Riassunto
L’obiettivo che si pone questo articolo è duplice: a) di revisionare criticamente la letteratura al fine di esaminare gli aspetti epidemiologici, eziologici e clinici di esostosi e tori maxillo-mandibolari e b) di considerare l’uso dei tori come fonte di innesto di osso autologo per il trattamento di difetti ossei a scopo implantologico. Tra le varie pubblicazioni e con criteri stabiliti “a priori”, sono stati selezionati solo articoli in lingua inglese. I risultati mostrano una prevalenza che varia dallo 0,9% al 69,7% per i tori palatini (TP) e tra lo 0,54% e il 64,4% per i tori mandibolari (TM). L’eziologia non è ancora chiara: gli Autori hanno individuato cause diverse concorrendo, negli ultimi anni, a interpretare i tori e le esostosi come varianti anatomiche a eziologia multifattoriale (fattori genetici e ambientali). La presenza di tori può causare traumatismo cronico, problemi funzionali e impossibilità a consegnare una protesi removibile adeguata: in questi casi può rendersi necessaria la loro rimozione. Inoltre, l’uso di particolato osseo autologo ottenuto da un toro può essere usato come materiale da innesto per ripristinare creste alveolari atrofiche a scopo implantologico.
Parole chiave: toro palatino/mandibolare, epidemiologia, innesto autologo, esostosi orali, siti ossei donatori intra-orali, impianti ostoeintegrati, rigenerazione ossea guidata.
Il termine esostosi orale è usato per descrivere una varietà di protuberanze ossee situate in diverse aree del cavo orale. Con l’accezione torus (tori al plurale) si intende un’esostosi localizzata in un sito caratteristico a livello della sutura sagittale mediana palatina (torus palatinus, TP) o della superficie linguale della mandibola, al di sopra della linea miloioidea (torus mandibularis, TM). Tra le esostosi, è incluso anche il cosidetto “bone lipping”, ispessimento dell’osso alveolare solo a livello del margine crestale. Infine, è possibile trovare il termine tubercoli seguiti dall’aggettivo che ne identifica la localizzazione (buccali o vestibolari, palatali) per descrivere piccole esostosi in zone meno comuni del cavo orale. Le esostosi sono caratterizzate da una densa corticale ossea e da una minore quantità di spongiosa e sono solitamente rivestite da uno strato di mucosa sottile e poco vascolarizzata. Presentano una lenta e progressiva crescita che può interrompersi spontaneamente1-4 ma non sono da correlare a lesioni neoplastiche, neppure benigne, quali gli osteomi. L’obiettivo di questo articolo è duplice: a) di revisionare criticamente la letteratura al fine di esaminare gli aspetti epidemiologici, eziologici e clinici di esostosi e tori maxillo-mandibolari e b) di considerare l’uso dei tori come fonte di innesto di osso autologo per il trattamento di difetti ossei a scopo implantologico.
Materiali e metodi
Si è scelto di prendere in considerazione esclusivamente articoli in lingua inglese in versione integrale che includessero solo studi su umani e pubblicati a partire dal 1992. Sono state incluse tutte le tipologie di studi, dai case report ai trial clinici randomizzati. Su database medico-scientifici online (Pubmed-Embase), sono state inserite le seguenti parole chiave: mandibular and maxillary exostoses, mandibular and palatal exostoses, torus/tori mandibularis, torus/tori palatinus, autogenous allograft, alveolar ridge augmentation, prevalence, graft. Gli articoli selezionati sono stati pubblicati sulle seguenti riviste: International Dental Journal; The International Journal of Periodontics & Restorative Dentistry; British Dental Journal; Medicina Oral Patologia Oral y Cirugia Bucal; Journal of Oral and Maxillofacial Surgery; Gerodontology; Collegium Antropologicum; Surgical and Radiologic Anatomy; Dentomaxillofacial Radiology; Oral Surgery, Oral Medicine, Oral Patholology, Oral Radiology and Endodontology; European Journal of Oral Science; Journal of Oral Rehabilitation; Journal of Periodontology. Partendo da questa prima selezione bibliografica si è risaliti manualmente o tramite ricerca elettronica anche ad altre pubblicazioni citate nelle voci bibliografiche dei singoli articoli. Con le parole chiave citate in precedenza, i database hanno ricavato 138 articoli; tra questi, dopo la lettura dei titoli e degli abstract, ne sono stati scelti 27. A causa dell’estrema eterogeneità dei dati raccolti, non è stato possibile eseguire alcuna meta-analisi.
Risultati
Ricerca bibliografica
Gli studi selezionati hanno riportato dati relativi a un campione globale di 21741 pazienti. La prevalenza dei tori/esostosi mandibolari (TM) varia tra lo 0,54 e il 64,4%, mentre quella dei tori/esostosi palatini (TP) è compresa tra lo 0,9 e il 69,7%. Non di raro riscontro è l’associazione tra TP e TM nello stesso paziente1,4-8. TP è associato più frequentemente al sesso femminile1,4,5,7-16 e, secondo Garcia2, questo potrebbe essere spiegato in termini genetici tramite la trasmissione dello stesso come carattere autosomico dominante x-linked. TM è lievemente più frequente negli uomini1,4,5,7,8,12,16-18. La maggior parte dei TM e dei TP è riscontrabile tra la terza e la quinta decade di vita, età nella quale si ha anche il maggior picco di crescita1,2,4,5,15,19. La sede prevalente dei TP è nella zona del 2°-3° posteriore del palato5,10,13,14. I TM, invece, si localizzano in regione premolare5,10,20. In generale, sia i TP sia i TM presentano una morfologia molto variabile (i TP sono soprattutto piatti4,10,13 o lisci11,15; i TM, invece, sono generalmente nodulari4,10,18 e, nella quasi totalità, si situano bilateralmente1,4,5,8,10,11,13,16,18,19 e presentano un diametro massimo di 2 cm anche se sono stati riportati numerosi casi di tori di estensione maggiore. L’eziologia dei tori e delle esostosi non è ancora stata chiarita: sebbene alcuni Autori abbiano correlato l’insorgenza dei tori a cause genetiche6,15 e altri a quella ambientale8,20, l’ipotesi più accreditata è quella multifattoriale. La dieta (ricca di pesce d’acqua salata con molti acidi grassi polinsaturi e vitamina D)13,18, la presenza di elementi dentari in associazione ai carichi funzionali masticatori7,8,12,20-23, il clima, un particolare corredo cromosomico (tratto monoallelico dominante con parziale o completa penetranza)8,11,15,18 e fattori ambientali sembrerebbero incrementare la prevalenza7,11-13,15,18,20,21.
Le forze funzionali presenti nei pazienti dentati influenzano significativamente l’incidenza dei tori, motivo per cui nei pazienti edentuli si ha un decremento di TM e TP. Tori ed esostosi sono sovente del tutto asintomatici e non interferiscono con le funzioni del cavo orale. In questi casi, salvo una specifica richiesta da parte del paziente per svariati motivi, non c’è alcuna indicazione alla loro rimozione. In altre situazioni, invece, tori ed esostosi possono essere fonte di problemi quali: a) decubiti sulla gengiva/mucosa alveolare soprastante2 (a causa della sua frequente sottigliezza); b) interferenze con la creazione di manufatti protesici mobili2-4,8,11, talvolta irrealizzabili o che possono creare decubiti e/o esposizioni vere e proprie della neoformazione sottostante; c) ritenzione di cibo (in particolare nei TP e TM plurilobati e/o con spiccati sottosquadri)2; d) interferenze con fonazione, masticazione e deglutizione (in particolare per i tori molto sviluppati)2,5,8; e) inestetismi in caso di pazienti con sorriso gengivale qualora le esostosi si sviluppino sul versante vestibolare del mascellare superiore, in particolare;
f) forte cancerofobia2. Infine, esostosi e tori possono essere usati in altri siti del cavo orale come materiale da innesto in chirurgia implantare nei casi in cui si renda necessario un incremento del volume osseo a causa di difetti conseguenti, ad esempio, ad atrofia, malattia parodontale o esiti di traumi2,11,24-27.
L’osso autologo, infatti, rimane ad oggi il miglior materiale da innesto per la rigenerazione/ricostruzione di creste alveolari edentule con deficit di volume a scopo implantare, per le sue capacità osteogeniche, osteoinduttive e osteoconduttive e l’assenza di immunogenicità24-26. In presenza di esostosi/tori in pazienti che presentano contestualmente aree edentule associate a deficit di vario tipo, si può creare una situazione assai favorevole in quanto l’eliminazione dell’esostosi da un lato evita i problemi connessi alla sua presenza mentre, dall’altro, offre del tessuto osseo autologo di ottima qualità per la tecnica rigenerativa/ricostruttiva3,24-27.
Tecniche chirurgiche
Le tecniche di base e lo strumentario chirurgico necessario sono simili per tutti i tori e le esostosi; sono presenti, tuttavia, differenze relative alle incisioni e ai lembi di accesso a queste lesioni in base alla loro sede. Verranno descritte, pertanto, le parti “comuni” dedicando invece la seconda parte alla “specificità” di ogni singola localizzazione. Per quanto riguarda i lembi di accesso, lo scopo primario è quello di avere una buona visibilità della lesione da rimuovere. Poiché, a eccezione dei TP, le esostosi e i TM si sviluppano quasi sempre in vicinanza del colletto degli elementi dentari, l’incisione migliore è quella marginale (intrasulculare) e deve essere estesa oltre lo spazio occupato dall’esostosi per permettere l’esposizione dell’area da trattare senza creare tensioni al lembo. La scelta potrà variare tra un lembo senza incisioni di rilascio (che permette il massimo dell’apporto vascolare) oppure un lembo con una o due incisioni di rilascio (tenendo tuttavia conto dei principi di vascolarizzazione e delle strutture vascolo-nervose che passano nella zona dell’intervento). L’allestimento di un lembo a tutto spessore ha un duplice scopo: da una parte raggiungere il piano osseo, dall’altro proteggere le strutture nobili eventualmente passanti vicino alla lesione stessa; l’uso di divaricatori è fondamentale per allontanare i lembi, proteggerli e migliorare la zona dell’accesso chirurgico.
A causa della mucosa molto sottile e poco vascolarizzata e dell’irregolarità della superficie dei tori, lo scollamento può risultare parecchio indaginoso e andrà eseguito con particolare attenzione con l’uso di scollatori sottili e curvi e pinzette chirurgiche. Dopo lo scollamento, la divaricazione e la protezione dei lembi e dei tessuti molli con appositi strumenti (divaricatori o spatole malleabili), si passa alla fase chirurgica di rimozione della neoformazione. Tramite l’utilizzo di una fresa da fessura montata su manipolo diritto oppure di strumenti piezoelettrici si disegna il tracciato osteotomico sotto abbondante irrigazione di fisiologica sterile fredda. Si procede, quindi, alla rimozione della neoformazione mediante scalpelli sottili. In alternativa, i tori e le esostosi possono essere rimossi per usura mediante frese montate su manipoli diritti a bassa velocità. Eventuali margini taglienti e irregolari vengono livellati usando frese a pera o a palla montate su manipolo diritto sotto costante irrigazione oppure lime a mano. Si procede, infine, alla sutura che deve sempre essere eseguita accollando i lembi su un piano osseo sano. Alla fine dell’intervento di rimozione la mucosa è quasi sempre in eccesso: si rende pertanto necessaria la sua eliminazione al fine di ottenere un’adeguata sutura. La compressione mediante garza bagnata con soluzione fisiologica nei minuti immediatamente successivi all’intervento è raccomandata per ridurre la formazione di ematomi. Il ghiaccio, infatti, tipico “alleato” del chirurgo orale per ridurre il sanguinamento e gli edemi post-operatori è difficilmente utilizzabile sul versante linguale della mandibola e sul palato.
Tecniche di rimozione di esostosi vestibolari dell’arcata inferiore
La maggior parte delle esostosi è situata in zona premolare, generalmente in corrispondenza della cresta alveolare nella sua porzione più coronale. Un lembo marginale con eventuali scarichi distali e mesiali consente un ottimo controllo del campo operatorio. Il fascio neurovascolare mentoniero, tranne nei casi di grave atrofia (dove peraltro è molto raro riscontrare tori), si trova generalmente in posizione decisamente più apicale e ben difficilmente interferisce con l’intervento. Tutte le fasi successive sono già state descritte nel paragrafo precedente.
Tecniche di rimozione di tori mandibolari dell’arcata inferiore
I lembi eseguiti per la rimozione di TM (molto frequenti bilateralmente nella zona premolare) vengono generalmente eseguiti senza incisioni di rilascio per evitare lesioni di rametti terminali delle arterie sottolinguale e miloioidea e del nervo linguale e perché, trattandosi di una superficie concava, dopo lo scollamento si ottiene molto più facilmente un campo ampio rispetto alle lesioni che si sviluppano sul versante vestibolare (convesso). Lo scollamento dovrà sempre essere eseguito oltre il margine inferiore della lesione al fine di proteggere il pavimento orale, incluse le inserzioni dei muscoli miloioidei e/o genioglossi durante le fasi di rimozione della lesione. La protezione dei tessuti molli del pavimento orale e della lingua è fondamentale: il controllo di un sanguinamento derivante dalla lesione di vasi arteriosi in tale zona può, infatti, risultare complesso, soprattutto in mani di chirurghi poco esperti. Inoltre, in caso di utilizzo di strumenti rotanti, l’assenza di un’adeguata protezione dei tessuti molli può provocare lacerazioni anche pericolose di questi ultimi. Durante questi interventi, svolti quasi sempre in anestesia locale, il paziente continua infatti a muovere la lingua e deglutire con il rischio di portare i tessuti molli a contatto con gli strumenti rotanti (Figure 1A-1H).
Tecniche di rimozione di esostosi vestibolari dell’arcata superiore
L’allestimento del lembo segue i principi descritti nella parte generale e in quella dedicata alle esostosi mandibolari vestibolari; anche in questo caso, trattandosi di una superficie convessa, possono rendersi necessarie una o due incisioni di rilascio per semplificare lo scollamento e migliorare il controllo del campo operatorio.
Tecniche di rimozione dei tori palatini
Il toro palatino richiede una tecnica chirurgica specifica. L’incisione viene eseguita lungo la linea sagittale mediana estesa circa 1 cm oltre la lesione sia anteriormente che posteriormente. Alle due estremità dell’incisione vengono eseguite delle incisioni di scarico definite “a coda di rondine” con un’angolazione di circa 120° rispetto a quella eseguita sulla linea mediana: questo disegno del lembo garantisce una minima tensione e un campo abbastanza esangue poiché eseguito in un’area scarsamente vascolarizzata. Incisioni marginali intrasulculari sono da proscrivere a causa dei possibili danni al fascio neurovascolare palatino maggiore. Per quanto riguarda la rimozione dei TP, bisogna ricordare che il disegno di tracciati osteotomici con manipoli diritti e frese da fessura può risultare difficoltoso a causa della morfologia della volta palatina. Pertanto, l’utilizzo di strumenti rotanti con frese a pera o a palla e la rimozione per usura o l’uso di strumenti piezoelettrici trova in questa sede un’indicazione elettiva. L’unico limite delle tecniche per usura è che non è possibile eseguire l’esame istologico del pezzo operatorio (peraltro non obbligatorio data la diagnosi clinica praticamente certa) (Figure 2A-2E).
Utilizzo di esostosi e tori per la ricostruzione di difetti ossei a scopo implantare
L’uso degli impianti osteointegrati, quale supporto nella riabilitazione protesica dei pazienti parzialmente o totalmente edentuli, ha avuto negli ultimi decenni un’enorme espansione e i risultati ricavabili dalla letteratura hanno dimostrato percentuali di successo a lungo termine molto elevate e una notevole soddisfazione da parte dei pazienti. Bisogna tenere presente tuttavia che, sovente, a causa della perdita precoce degli elementi dentari per malattia parodontale, per traumi o in caso di agenesie congenite, il volume osseo della cresta residua è spesso insufficiente per l’inserimento di impianti di adeguate dimensioni e in posizione corretta dal punto di vista protesico. In questi casi si rendono spesso necessarie tecniche rigenerative/ricostruttive per ottenere un’adeguata quantità di osso per l’inserimento implantare3,23-25,27,28. Tra le tecniche descritte in letteratura, usate in base alle diverse necessità e situazioni cliniche (rigenerazione ossea guidata-GBR, innesti ossei autologhi/non autologhi, distrazione osteogenica eccetera), la GBR con l’uso di osso autologo e/o biomateriali in associazione all’utilizzo di barriere semi-permeabili riassorbibili e non riassorbibili sembra dare risultati efficaci ed efficienti28, in particolare in caso di difetti quali le deiscenze e le fenestrazioni peri-implantari, o in caso di difetti ossei orizzontali, verticali o combinati di dimensioni limitate (classi IV, V di Cawood e Howell). Anche se la rigenerazione ossea può essere eseguita con diversi materiali da innesto (osso autologo, innesti ossei allogenici, idrossiapatiti di sintesi, sostituti ossei di derivazione bovina, tricalciofosfato), l’osso autologo rimane, ad oggi, quello con la miglior predicibilità di risultati. Tra i siti donatori di osso autologo extraorali (usati nelle ricostruzioni più estese) si annoverano la cresta iliaca, la volta cranica e la tibia, mentre i siti intra-orali “classici” (usati per la ricostruzione di deficit più piccoli) sono rappresentati dal mento, dal ramo mandibolare e dalla tuberosità mascellare.
I prelievi da questi siti intraorali sono tuttavia gravati da una non trascurabile morbilità post-operatoria (edema, ematomi visibili al volto, possibili sequele neurologiche in particolare nel caso di prelievi dal mento e dal ramo mandibolare)3,24-28. A causa della non trascurabile prevalenza dei tori e delle esostosi nella popolazione, in caso di contemporanea presenza di un toro e di aree edentule associate a deficit di piccole dimensioni, l’utilizzo dei tori/esostosi rimossi può costituire una valida alternativa in quanto si toglie del tessuto osseo esuberante che viene immediatamente utilizzato quale fonte di materiale per le tecniche rigenerative. Una volta rimosso il torus/esostosi si può procedere, nella stessa seduta, alla ricostruzione del difetto osseo nella regione da riabilitare con impianti. Data la morfologia irregolare delle esostosi, risulta quasi sempre necessaria la sua particolazione mediante un microtomo da osso e l’utilizzo dei chips ossei ottenuti in associazione a membrane riassorbibili o non riassorbibili seguendo i principi ben noti della GBR. Ben difficilmente, infatti, un torus rimosso in blocco potrebbe adattarsi al difetto osseo dove deve essere inserito – o contestualmente o in un secondo tempo – l’impianto. La scelta tra inserimento immediato o differito di un impianto è vincolata da una serie di fattori tra cui l’entità del difetto, la stabilità primaria dell’impianto, la zona da riabilitare. Pur non potendo generalizzare, è consigliabile eseguire una GBR contestuale all’inserimento degli impianti quando il difetto è modesto, la stabilità primaria è garantita e la zona da riabilitare è fuori dalla cosiddetta “area estetica” (regione intercanina superiore). Al contrario, in caso di atrofia più accentuata o nelle zone ad alta valenza estetica è consigliabile iniziare con la sola procedura rigenerativa e differire l’inserimento degli impianti a guarigione avvenuta. In entrambi i casi, tuttavia, bisogna rispettare le regole base delle tecniche rigenerative che prevedono un’adeguata correzione del difetto, l’immobilizzazione del particolato osseo con l’uso di membrane e, fondamentale, una gestione ottimale dei lembi per garantire una chiusura ermetica e priva di tensione, premessa fondamentale per il successo (Figure 3A-3M).
Discussione e conclusioni
Dalla revisione della letteratura effettuata in questo studio, si evince che i tori/esostosi presentano una non trascurabile prevalenza nella popolazione1,2,4-23, ma che, tuttavia, tali neoformazioni costituiscono un quadro più “parafisiologico” che patologico vero e proprio. Risulta, pertanto, che le indicazioni alla loro rimozione devono essere limitate ai casi in cui la loro presenza provochi disagi legati all’ingombro e alla morfologia sfavorevole (in particolare nei casi più estesi) o decubiti sui tessuti molli a causa dell’assottigliamento di questi ultimi, quando queste lesioni interferiscano con la creazione di manufatti protesici oppure, infine, quando queste, soprattutto se posizionate sul versante vestibolare, creino problemi estetici3. Un caso particolare è rappresentato dall’uso di chips ossei prelevati da tori/esostosi per ricostruire piccoli difetti in chirurgia pre-implantare; un aumento in spessore della cresta alveolare, un riassorbimento osseo paragonabile al prelievo da altri siti, minori complicanze, un buon decorso post-operatorio, la quasi totale assenza di disturbi sensoriali (contrariamente ad altri siti), un buon accesso chirurgico, oltre a un miglioramento fonetico e funzionale ne sembrano validare l’uso clinico3,23-25,27,28. Gli svantaggi, inoltre, sono così rari da essere trascurabili e, anzi, attribuibili a inesperienza del clinico (ingestione di chips ossei, perdita di vitalità degli elementi adiacenti, traumatismo dei dotti ghiandolari, danni al nervo linguale, lacerazione della mucosa, lacerazioni di lembi, perforazione della cavità nasale)3. Come ribadito dall’Oxford Centre for Evidence-Based Medicine nel 2011, se si vuole conoscere l’efficacia di un trattamento, il livello più alto di validità della gerarchia delle evidenze mediche è rappresentato da revisioni sistematiche di trial clinici randomizzati. Su tale metodica ad oggi, invece, in letteratura sono presentati quasi esclusivamente case report e case series. Mancano, inoltre, chiare prove istologiche. Proussaefs27 dimostra che l’osso prelevato da tori/esostosi sia in grado, pur avendo una componente corticale molto importante, di mantenere la propria vitalità anche quando usato in blocco. Anche l’uso dei chips ossei per eseguire un grande rialzo del seno mascellare può essere un’indicazione clinica alla rimozione e all’utilizzo delle esostosi/tori, come mostrato da Neiva25. La quantità ossea è spesso più piccola rispetto a quella ottenuta da prelievi da altri siti: in accordo con altri Autori3,27 ne consigliamo l’uso solo per difetti di piccole dimensioni. Resta da validare con ulteriori studi l’uso di PRP e PRF in associazione a chips da tori: Hassan26 in un recente studio split mouth dimostra che l’associazione tra l’osteoinduzione derivante dal particolato osseo di un torus e la buona capacità rigenerativa del PRP possa essere efficace nel trattamento di difetti ossei intraossei. Concludendo, la rimozione di un toro e il suo utilizzo come materiale da innesto sembra rappresentare, qualora presente, una valida alternativa in caso di piccoli difetti.
Studi clinici controllati sono ancora necessari per confermarne l’uso routinario.
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Corrispondenza
Grazia Tommasato
grazia.tommasato@gmail.com