Risolvere sempre la fase acuta, anche quando si opta per l’estrazione
Il secondo parere sul caso clinico presentato da Francesca Cerutti è quello di Fabio Gorni.
«Il primo trattamento di un terzo molare che sia interessato da pulpite», spiega Gorni, «è senza dubbio di tipo endodontico: rimuovere la polpa permette di gestire in urgenza il problema del paziente, eliminando la causa del dolore. Anche se il dente sarà poi estratto, il mio consiglio è di eseguire la procedura chirurgica quando si sia risolta la fase acuta: questo permetterà al clinico di lavorare più tranquillamente e garantirà al paziente un post operatorio migliore (come dimostrato dalla letteratura: Zhang W, Dai YB, Wan PC et al. Relationship between post-extraction pain and acute pulpitis: a randomised trial using third molars. Int Dent J. 2016 Dec; 66(6):325-329). Laddove sia possibile isolare correttamente il campo operatorio e ricostruire l’elemento dentale non vedo la motivazione a eseguire un’avulsione, anche se si tratta di un terzo molare. Se, invece, il dente fosse posizionato in modo da renderne francamente impossibile l’isolamento con diga di gomma o fosse talmente cariato da rendere la ricostruzione impossibile o eccessivamente indaginosa, propenderei per l’avulsione». Nella pratica clinica bisogna però considerare anche altri fattori, fa notare Gorni, quali le preferenze del paziente e le sue possibilità economiche.
«Un recente studio pubblicato in letteratura (Re D, Ceci C, Cerutti F et al. Natural tooth preservation versus extraction and implant placement: patient preferences and analysis of the willingness to pay. British Dental Journal 2017; 222 (6): 1-5), spiega Gorni, «fornisce un quadro da considerare attentamente: quando è correttamente informato su pro e contro riguardanti la prognosi di un dente molto compromesso, il paziente tende a preferire il trattamento endo-conservativo rispetto a quello chirurgico ed è disposto a pagare di più per ricevere la terapia da lui preferita. I dati a nostra disposizione mostrano, invece, una tendenza da parte dei clinici a estrarre i terzi molari, anziché sottoporli a terapia endodontica ortograda (Yousuf W, Khan M, Mehdi H. Endodontic procedural errors: frequency, type of error, and the most frequently treated tooth. Int J Dent. 2015;2015:673914).
Per avere a disposizione uno spazio di lavoro costante, laddove il paziente abbia un’apertura limitata o fatichi a mantenerla nel tempo, può essere utile posizionare sotto la diga di gomma un apribocca in plastica: questo avrà la duplice funzione di fornire al paziente un supporto stabile sul quale appoggiare i denti e di mantenere costante l’aperura, senza interferire in alcun modo con la terapia. Per rifinire la cavità d’accesso è consigliabile avvalersi di inserti ultrasonici, poiché questi permettono di lavorare in sicurezza e permettono al clinico una miglior visione del campo operatorio.
Da ultimo, trovo corretta la decisione di avvalersi di strumenti di lunghezza 21 mm: come correttamente espresso dalla dottoressa Cerutti, usare strumenti corti permette un accesso più agevole al sistema dei canali radicolari e riduce il rischio di fratturare gli strumenti perché li si stressa ancor prima di raggiungere l’imbocco del canale».
Una volta eseguita la diagnosi ed effettuata l’anestesia (qualora occorra), è fondamentale isolare il dente con la diga di gomma. Si passa poi all’apertura della cavità d’accesso che viene rifinita con punte attivate da ultrasuoni. Le punte hanno svariate forme e dimensioni: per la prima fase è indicato utilizzare un inserto piuttosto grosso, con la punta smussa: questo permetterà di appoggiare la testa della punta sul pavimento della camera pulpare, rendere lisce e uniformi le pareti della cavità e preparare gli orifizi canalari alla sagomatura. Una sagomatura completamente meccanica permette di gestire la maggioranza dei casi clinici accorciando i tempi operatori e diminuendo il rischio di formare gradini o tappi. Gli strumenti in Ni-Ti, con le loro caratteristiche di flessibilità e memoria di forma, permettono di eseguire in tempi brevi sagomature che rispettino l’anatomia canalare. Molto importante è la detersione: anche in questo caso, inserti ad attivazione ultrasonica sono estremamente utili per aumentare l’efficacia dell’ipoclorito di sodio e assicurare la detersione anche nelle porzioni del sistema canalare che non sono state raggiunte dalla sagomatura (es. canali laterali, delta apicali).
Una volta asciugato il canale si passa all’otturazione: se problemi di spazio impediscono di utilizzare i plugger per la tecnica di compattazione verticale a caldo della guttaperca, è possibile optare per le tecniche veicolate da carrier: in questo modo la guttaperca, già termoplasticizzata, è introdotta in modo semplice e predicibile nel canale. Da ultimo seguirà il restauro coronale, perché non si può ritenere conclusa una terapia endodontica se la cavità d’accesso non è sigillata in modo stabile».