Nella programmazione di un trattamento ortodontico è fondamentale assicurare un adeguato ancoraggio, termine che identifica la prevenzione di movimenti dentari indesiderati. In alcuni casi risulta necessario l’ottenimento di un ancoraggio osseo, il che prevede l’impiego di dispositivi quali i mini-impianti endossei. Questi device trovano largo impiego nei casi selezionati, in virtù della loro efficacia, versatilità e semplicità d’uso: ciò non li esenta tuttavia dalla possibilità di manifestare alcune complicanze. Il fallimento di un mini-impianto può comportare la necessità di rimuoverlo e rimpiazzarlo, e ripercuotersi sul percorso terapeutico previsto dall’ortodontista. I criteri che definiscono il fallimento corrispondono sostanzialmente alla mobilità e comprendono quindi perdita del mini-impianto, spontaneamente o durante le manovre cliniche. Per quanto riguarda il riposizionamento, questo può essere condotto subito in un’area adiacente o nello stesso sito dopo 4-6 settimane.
Mini impianti: fattori di rischio
Esiste una varietà di fattori di rischio concernenti il posizionamento di mini-impianti: possono essere classificati come (1) legati al paziente (2) al clinico e (3) al mini-impianto stesso.
(1) La mancanza di gengiva aderente è forse il fattore di rischio principale associato al fallimento di mini-impianti ortodontici. L’aspetto qualitativo pare quindi dirimente: gli impianti inseriti a contatto con una mucosa non cheratinizzata mostrano infatti tassi superiori a quelli con mucosa cheratinizzata.
Una delle indicazioni d’uso classiche dei mini-impianti è il soggetto adulto che non riesce a garantire un ancoraggio dentale idoneo. In questo senso, anche i dati sul tasso di fallimento risultano più favorevoli nella fascia adulta.
Un’igiene orale corretta e assidua costituisce una delle basi imprescindibili di un trattamento ortodontico. I controlli di un soggetto portatore di mini-impianti dovrebbero essere programmati nell’ottica di un mantenimento a lungo termine. Il professionista interverrà – ad esempio con somministrazione di collutori a base di clorexidina – in presenza di segni clinici di infiammazione a carico della mucosa perimplantare.
Per quanto riguarda la qualità dell’osso natio, per quanto i dati siano in parte contrastanti, sembra che, contrariamente a quanto avviene nell’implantologia a scopo protesico, il mascellare superiore costituisca un supporto preferibile. Si riscontrano infatti tassi di fallimento più elevati in mandibola. Ricollegandosi a quanto affermato in precedenza, la mandibola presenta spesso una banda sottile di gengiva cheratinizzata rispetto al mascellare. Questo tessuto risulta peraltro spesso non sfruttabile per il posizionamento dei mini-impianti, i quali dovranno quindi essere allocati a contatto con una mucosa più povera. Riconsiderano poi il fattore età, anche il grado di maturazione dell’osso e, in particolare, della corticale gioca un ruolo notevole.