Altre considerazioni in merito al consenso informato, anche alla luce di nuove decisioni assunte recentemente dalla Magistratura, interessata della questione.
Già abbiamo avuto modo di intrattenerci dissertando di consenso informato, spaziando dal Diritto Costituzionale (art. 32: “ … Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. … ”) al Diritto Civile (Art. 1325: “I requisiti del contratto sono: 1) l’accordo delle parti; …”; Art. 1326: “Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte. …”; Art. 1427: “Il contraente, il cui consenso fu dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo, può chiedere l’annullamento del contratto…”; Art. 1429: “L’errore è essenziale: 1) quando cade sulla natura o sull’oggetto del contratto; 2) quando cade sull’identità dell’oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità dello stesso che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso; 3) quando cade sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente, sempre che l’una o le altre siano state determinanti del consenso; 4) quando, trattandosi di errore di diritto, è stato la ragione unica o principale del contratto.”), dal Diritto Penale (Art. 50: “Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne.”) al Diritto Comunitario (Convenzione di Oviedo Art. 5: “… Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. …”) passando per il Codice Deontologico (Art. 35: “Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente. Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione documentata della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di cui all’art. 33. Il procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per l’incolumità della persona, devono essere intrapresi solo in caso di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito una opportuna documentazione del consenso. In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona. Il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del paziente”).
Non c’è ambito e non c’è settore del diritto che non conferisca la dovuta importanza a ciò che effettivamente sia voluto, e prima ancora capito e accettato. Non c’è spazio per incertezze e dubbi, né per successive recriminazioni e accuse là ove si è accettato ciò che è stato preventivamente spiegato.
Altre decisioni si accompagnano ora alle già note sentenze, lasciando penetrare uno spiraglio di luce seppure, per il momento, rafforzando in capo al sanitario la convinzione che, pur non normativamente richiesta se non per alcune precise prestazioni e terapie, la forma scritta sia comunque necessaria e indispensabile per controbattere accuse e dimostrarne la loro infondatezza.
Il Tribunale di Bari
Non sempre il medico deve risarcire i danni provocati da un difetto di informazione. Questa decisione, assunta dal Tribunale di Bari nell’ottobre 2010 e destinata – per la sua portata rivoluzionaria – a essere discussa sino al terzo grado di giudizio, è chiara: non basta limitarsi ad accertare l’esistenza di danni scaturiti dalla mancanza di informazione resa dal medico circa i trattamenti da effettuare ma è necessario verificare se, ove invece il medico avesse ben presentato sotto ogni aspetto la prestazione, il paziente avrebbe senza dubbio alcuno rinunciato alla stessa. Ovvero: il paziente avrebbe rifiutato l’intervento ove ne fosse stato esaustivamente informato?
Non di operazione odontoiatrica si trattava, bensì della “solita” mastoplastica additiva. Potendo però sotto molti aspetti a volte riportare anche l’odontoiatria risvolti prettamente estetici, è opportuno non omettere di segnalare tale decisione, liberatoria o comunque non così assoluta nei confronti del professionista sanitario.
Sostiene il Tribunale adito: “Infatti, è stato affermato che occorre domandarsi, come in ogni valutazione controfattuale ipotetica, se la condotta omessa avrebbe evitato l’evento ove fosse stata tenuta: se, cioè, l’adempimento da parte del medico dei suoi doveri informativi avrebbe prodotto l’effetto della non esecuzione dell’intervento chirurgico dal quale, senza colpa di alcuno, lo stato patologico è poi derivato. E poiché l’intervento chirurgico non sarebbe stato eseguito solo se il paziente lo avesse rifiutato, per ravvisare la sussistenza di nesso causale tra lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente (realizzatosi mediante l’omessa informazione da parte del medico) e lesione della salute per le pure incolpevoli conseguenze negative dell’intervento, deve potersi affermare che il paziente avrebbe rifiutato l’intervento ove fosse stato compiutamente informato, giacché altrimenti la condotta positiva omessa dal medico (informazione, ai fini dell’acquisizione di un consapevole consenso) non avrebbe comunque evitato l’evento (lesione della salute)”.
Il Tribunale di Novara
Altro ancora è il caso giuridico affrontato dal Tribunale di Novara, che vedeva uno studio dentistico contrapposto a una paziente che lamentava di essere stata sottoposta a interventi e cure dell’apparato dentario rivelatesi poi, per imperizia e negligenza del professionista, gravemente dannosi (avulsione di incisivi superiori e inferiori, oltre che di due molari inferiori che potevano invece rimanere in sito). Contestava, inoltre, non aver ricevuto alcuna informazione sul tipo di terapia cui sarebbe stata sottoposta, sulle possibili scelte alternative e sulle eventuali complicanze. A detta della paziente tali carenze e omissioni non potevano che aver reso invalido il consenso prestato all’effettuazione delle cure, comportando inequivocabilmente la responsabilità del professionista.
La decisione assunta dal Tribunale di Novara confermava quanto poc’anzi sostenuto in merito all’opportunità di raccogliere sempre per iscritto il consenso informato. Sosteneva infatti che: “Come chiarito dalla Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. Sez. Un. N. 577/2008 che ha sostanzialmente superato la distinzione tradizionale tra obbligazione di mezzi e di risultato) … il creditore della prestazione sanitaria deve, peraltro, limitarsi a provare il contratto (o contratto sociale), l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione e ad allegare il cd. ‘inadempimento qualificato’ del debitore, con l’indicazione dell’errore del medico o comunque dell’inadempimento della struttura astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, spettando invece al sanitario o alla struttura sanitaria, per il principio cd. di vicinanza o prossimità della prova, dimostrare il diligente adempimento o che pur esistendo inadempimento, esso non sia stato rilevante sotto il profilo eziologico. … Ne consegue che, esclusa dal CTU (che si esprime in termini di ‘incertezza’) peraltro l’assoluta necessità di intervenire con l’estrazione dei denti, lo svolgimento di tale attività terapeutica in assenza della dimostrata prestazione di un valido consenso informato (ovvero preceduto da un’esaustiva e completa informazione) da parte della paziente, giustifichi per i principi dianzi esposti l’affermazione della responsabilità del medico”.
La Corte di Cassazione
A fronte di due autorevoli decisioni assunte da Giudici di primo grado giova in questa sede ricordare una delle ultime sentenze emesse dalla Suprema Corte
sull’argomento. Pur risalente nel tempo (Cass. Pen. Sez. Un. 2437/2009), può a buon diritto essere riconosciuta come una sorta di “spartiacque” tra una corrente giurisprudenziale, più remota, accusatoria e ostile per il sanitario e una visione più obiettiva e giusta che non veda nel medico/odontoiatra il sempiterno colpevole.
Ha ritenuto, infatti, priva di rilevanza penale (escludendo quindi la configurazione di reati tipici quali quelli di lesioni personali e violenza privata) la condotta di un medico che sottoponeva un paziente a un trattamento chirurgico con esito fausto ed eseguito nel pieno rispetto delle legis artis ma diverso da quello per il quale era stato prestato e ottenuto il consenso informato.
Sentenziava infatti “… ove l’intervento chirurgico sia stato eseguito lege artis, e cioè come indicato in sede scientifica per contrastare una patologia ed abbia raggiunto positivamente tale effetto, dall’atto così eseguito non potrà dirsi derivata una malattia, giacché l’atto, pur se ‘anatomicamente’ lesivo, non soltanto non ha provocato – nel quadro generale della salute del paziente – una diminuzione funzionale, ma è valso a risolvere la patologia da cui lo stesso era affetto. Dunque, e per concludere sul punto, non potrà ritenersi integrato il delitto di cui all’art. 582 cod. pen. (lesioni personali, ndr), proprio per difetto del relativo ‘evento’. In tale ipotesi, che è quella che ricorre nella specie, l’eventuale mancato consenso del paziente al diverso tipo di intervento praticato dal chirurgo, rispetto a quello originariamente assentito potrà rilevare su altri piani, ma non su quello penale”.
Qualcosa quindi sta cambiando, con pacata calma e forse senza neppure eccessivi rimorsi verso chi è caduto lungo il tortuoso e inquisitorio percorso che ha portato la Corte (ma non ancora i Tribunali) ad avere occhi più benevoli nei confronti delle professioni sanitarie. Sino ad allora, sarà comunque opportuno (leggi “necessario”, ad eventuali fini processuali) non dimenticare mai di raccogliere per iscritto il consenso informato del paziente.