In questo articolo si ripercorre brevemente la storia dei primi materiali da otturazione, amalgama e oro, utilizzati fin dalla metà del XIX secolo, fino ai presenti materiali compositi che integrano funzionalità ed estetica allo stesso tempo. Viene proposto un caso clinico di una giovane paziente che presenta, soprattutto nei quadranti inferiori, numerose otturazioni in amalgama che vorrebbe rifare per motivi estetici. Viene fatta un’attenta analisi del caso, sia tramite esame obiettivo che radiografico, per decidere quale tecnica (diretta o indiretta) sia più appropriata per sostituire i vecchi restauri presenti, tenendo conto di tutta una serie di elementi a favore di una o dell’altra tecnica. Vengono descritte le varie fasi operative del trattamento illustrandone dettagliatamente i minimi particolari, i materiali utilizzati, il perché di queste scelte, il tutto supportato da bibliografia.
Summary
Replacement of amalgam restorations with composite resin in posterior teeth: direct tecnique.
In this article we follow the history of the first obturation materials, amalgam and gold, used since the second half of the 19th century, until the recent discovery of composite resins, which both have esthetic caracteristics and functionality. We will discuss and walk through a clinical case of a young female patient who has especially in the 3d and 4th quadrant of the mouth many amalgam restorations, to be replaced for esthetic reasons with esthetic materials and with a direct tecnique. Through an accurate xray examination and a clinical observation of the teeth we will try to decide what tecnique is best (direct or indirect) to replace the old restorations. We will describe the fases of the treatment showing them in every little particular, discussing the materials, the reason why we are adopting them and the direct tecnique, the whole supported by literature references.
Stefano Tinti
Nel corso della storia i continui progressi e scoperte in campo tecnologico, medico e scientifico hanno da una parte aumentato la qualità e la durata della vita, dall’altra spinto l’uomo a richiedere e ricercare sempre di più, soprattutto per quanto riguarda il mondo dell’estetica. Anche nel campo dentale ci sono state molte evoluzioni nella scoperta di metodiche sempre meno invasive, meno costose, più semplici, più predicibili e di materiali sempre più estetici, resistenti e facili da usare. Il materiale da otturazione scoperto e utilizzato da più tempo è l’amalgama d’argento, a partire dal XIX secolo, composta da un’unione di tre o quattro metalli che vengono amalgamati dal mercurio mediante mescolatura manuale o meccanica. I metalli che fanno parte di questo composto sono: argento (Ag) in una percentuale media del 65-73% in peso; stagno (Sn) al 18-30%; rame (Cu) al 3-45% e zinco dallo 0 al 2%.Le problematiche con questo tipo di materiale riguardano la sua possibile tossicità dovuta al mercurio per fenomeni di accumulo, problemi estetici, cavità ritentive e non adesive e che quindi sacrificano una maggior porzione dentale. A partire dal 1895 fu Black a portare completamente l’amalgama nel mondo dentale, assieme a concetti legati alla forma della cavità e del concetto “extension for prevention”1-4. Con il crescere delle conoscenze e delle capacità si è via via cercato di trovare materiali maggiormente biocompatibili, più estetici, facili da utilizzare e che non richiedessero una preparazione cavitaria troppo demolitiva. Nel 1955 Buonocore5 riporta un metodo per aumentare la ritenzione dei materiali acrilici allo smalto del dente: è il punto di partenza per arrivare alla moderna adesione. A partire dagli anni Sessanta si è assistito a un’evoluzione dei materiali compositi, che al’epoca erano macroriempiti e poco lucidabili, poi microriempiti che presentavano buona lucidabilità ma poca durata nel tempo. Si è poi passati ai compositi ibridi, con particelle riempitive di varie dimensioni, fino ai moderni nanoibridi. Questi ultimi presentano un indice di contrazione di circa l’1,5%, mentre i precedenti avevano un indice decisamente maggiore che poteva condizionare la scelta del clinico circa una metodica restaurativa diretta piuttosto che indiretta. Altro fattore che gioca un ruolo importante nella buona riuscita di un restauro adesivo è la tecnica di stratificazione del materiale composito. Lo stress che si sviluppa durante la polimerizzazione potrebbe portare a fallimento e fratture dello strato adesivo o fratture a livello cuspidale qualora queste non fossero ben sostenute già a cavità pulita6. La tecnica ideale di stratificazione è quella che permette al composito di toccare il minor numero di pareti e quindi di avere la maggiore superficie libera possibile (C-factor basso) così da creare il minor stress alle pareti dentali.
Case report
Paziente di sesso femminile di anni 27 presentatasi alla nostra attenzione avanzando principalmente la richiesta di sostituire le vecchie otturazioni in amalgama solo nell’arcata inferiore, per motivi di tipo estetico con materiali compositi. Vengono prese e organizzate le fotografie iniziali del caso da trattare, di cui si ha una visione frontale nella Figura 1, laterale di destra nella Figura 2, di sinistra in Figura 3, occlusale superiore e inferiore nelle Figure 4 e 5. Vengono eseguite delle radiografie bite wing per valutare la presenza o meno di carie secondarie a livello interprossimale (Figure 6a-6b), tramite cui è possibile anche valutare l’estensione in senso corono-apicale delle amalgame allo scopo di valutarne il rapporto con l’endodonto. L’importanza di questo tipo di radiografia è ampiamente riportata in letteratura ed è ritenuta lo strumento migliore per valutare le zone interprossimali7. Nei settori inferiori gli elementi su cui bisogna intervenire sono il 3.7, 3.6, 3.5, 3.4 nel terzo quadrante, mentre nel quarto quadrante sono il 4.5, 4.6, 4.7. Nel caso clinico riportato, il quesito a cui il clinico doveva far fronte era se fosse più opportuno intervenire con una tecnica diretta piuttosto che indiretta. Il primo elemento per poter valutare la tecnica migliore e più adatta alla situazione è l’estensione della cavità che qualora dovesse interessare in maniera troppo importante una o più cuspidi del dente dovrebbe far propendere il clinico verso una tecnica indiretta. L’evidenza scientifica ci insegna che lo spessore minimo delle pareti residue sotto le cuspidi deve essere di almeno 1,5-2 mm per potere garantire una resistenza sufficiente alla varie forze che agiscono sull’elemento dentale per evitarne la frattura. Questo spessore permette anche di resistere alle forze di contrazione del composito durante la polimerizzazione. Il secondo elemento da valutare è la considerazione se il dente sia vivo o devitalizzato: un dente non più vitale ha elasticità e resistenza significativamente minori e necessita di maggiori attenzioni. Terzo elemento da valutare è la presenza o l’assenza delle creste marginali: la mancanza rende molto più flessibili le pareti dei denti premolari e molari, il che potrebbe compromettere la durata nel tempo dei restauri rischiando fratture8,9.
Quarto quadrante
Nelle Figure 7 e 8 abbiamo la visione iniziale della zona da trattare prima dell’isolamento del campo e con diga di gomma posizionata. L’utilizzo di quest’ultima risulta essere fondamentale e discriminante circa il risultato e la qualità dei nostri restauri adesivi: permette infatti una visione del campo molto migliore, di lavorare all’asciutto, di esporre i margini dentali delle cavità in maniera più accentuata e calcolando che il materiale da rimuovere è amalgama la diga garantisce maggiore protezione per il paziente.