istituto Stomatologico Italiano di Milano, Università degli Studi di Milano.
Andrea Emanuele Luca
Laureato in Igiene dentale presso l’Università degli studi di Milano. Studente del quinto anno del corso di laurea in Odontoiatria e Protesi dentaria presso l’Università degli Studi di Milano. Frequentatore del Reparto universitario di Estetica dentale presso l’Istituto Stomatologico Italiano di Milano e dei reparti di Odontoiatria e Protesi dentaria della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico.
Susanna Ferrario
Studentessa del sesto anno del corso di laurea in Odontoiatria e Protesi dentaria presso l’Università degli Studi di Milano. Frequentatrice del Reparto universitario di Estetica dentale presso l’Istituto Stomatologico Italiano di Milano e dei reparti di Odontoiatria e Protesi dentaria della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, dove collabora svolgendo attività clinica e di ricerca, con particolare predilizione per il settore chirurgico e implanto-protesico.
Sammy Noumbissi
Laureato in Odontoiatria e Protesi dentaria presso Howard University, Washington DC. Ha frequentato il “Graduate Program in Implant Dentistry” presso Loma Linda University. Ha conseguito il “Certificate in Implant Dentistry” e il “Master of Science in Implant Surgery” presso Loma Linda University. È presidente della Accademia Internazionale di Implantologia Ceramica di Silver Spring in Maryland, USA.
Virna Vavassori
Laureata in Odontoiatria e Protesi dentaria e specializzata in Chirurgia Odontostomatologica presso l’Università degli Studi di Milano. Professore a contratto presso il Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi dentaria. Tutor presso il Reparto universitario di Estetica dentale dell’Istituto Stomatologico Italiano di Milano, Università degli Studi di Milano.

 

In implantologia, la ricerca di materiali biocompatibili, in alternativa agli impianti in titanio, ha guidato l’ambito odontoiatrico all’utilizzo di materiali innovativi che permettano di sopperire ad alcuni dei problemi legati al titanio. Inoltre, la sempre maggiore richiesta estetica da parte dei pazienti, in particolare per quanto riguarda i settori frontali, sottolinea che il mancato ottenimento di una perfetta riabilitazione estetica porta comunque a un complessivo insuccesso, nonostante il raggiungimento della restitutio a integrum dal punto di vista funzionale1. L’ossido di alluminio (Al2O3) è stato uno dei primi materiali ceramici impiegati nella realizzazione di dispositivi implantari. Tuttavia, il suo impiego è stato velocemente abbandonato in quanto, nonostante mostrasse una buona osteointegrazione, non dimostrò di possedere proprietà meccaniche tali da garantire, sottoposto a carico masticatorio, una sufficiente resistenza nel lungo termine. Quindi, nonostante le prime esperienze con impianti ceramici si rivelarono deludenti, inducendo così i clinici ad abbandonarne l’impiego e le case produttrici a ritirarli dal mercato, l’affacciarsi in campo biomedico di un materiale dalle buone proprietà meccaniche, dall’elevata biocompatibilità e dall’estetica ottimale come la zirconia ha persuaso la ricerca ad approfondire un suo possibile utilizzo come materiale per impianti endossei.

Gli impianti in zirconia hanno permesso all’implantologia moderna di superare i limiti posseduti dal titanio. Tali limiti non sono solo a livello riabilitativo, come per esempio nelle riabilitazioni anteriori in soggetti con biotipo gengivale sottile, ma anche a livello immunologico. Si è infatti scoperta la possibilità che si instaurino delle reazioni immunologiche di tipo IV secondo la classificazione di Gell e Coombs in seguito al posizionamento e/o al restauro quando si utilizzano leghe di titanio e titanio. Queste reazioni provocano sensibilizzazione e proliferazione di una popolazione di linfociti T reattivi seguiti da una cascata infiammatoria che porta a sintomi clinici e persino alla perdita di tessuto perimplantare. Questo genere di situazioni risulta di difficile riconoscimento diagnostico per via della bassa capacità dei sali di titanio di evocare una reazione epicutanea nei comuni patch test2. La letteratura indica la presenza di una reattività immunologica dimostrabile in circa il 5% della popolazione portatrice di impianti in titanio. Tramite metodiche diagnostiche più sofisticate e sensibili, quali i test di trasformazione linfocitaria LTT si è riusciti a dimostrare la presenza di reazioni immunologica nei soggetti esposti alle riabilitazioni implantari in titanio3. I primi impianti in zirconia prodotti risultavano essere in forma one-piece, ossia mono-componente. Recentemente le ditte di impianti in ceramica, basandosi sui limiti degli impianti one-piece, hanno introdotto la forma two-piece. Caratteristica di questa forma implantare è la presenza di una componente implantare e di una componente protesica (abutment), che può essere connessa all’impianto tramite una connessione interna o esterna mediante una vite o tramite la cementazione.

Perché scegliere un impianto two-piece rispetto a un impianto one-piece?

Gli impianti one-piece sono stati i primi impianti in zirconia introdotti in ambito clinico e hanno dimostrato un ottimo comportamento in termini di osteointegrazione e successo clinico implantare4,5,6,7. Tali impianti presentano indubbi vantaggi ma anche diverse limitazioni dati dalla loro morfologia monofasica.

Gli impianti one-piece sono, infatti, particolarmente indicati nei settori anteriori in particolare nei biotipi sottili, nelle riabilitazioni di mono-edentulie, nei pazienti che presentano un supporto osseo ottimale che sia in grado di far fronte ai carichi masticatori e non, durante la fase di osteointegrazione implantare. Tuttavia, anche in presenza di un supporto osseo ben rappresentato, la struttura monolitica di questi impianti può comportare difficoltà in termini di inserimento chirurgico in pazienti con apertura limitata, corone cliniche corte e spazio interocclusale limitato.
Inoltre, i disparallelismi che si possono verificare durante le riabilitazioni implanto-protesiche che prevedono l’inserimento di più impianti, possono essere difficilmente corretti. Infatti, se con l’utilizzo di impianti two-piece questo limite viene agevolmente superato tramite l’utilizzo di abutment angolati, negli impianti monofasici si deve ricorrere alla fresatura in situ del moncone. Questa modifica che consente di adattarli perfettamente alle richieste protesiche, comporta delle modifiche strutturali dalle quali deriva un possibile indebolimento della zirconia e una sua minore resistenza alla frattura, capacità che non dovrebbe essere invece compromessa soprattutto a livello dei settori posteriori dove i carichi masticatori si esplicano ai massimi livelli.

Inoltre, l’utilizzo di impianti one-piece prevede necessariamente il posizionamento di un provvisorio che deve essere privo di contatti in occlusione e lateralità. Tuttavia gli studi hanno evidenziato che questi impianti vengono comunque sottoposti a carichi indesiderati8 legati ai movimenti fisiologici della lingua e a forze non controllabili correlate ai cicli masticatori9. Ciò può risultare sfavorevole per i processi di osteointegrazione, in particolare, nei casi in cui il supporto osseo sia di scarsa qualità, situazione clinica frequente nei settori latero-posteriori in particolare a livello dell’osso mascellare superiore. In letteratura, è noto che un impianto posizionato in osso di scarsa qualità con corticale sottile e bassa densità trabecolare (D4) ha una maggiore probabilità di fallimento rispetto a impianti inseriti in altre tipologie di qualità ossea10.

Questo si verifica non solo in situazioni dove l’osso non presenta una densità adeguata al carico immediato, ma anche in siti in cui sono state eseguite procedure rigenerative precedenti o simultanee come GBR, rialzo del seno, rialzo per via transinusale. La maggior parte degli impianti ceramici two-piece sul mercato oggi sono tissue level e rimangono l’opzione migliore per evitare il carico prematuro durante la fase di guarigione ossea e di osteointegrazione (Figg. 1,2,3).

Di contro, gli impianti two-piece presentano rispetto agli impianti one-piece una maggior versatilità rispetto alle situazioni cliniche sopra descritte, grazie al fatto che il clinico può prediligere la guarigione sommersa dell’impianto nei casi in cui questa situazione sia indicata e può scegliere tra diverse tipologie di abutment.
Per esempio, per la riabilitazione dei settori posteriori, in pazienti con importanti limitazioni funzionali nell’apertura della bocca risultano indicati gli impianti two-piece associati ad abutment angolati che permettono oltretutto la riduzione di potenziali pre-contatti occlusali rispetto agli abutment dritti.
Inoltre, come già sottolineato in precedenza, quando il paziente presenta strutture ossee con scarsa qualità ossea o nei casi in cui risulti necessario optare per procedure rigenerative (Figura 4a,b,c,d,e), gli impianti two-piece offrono la possibilità di procedere con l’approccio in due fasi.

Tuttavia, la sistematica implantare bicomponente rispetto alla monocomponente comporta delle problematicità che già in parte si erano presentate con gli impianti in titanio. Questi limiti si esplicano precisamente a livello dell’interfaccia impianto-abutment e sono legati in particolare al maggior rischio di colonizzazione batterica dato dalla presenza del micro-gap a livello dell’interfaccia moncone-impianto11.

Tuttavia è bene considerare che la zirconia presenta delle caratteristiche intrinseche e delle proprietà superficiali che comportano una diminuita organizzazione della placca e un’adesione limitata ai batteri e al microbiota rispetto al titanio12. Questo rapporto impianto-abutment permette, da un lato, un’elevata stabilità del moncone senza potenziali movimenti rotazionali della protesi grazie alla connessione esagonale e, dall’altro, una maggiore protezione del sigillo esagonale data dalla chiusura conica che riduce il gap fra impianto e abutment impedendo l’infiltrazione batterica13.

Successo clinico impianti two-piece in zirconia

I tassi di successo e di sopravvivenza degli impianti in zirconia risultano essere comparabili a quelli degli impianti in titanio, infatti diversi autori hanno paragonato i due impianti (Zr-Ti) al fine di valutarne l’affidabilità clinica14.

Una recente revisione della letteratura condotta da Haro Adánez Mireira et al.15 su 17 studi clinici ha osservato che per un totale di 1704 impianti in zirconia (1521 one-piece, 183 two-piece), seguiti per un periodo compreso tra 1 anno e 7 anni, i valori medi del tasso di sopravvivenza risultano essere del 95% (95% IC 91-97%). Oltre al tasso di sopravvivenza, la revisione ha anche preso in esame i valori medi di perdita ossea marginale dopo 1 anno e al termine del periodo di follow-up. Nel complesso, la perdita di osso marginale è risultata rispettivamente pari a 0,89 mm (IC 95% 0,60-1,18) e 0,98 mm (IC 95% 0,79-1,18).

Per quanto riguarda gli studi attinenti gli impianti two-piece in zirconia, i risultati ottenuti in termini di successo e sopravvivenza implantare, mostrano dati paragonabili a quelli degli impianti in titanio. Nello specifico, in uno studio condotto da Payer et al.16, il tasso di successo e il tasso di sopravvivenza sono risultati del 93.3% per gli impianti in zirconia e del 100% per quelli in titanio con un follow-up di 24 mesi. Valori simili sono stati riportarti anche da Cionca et al17 che ha ottenuto un tasso di sopravvivenza del 87% per la sola zirconia su pazienti seguiti per 588±174 giorni. Il successo clinico degli impianti in zirconia two-piece è stato valutato anche in una indagine retrospettiva condotta da Jank S et al.18, in cui hanno esaminato i dati di sostituzione in garanzia di una nota marca implantare.

Il periodo indagato, compreso tra il 2010 e il 2014, ha preso in esame tre generazioni di impianti two-piece. I risultati di questo studio rivelano che gli impianti in zirconia two-piece possiedono tassi di successo competitivi. I valori del tasso di successo hanno visto un incremento progressivo, con valori iniziali superiori al 96,7% nelle prime generazioni, fino ad arrivare a valori superiori al 98,5% nelle ultime generazioni.

Design implantari

Come per gli impianti in titanio, anche per gli impianti in zirconia valgono gli stessi principi morfologici implantari. La forma ideale per un impianto è cilindrica (Figura 5) o leggermente conica (Figura 6) e inoltre deve presentare una filettatura lungo la sua superficie. Questo perché un carico assiale a livello della testa dell’impianto viene così scomposto lungo tutta la filettatura. Quindi, ogni filettatura contribuisce a resistere e a sopportare il carico occlusale mentre l’apice si oppone ortogonalmente a esso. La capacità dell’impianto di resistere al carico occlusale permette una sua sopravvivenza a lungo termine senza perdita di osteointegrazione. Questa forma implantare tuttavia non supporta bene le forza oblique che si concentrano a livello dell’apice e del collo implantare. È necessario infatti rispettare gli schemi protesici che portano ad avere solo forze verticali/assiali.

Gli impianti in zirconia two-piece sono disponibili sia nella variante cilindrica (Straumann® Pure Ceramic, Straumann AG, Basilea, Svizzera; Z3c/Z3s Z-Systems AG, Oensingen, Svizzera; Zeramex® P6, Zeramex®, Dentalpoint AG, Spreitenbach, Svizzera; TAV Zirconia two-piece implant, TAV Dental Germany GmbH, Hamburg, Germany) che conica (Ceralog® Hexalobe, Camlog Biotechnologies AG, Basilea, Svizzera) e presentano una filettatura lungo tutta la superficie sommersa.

Inoltre, alcuni impianti disponibili in commercio hanno presentato modelli con forma cilindrico-conica (Zeramex® XT, Zeramex®, Dentalpoint AG, Spreitenbach, Svizzera; NobelPearl, Nobel®, Nobel Biocare Services AG, Kloten, Svizzera; SDS 2.0, SDS Swiss Dental Solutions AG, Kreuzlingen, Svizzera).

Abutment avvitato o cementato?

Nella sistematica two-piece, come abbiamo già precedentemente accennato, la connessione impianto-moncone può avvenire tramite due diverse modalità: avvitata o cementata. Per quanto riguarda la modalità di connessione avvitata, essa prevede l’utilizzo di una vite di connessione tra impianto e abutment. Questa vite di connessione può essere in titanio, oro, PEEK o carbonio-PEEK.

Le viti in oro e le viti in titanio sono presenti in alcune tipologie di impianti in zirconia bi-componente (Ceralog®, Camlog Biotechnologies AG, Basilea, Svizzera; TAV Zirconia two-piece implant, TAV Dental Germany GmbH, Hamburg, Germany; Z3s Z-Systems AG, Oensingen, Svizzera). L’utilizzo di impianti con queste viti comporta che la riabilitazione non possa essere definita completamente metal-free, seppure sia doveroso precisare che la vite di connessione metallica non si trova a diretto contatto coi tessuti del paziente.

Per quanto riguarda le viti realizzate in carbonio-PEEK (Figura 7), esse sono realizzate in PEEK rinforzato con fibra di carbonio (Vicarbo®, Dentalpoint AG, Spreitenbach, Svizzera). Tale materiale risulta non radiopaco, con modulo elastico >160 GPa, resistenza alla flessione >1100 MPa, resistenza tensile 2000 MPa e biocompatibile secondo ISO10993. La sua peculiarità è legata alla sua struttura intrinseca in quanto le fibre di carbonio hanno un andamento longitudinale e continuo (CF 60%) e sono inserite in una matrice di PEEK (Polyetheretherketone 40%). Questo comporta un importante vantaggio clinico legato al serraggio della vite che, grazie alla presenza di fibre di carbonio longitudinali e continue, si adatta alla filettatura interna dell’impianto e contribuisce in modo significativo a dissipare sforzi e forze di tensione.

Tuttavia questa sua capacità di adattamento comporta lo svantaggio determinato dal deterioramento della vite stessa dopo il primo utilizzo, tant’è vero che la casa produttrice garantisce per un solo serraggio della vite. Il torque di serraggio massimo consigliato è fino a 25 Ncm e, come precedentemente affermato, è consigliabile effettuarlo solamente una volta.Diversi impianti two-piece prevedono l’utilizzo della vita di connessione in carbonio-peek (Zeramex® P6 e XT, Zeramex®, Dentalpoint AG, Spreitenbach, Svizzera e NobelPearl, Nobel®, Nobel Biocare Services AG, Kloten, Svizzera). Come è facilmente intuibile, l’utilizzo di viti in un materiale diverso rispetto la zirconia può risultare un punto critico della riabilitazione implantare in quanto si possono concentrare aree di stress nella connessione con la vite. Le viti di connessione in carbonio-PEEK hanno dimostrato di riuscire a sopportare in modo migliore le forze di tensione, grazie alla loro capacità intrinseca di adattamento.

Uno studio condotto da Spies et al.19 avvalora la stabilità sotto stress della vite di connessione in carbonio-PEEK. In questo articolo sono stati valutati impianti con vite di connessione in carbonio-PEEK insieme a gruppi controllo sottoposti a cicli di invecchiamento idrotermico (85° per 60 giorni) e a cicli di carico dinamico (per 107 giorni). I risultati di questo lavoro hanno dimostrato che la vite in carbonio-PEEK presenta una buona affidabilità clinica, anche sotto stress.

Un’altra problematica comune di tutte le sistematiche che prevedono una vite di connessione è la possibilità che essa possa svitarsi. Al fine di scongiurare tale rischio, alcuni impianti in zirconia two-piece posseggono un cuneo di serraggio pre-montato che si trova all’interno dell’impianto e che mantiene la vite fissata all’abutment. In queste tipologie implantari, il rischio di allentamento della vite risulta pertanto abbastanza limitato (Z3s Z-Systems AG, Oensingen, Svizzera). Per quanto riguarda le connessioni cementate (in inglese «luted») degli impianti two-piece in zirconia, esse prevedono l’utilizzo di un cemento dedicato che andrà a unire l’abutment all’impianto. Questa tipologia implantare permette di trattare successivamente i two-piece in modo simile alla forma one-piece. I cementi consigliati per la cementazione differiscono in base alle indicazioni della casa produttrice e indicativamente appartengono a due categorie: cementi vetroionomerici (KetacTM Cem, 3MTM Espe, 3M Italia S.p.a, Pioltello, Italia) e cementi resinosi (PanaviaTM 2.0, Kuraray, Kuraray Europe GmbH, Hattersheim, Germany; RelyXTM Unicem, 3MTM Espe, 3M Italia S.p.a, Pioltello, Italia; Els cem, Saremco Dental, Saremco Dental AG, Rebstein, Svizzera). Le fasi operative riguardanti la cementazione risultano essere molto semplici e questo ne permette un utilizzo anche agli operatori meno esperti.

Tuttavia, questo tipo di connessione presenta alcuni svantaggi legati propriamente alla cementazione. In primis, uno dei principali svantaggi riguarda la rimozione dei residui di cemento che può risultare molto indaginosa soprattutto se in sede sottogengivale. In aggiunta, l’utilizzo di cementi, introduce delle criticità legate al tipo di materiale usato (caratteristiche del prodotto) e alla sua durata clinica. Poiché la decementazione di un manufatto è una complicanza non infrequente in ambito protesico, anche per gli impianti two-piece, potrebbe verificarsi la decementazione dell’abutment dall’impianto. Oltre al distacco dell’abutment, la problematica maggiore è legata al fatto che nelle fasi iniziali di decementazione, si hanno dei micro-movimenti della struttura. Quest’ultimi, creando delle aree di stress, possono condurre a fratture delle strutture implantari e/o dell’abutment (Figura 8). Tuttavia, dalla letteratura emerge che per gli impianti two-piece con abutment cementato per mezzo di cementi resinosi autopolimerizzanti16,17 non è mai stata riportata la perdita di ritenzione dell’abutment, questo a conferma della stabilità della connessione cementata. Nonostante ciò, gli autori hanno osservato degli incidenti di cui sopra discusso nella loro pratica quotidiana.

Fig. 8 Abutment cementati fratturati

In aggiunta, per aumentare la stabilità della connessione, sono stati recentemente introdotti degli abutment che presentano alla base un anello in PEEK (Zeralock™ PEEK ring, Zeramex®, Dentalpoint AG, Spreitenbach, Svizzera). Questi abutment utilizzati su impianti two-piece con morfologia interna dedicata (Zeramex® T Zeralock™, Zeramex®, Dentalpoint AG, Spreitenbach, Svizzera) permettono tramite un movimento rotazionale di 60° un fissaggio meccanico.

Di particolare interesse risultano le sistematiche che prevedono una combinazione delle due tecniche di connessione in quanto presentano sia una micro vite di serraggio sia la cementazione (SDS2.0, SDS Swiss Dental Solutions AG, Kreuzlingen, Svizzera). Queste micro viti possono essere in titanio, in oro o in PEEK (nei casi di pazienti con allergie ai metalli). Il serraggio per le microviti in titanio e oro non deve superare i 15 Ncm, mentre per le microviti in PEEK non deve superare i 5 Ncm.

L’assenza di micro-gap è quasi sempre ricercata durante la cementazione dell’abutment, tuttavia non sempre è ottenuta. Per ridurre la presenza di micro-gap alcuni impianti presentano uno spazio di progettazione a livello della connessione impianto-moncone, che è stato ideato per creare un sigillo ermetico. Questo avviene grazie all’inserimento del cemento della protesi fissa, che si unisce al cemento dell’abutment, e crea un sigillo che non permette infiltrazione batterica(es. impianto Z3c Z-Systems AG, Oensingen, Svizzera).

Circa le fratture dell’abutment, solamente in pochi studi clinici è stata registrata la frattura del moncone17,20 e quando essa si è verificata, la linea di frattura risultava essere localizzata alla base della connessione17. Sfortunatamente, in alcuni casi di abutment cementati, la frattura si verifica alla base dell’abutment in prossimità dell’impianto. La parte cementata dell’abutment rimane cementata all’interno dell’impianto e la rimozione porta spesso alla distruzione della porzione di connessione interna dell’impianto.

Connessioni implantari

La connessione abutment-impianto rappresenta un’importante variabile nella distribuzione dei carichi masticatori dalla protesi all’interfaccia
osso-impianto (Figura 9). La connessione purtroppo rappresenta un punto di discontinuità e di debolezza del sistema. Idealmente, una connessione dovrebbe essere:

  • precisa (per garantire il massimo sigillo possibile tra abutment e impianto in modo da rendere minima la possibilità di adesione e proliferazione batterica);
  • stabile (per garantire un’adeguata resistenza alle sollecitazioni masticatorie; i due componenti connessi non devono subire movimenti relativi l’uno rispetto all’altro, siano essi movimenti rotatori torsionali o flessionali);
  • semplice (per garantire la massima praticità di utilizzo per il clinico sia nella fase chirurgica, sia nella fase protesica).
  • Le connessioni implantari per gli impianti in zirconia, come per gli impianti in titanio, attualmente si dividono nelle seguenti tipologie:
  • connessioni con esagono esterno (Zeramex® P6, Zeramex®, Dentalpoint AG, Spreitenbach, Svizzera)
  • connessioni con esagono interno (Ceralog® Hexalobe, Camlog Biotechnologies AG, Basilea, Svizzera; W Zirconia two-piece implant, TAV Dental Germany GmbH, Hamburg, Germany)
  • connessione interna multilobata (NobelPearl, Nobel®, Nobel Biocare Services AG, Kloten, Svizzera e impianti ZERAMEX® XT, ZERAMEX®, Dentalpoint AG, Spreitenbach, Svizzera)
  • connessione interna a cono (Z3c Z-Systems AG, Oensingen, Svizzera; impianti SDS® 2.0, SDS Swiss Dental Solutions AG, Kreuzlingen, Svizzera)
  • connessione interna quadrata con pareti parallele (Straumann® Pure Ceramic, Straumann AG, Basilea, Svizzera).
Fig. 9 Impianto in zirconia two-piece con connessione interna quadrilobata

Le connessioni con esagono esterno presentano a livello del collo dell’impianto un esagono esterno con funzione anti-rotazionale. La base dell’abutment, di forma cilindrica, appoggia sul bordo dell’impianto. Grazie a una indicizzazione esagonale si garantisce una solida protezione anti-rotazionale e un posizionamento sicuro e semplice dell’abutment.

Le connessioni esterne permettono in alcuni casi l’ingaggio semplificato dell’impianto in più posizioni possibili (Zeramex® P6, Zeramex®, Dentalpoint AG, Spreitenbach, Svizzera) ed, inoltre, per le fasi protesiche, consentono una presa indiretta dell’impronta priva di tensione. Nelle connessioni con esagono interno, le pareti del collo dell’impianto risultano svasate verso l’interno e terminano con un esagono a scopo anti-rotazionale. L’esagono interno permette una diffusione delle forze tangenzialmente e permette una buona stabilità anti rotazionale. (Ceralog® Hexalobe, Camlog Biotechnologies AG, Basilea, Svizzera).

Le connessioni interne quadrilobate facilitano un corretto posizionamento dell’impianto in quanto i quattro elementi di ritenzione in accoppiamento con i quattro agganci dell’abutment permettono un posizionamento facilitato dell’abutment (NobelPearl, Nobel®, Nobel Biocare Services AG, Kloten, Svizzera; Zeramex XT, Zeramex®, Dentalpoint AG, Spreitenbach, Svizzera).

Nelle connessioni a cono interne (Z-System® Z3c, Z-Systems AG, Oensingen, Svizzera, SDS® 2.0, SDS Swiss Dental Solutions AG, Kreuzlingen, Svizzera) l’abutment, il cui profilo è rastremato, si innesta nell’apposito alloggiamento nell’interno dell’impianto creando, mediante accoppiamento conico, un tutt’uno con l’impianto stesso. Non ha però funzione anti-rotazionale e può condurre a complicanze di difficile gestione nei casi di frattura. Nelle connessioni interne quadrate l’ingaggio avviene tramite una connessione di tipo flat-to-flat, che ne aumenta la stabilità a discapito della flessibilità protesica. Inoltre, sono caratterizzate dalla presenza di un blocco rotazionale e di un filetto interno per il fissaggio delle componenti provvisorie e definitive (Straumann® Pure Ceramic, Straumann AG, Basilea, Svizzera).

Superfici implantari

Le superfici degli impianti in ceramica hanno presentato una evoluzione continua negli anni, evoluzione necessaria al fine di ottenere caratteristiche più performanti per una migliore osteointegrazione. Come sappiamo, l’osteointegrazione degli impianti in titanio è incrementata da alterazioni della sua superficie, pertanto si è ipotizzato, testato e provato che tale effetto potesse presentarsi anche sugli impianti in zirconia. Le prime sperimentazioni in vivo e in vitro21,22 hanno preso in considerazione le modifiche superficiali della zirconia al fine di valutarne il loro effetto sulla capacità di osteointegrazione e sulle caratteristiche meccaniche del biomateriale.

I trattamenti superficiali della zirconia maggiormente utilizzati prevedono processi sottrattivi di tipo meccanico e di tipo chimico. Le modifiche di tipo meccanico annoverano processi di levigatura (machined) e processi di sabbiatura (sandblasting), mentre quelle chimiche includono processi di mordenzatura. Da un punto di vista generale, i trattamenti chimici portano a un miglioramento delle alterazioni morfologiche, poiché a livello topografico creano una superficie più uniforme rispetto alla singola sabbiatura. I processi di sabbiatura possono essere eseguiti con diversi materiali; attualmente il materiale maggiormente utilizzato risulta essere l’ossido di alluminio. La sabbiatura con l’ossido di alluminio negli impianti Y-TZP, eseguita prima del processo di sinterizzazione, permette di evitare la trasformazione dalla fase tetragonale a quella monoclina della zirconia, in modo da scongiurare l’intaccamento delle sue proprietà. Nelle loro linee guida, Wennerberg e Albrektsson hanno sottolineato l’importanza di utilizzare più parametri per incrementare la rugosità di un impianto23,24. Tale aspetto è giustificato dal fatto che un solo parametro non riesce a garantire un’adeguata distribuzione spaziale nella topografia di superficie. Per questo motivo, si è notato che l’utilizzo di entrambi i processi (chimico e meccanico) permette un incremento maggiore dell’adesione e della proliferazione ossea sulla superficie implantare.

Le superfici degli impianti in ceramica hanno presentato una evoluzione continua negli anni, evoluzione necessaria per ottenere caratteristiche più performanti per una migliore osteointegrazione

Nel dettaglio, la sabbiatura rende possibile un’adeguata adesione ossea, mentre l’attacco acido regolarizza la topografia dell’impianto, smussandone i picchi. Infatti, un recente studio ha osservato un’apposizione ossea superiore intorno a impianti sabbiati e acidificati, rispetto a quelli sottoposti al solo trattamento di sabbiatura25. Tuttavia è importante sottolineare che entrambi i trattamenti migliorano il mantenimento dell’osteointegrazione, ma non la sua velocità, ma non è possibile stabilire quale dei due trattamenti abbia un effetto maggiore sulla crescita ossea. La crescita degli osteoblasti su queste superfici implantari trattate sia chimicamente che meccanicamente è stata ampiamente documentata18.

Uno studio condotto da Gahlert et al.6 ha confermato che l’aumento della superficie ruvida degli impianti in zirconia sabbiati e mordenzati ha un’importante influenza sull’integrazione ossea e sulla stabilità ossea. Inoltre, si è notato anche la presenza di una maggior forza di torsione durante la rimozione. Le ultime generazioni di impianti hanno visto l’ingresso della tecnologia LASER tra i trattamenti di superficie. I risultati di questi trattamenti non solo determinano una filettatura ruvida, ma permettono anche di raggiungere un grado ottimale di ruvidità a livello microscopico e macroscopico (2-3 µ)26.

Tra i vari tipi di laser utilizzabili per questo trattamento, uno studio condotto da R. A. Delgado-Ruíz et al. ha proposto come valida alternativa l’uso del laser a femtosecondi27Tuttavia, è noto che il trattamento di superficie con laser nella zirconia compromette negativamente la stabilità strutturale e l’integrità della zirconia accelerando la transizione dei materiali da tetragonale a monoclina.

Riabilitazioni full-arch con impianti in zirconia two-piece
(a cura del Prof. Sammy Noumbissi)

Quando l’odontoiatra propone una riabilitazione chirurgica implantare tipo full-arch, non solo ripristina la forma e la funzione, ma migliora anche la qualità di vita del paziente. Le tecniche di riabilitazione implantare full-arch utilizzano un minimo di quattro impianti per arcata per trattare i casi di edentulia totale. Il concetto di trattamento full-arch ha visto come pionieri Malo e colleghi28,29,30.

Per una popolazione che invecchia rapidamente e risulta attenta alla salute, la necessità di soluzioni sostitutive degli elementi dentari mancanti sta crescendo: grazie alla presenza di materiali e metodiche alternative queste soluzioni risultano essere sempre più flessibili e più sicure31,32. Posizionando una protesi implantare fissa si può influenzare positivamente la vita di questi pazienti33 grazie a un restauro che imiti l’aspetto e la funzione dei denti naturali evitando così la morbilità della perdita ossea e della malnutrizione. I pazienti spesso richiedono alternative definitive a lungo termine e/o rimedi alle condizioni date dalla presenza di protesi rimovibili inadatte. Questi pazienti avvertono disagio, ridotta capacità masticatoria34, soffrono di problemi digestivi, soffrono di malnutrizione e scarsa autostima come risultato della loro condizione. Dopo decenni di successo35,36,37,38,39 con gli impianti in titanio (dalle riabilitazioni implantari singole alle riabilitazioni full-arch) è risultato evidente da un punto di vista scientifico che tali impianti sono soggetti a corrosione: ciò si traduce nella liberazione di ioni metallici nei tessuti perimplantari. Questo fenomeno al momento risulta essere visto come un contributo significativo alla comparsa di peri- implantite40,41. Vi sono anche diverse segnalazioni di sensibilità al titanio e al meccanismo del suo verificarsi42.

In questa monografia verranno descritti due casi clinici che dimostrano la possibilità e la fattibilità di riabilitazioni implantari full-arch tramite impianti two-piece in zirconia.
I casi in questione sono stati eseguiti tramite metodica tradizionale e gli impianti non sono stati caricati nell’immediato.

I pazienti durante questa fase hanno portato una protesi rimovibile immediata con ribasatura diretta morbida (periodicamente ribasata). Durante la fase protesica definitiva, le protesi rimovibili sono state duplicate o sono stati creati nuovi set di denti e sono state effettuate delle prove per migliorare l’estetica, l’occlusione e l’adattamento. Le strutture in ossido di zirconio e le protesi definitive sono state progettate e fresate sulla base della prova in cera. Il caso clinico 1 presenta un follow-up di tre anni, mentre il secondo caso di 18 mesi.

Caso clinico 1: Riabilitazione full-arch cementata con impianti in zirconia two-piece su entrambe le arcate

La paziente, donna di 82 anni si presentava alla valutazione clinica con l’arcata mascellare parzialmente edentula e l’arcata mandibolare completamente edentula. La paziente affermava di aver provato a indossare nel corso degli anni protesi parziali e totali rimovibili. Inoltre, informava che alcuni anni prima aveva presentato degli episodi di scarsa risposta agli impianti in seguito a interventi per la sostituzione dell’anca e del ginocchio. La sua preferenza era quella di avere una riabilitazione con impianti ceramici e una protesi ibrida senza metallo. I restanti denti mascellari risultavano non preservabili (Figura 10) e la cresta mandibolare presentava un moderato riassorbimento osseo.

Una scansione CT a fascio conico è stata richiesta e valutata per giudicare i livelli ossei e l’anatomia, nonché strutture anatomiche critiche come seni mascellari, canale mandibolare e nervo (Figura 11). Sono state presentate diverse opzioni terapeutiche alla paziente, la quale tuttavia, ha deciso di optare per la riabilitazione implantare full-arch su entrambe le arcate con impianti in zirconia two-piece.

Le protesi immediate sono state fabbricate e duplicate per fare una guida chirurgica. Il piano di trattamento è stato diviso in due fasi, composto inizialmente dalle seguenti procedure: le estrazioni dei denti mascellari rimanenti, il posizionamento immediato degli impianti in entrambe le arcate e la consegna di due protesi rimovibili immediate. La pianificazione chirurgica è stata eseguita su un computer utilizzando il software nativo dello scanner Prexion 3D CBCT. Dopo aver firmato il consenso informato, si è proceduto con la fase chirurgica. Eseguita l’anestesia nel mascellare (infiltrazione con blocco dei nervi alveolari posteriori bilaterali) e nella mandibola (anestesia plessica), sono stati allestiti i lembi con incisioni trasversali e intrasulculari e con rilascio della linea mediana nelle due arcate. L’osso alveolare è stato esposto e le avulsioni degli elementi rimasti sono state eseguite sequenzialmente da sinistra a destra nella mascella, mentre nella mandibola è stata eseguita una moderata osteoplastica.

Sono stati posizionati cinque impianti ceramici in arcata mascellare secondo il protocollo chirurgico del produttore e sotto abbondante irrigazione (Figura 12). Il valore di torque per tutti gli impianti era compreso tra 20 e 25 N/cm. Gli impianti posizionati avevano tutti raggiunto una buona stabilità primaria. Lo stesso protocollo è stato seguito per il posizionamento di quattro impianti mandibolari con valori di torque simili e di stabilità primaria.

La paziente è stata poi rivista dopo due settimane per la rimozione dei punti di sutura e periodicamente per sedici settimane. Cinque mesi dopo il posizionamento degli impianti, si procedeva con la seconda fase terapeutica in cui gli impianti venivano scoperti con un laser a diodi. La stabilità dell’impianto è stata valutata soggettivamente poiché, fino a oggi, non esiste un dispositivo progettato per misurare la stabilità degli impianti ceramici two-piece con abutment cementabili. Dopo un’accurata pulizia e decontaminazione del moncone e dello spazio di connessione dell’impianto, gli abutment sono stati cementati agli impianti con una resina modificata con cemento vetroionomero (cemento Fuji GC, GC Corporation Tokyo, Japan (Figura 13).

La fase di impronta è stata eseguita utilizzando come materiale di impronta un polivinilossano heavy e light body su portaimpronte chiuso, successivamente il laboratorio ha scansionato l’impronta per convertirla in digitale. La protesi provvisoria è stata progettata e fresata in materiale PMMA. Una volta posizionate le protesi in PMMA su entrambe le arcate sono stati eseguiti i ritocchi occlusali (Figura 14). La paziente ha indossato le protesi provvisorie per quattro mesi durante i quali sono stati effettuati aggiustamenti estetici e occlusali. Una volta stabilito che la paziente non presentasse fastidi si è provveduto alla scansione e creazione di un duplicato con struttura in zirconia (fresatura CAD / CAM).

È stata eseguita una prova della struttura per verificare l’adattamento passivo agli impianti su entrambe le arcate. Le strutture sono state restituite al laboratorio per la sovrapposizione della ceramica pressata sulla sezione anteriore di entrambe le protesi e per ottenere un risultato estetico migliore, le aree dei denti anteriori da canino a canino sono state ridotte per permettere applicazione di elementi in disilicato di litio. Le aree posteriori della protesi sono state realizzate interamente in zirconia. Dopo gli aggiustamenti occlusali, le protesi fisse in zirconia sono state cementate alle connessioni impianto-moncone seguendo il protocollo precedentemente descritto (Figura 15). Il caso presentato risulta essere in follow-up da tre anni e attualmente non sono state registrate complicanze.

Caso clinico 2: Riabilitazione ibrida full-arch avvitata con impianti ceramici two-piece

Un paziente maschio di 59 anni si è presentato all’esame clinico con un’edentulia parziale caratterizzata da una severa diminuzione della dimensione verticale. La maggior parte degli elementi dentali rimasti presentavano problemi parodontali con mobilità di II°, recessioni gengivali e perdita ossea avanzata (Figura 16). Il paziente presentava solo tre elementi dentari in mandibola (Figura 17) con nessun elemento nel 3° quadrante e una severa atrofia ossea verticale. Tramite un’indagine radiologica 3D CBCT sono stati valutati i livelli ossei e le strutture anatomiche nell’area di interesse per il posizionamento implantare. Il paziente auspicava a una soluzione fissa senza metallo per riabilitare le sue arcate dentarie in quanto aveva difficoltà con le protesi parziali rimovibili e presentava un accentuato riflesso del vomito. Tra le varie alternative terapeutiche proposte al paziente è stata presentata anche una overdenture su quattro impianti in zirconia. Il paziente ha optato per eseguire una riabilitazione implantare full-arch avvitata su impianti in zirconia di entrambe le arcate.

Anche in questo caso il piano terapeutico è stato suddiviso in due fasi. La prima fase era composta da bonifica totale con posizionamento immediato degli impianti in entrambe le arcate e con conseguente consegna diretta di entrambe le protesi rimovibili immediate con ribasatura morbida. Dopo aver firmato il consenso informato, si è proceduto con la fase chirurgica ed è quindi stata eseguita l’anestesia nel mascellare (infiltrazione con blocco dei nervi alveolari posteriori bilaterali) e nella mandibola (anestesia plessica). Le avulsioni chirurgiche sono state eseguite atraumaticamente usando periotomi e avendo cura di preservare la corticale vestibolare di entrambe le arcate dentarie.

Sono stati posizionati cinque impianti ceramici rispettivamente nella mascella e nella mandibola (Figura 18) secondo il protocollo chirurgico del produttore. Il valore di torque è stato di 25 N/cm e tutti gli impianti mostravano una buona stabilità primaria iniziale. Tuttavia, uno degli impianti mandibolari non è riuscito a osteointegrarsi ed è stato rimosso due mesi dopo il posizionamento. Il paziente ha scelto di non sostituirlo con un altro impianto. Quattro mesi dopo l’intervento chirurgico, gli impianti sono stati scoperti e il tessuto molle presente sopra le viti di copertura degli impianti è stato rimosso con un laser a diodi dove necessario. Gli smartpeg appositamente progettati per gli impianti sono stati avvitati sugli impianti e le misurazioni della stabilità sono state effettuate utilizzando la tecnologia di analisi della frequenza di risonanza (Figura  19). Questa modalità è stata ben dimostrata e documentata per valutare la stabilità dell’impianto e la loro prontezza alla finalizzazione protesica. Dopo quattro mesi dalla guarigione tramite il dispositivo Osstell si è misurato il livello di stabilità degli impianti. (Osstell™, Integration Diagnostics, Gothenburg, Sweden)

Tutti gli impianti hanno restituito valori di Quoziente di Stabilità Implantare (ISQ) superiori a 74. Dato che l’intervallo di valori accettabili per il carico sicuro di impianti dentali43 è compreso tra 55 e 85, è stato determinato che gli impianti erano pronti per la protesizzazione. La fase di impronta è stata condotta utilizzando come materiale di impronta un polivinilossano heavy e light body su portaimpronte chiuso, successivamente il laboratorio ha iniziato le fasi di realizzazione della protesi ibrida. Sono state eseguite diverse prove in cera al fine di valutare la corretta dimensione verticale, la funzionalità estetica e masticatoria (Figura 20). Una volta ottenuto il modello in cera, sono state scattate alcune fotografie cliniche ed è stata eseguita la registrazione del morso. La struttura della protesi in zirconia è stata fabbricata con tecnologia CAD/CAM tramite la scansione del modello in cera. È stata eseguita una prova della struttura per verificare e confermare l’adattamento passivo agli impianti su entrambe le arcate. Le strutture sono state restituite al laboratorio per la sovrapposizione della ceramica. La protesi fissa avvitata in ceramica fusa con la sottostruttura in zirconia è stata fissata agli impianti. Le viti di serraggio sono state inizialmente serrate a 15 Ncm, dopo che l’occlusione è stata controllata e regolata dove necessario sono state tutte serrate fino a un torque finale di 25 Ncm. Il paziente è stato seguito periodicamente e risulta essere in follow-up da 18 mesi senza complicanze (Figg. 21, 22).

Conclusione

L’evoluzione dell’implantologia ceramica ha determinato l’introduzione degli impianti bi-componente, in risposta alla crescente domanda di riabilitazioni metal-free e alla richiesta di una alternativa che ne permettesse l’uso nei casi in cui non fossero indicate le forme monofasiche in zirconia. Per esempio, gli impianti two-piece trovano indicazione nei casi di disparallelismo, scarsa qualità ossea (osso D3/D4), edentulia intercalata, riabilitazione dei settori posteriori, terapia rigenerativa, difficoltà operative nell’inserimento dell’impianto e nelle riabilitazioni full-arch dei soggetti edentuli. Con l’invecchiamento della popolazione, la maggiore affidabilità degli impianti dentali, il comfort e la praticità delle riabilitazioni orali con protesi fisse, si è registrato un aumento delle richieste da parte dei pazienti per riabilitazioni
full-arch e riabilitazioni full-mouth con impianti dentali.
Di conseguenza, le situazioni cliniche in cui i pazienti desiderano la sostituzione dei denti con materiali metal-free diventano sempre più comprensibili e complesse. Ora, con pazienti sempre più esperti e attenti alla salute, è aumentata la richiesta di alternative metal-free per la sostituzione dei denti. Gli impianti ceramici hanno dimostrato di essere stabili nell’ambiente orale e altamente biocompatibili, oltre a essere performanti come la loro controparte in titanio. I due casi presentati in questo articolo mostrano che gli impianti ceramici bi-componente possono essere utilizzati in riabilitazioni complete full-arch e full-mouth. Concludendo, risulta fondamentale ricordarsi che la selezione dei casi e la pianificazione rigorosa del trattamento risultano essere cruciali per il successo di tali riabilitazioni.

Corrispondenza
virna.vavassori@hotmail.it

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L’evoluzione dell’implantologia ceramica – Indicazioni all’utilizzo degli impianti ceramici bi-componente - Ultima modifica: 2019-12-11T12:07:34+00:00 da Dino Re
L’evoluzione dell’implantologia ceramica – Indicazioni all’utilizzo degli impianti ceramici bi-componente - Ultima modifica: 2019-12-11T12:07:34+00:00 da Dino Re