In diversi articoli pubblicati precedentemente ci si è soffermati su diversi aspetti dell’endodonzia chirurgica. In primo luogo, è bene ribadire come oggi questo atto clinico miri ad eliminare le cause della lesione, oltre che la lesione stessa, di modo che i tessuti periapicali possano rigenerarsi senza il persistere del rischio di recidiva di patologia. In sintesi, l’indicazione è costituita dall’impossibilità di risolvere la problematica per via ortograda. Volendo fare degli esempi pratici, la terapia può essere adottata semplicemente in casi di lesione apicale non risolta anche a seguito di ritrattamento, perforazioni canalari del terzo apicale, presenza di strumenti endodontici fratturati in apice, fratture orizzontali del terzo apicale (evento questo non necessariamente a origine iatrogena) o, più semplicemente, nel caso in cui si decida di non intaccare restauri protesici sovrastanti. Un criterio operativo fondamentale è però rappresentato dalle controindicazioni. Al di là delle controindicazioni generiche alla chirurgia elettiva, molte di esse andrebbero più correttamente definite “false indicazioni”.
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La prima considerazione riguarda necessariamente l’aspetto anatomico dell’accesso chirurgico. Un caso come quello documentato nel video qui in allegato risente per forza di cose di una certa dipendenza dall’operatore. Una condizione da verificare attentamente in fase di planning dell’intervento è lo stato del
parodonto: l’origine della patologia non è sempre facile da verificare; una lesione
endo-perio “vera”, quando presente, costituisce un limite potenzialmente invalicabile per la futuribilità dell’elemento dentario. Un’altro aspetto che il clinico è chiamato sovente a considerare è il supporto osseo. L’
asportazione chirurgica dell’apice, infatti, rende per forza di cose più sfavorevole il rapporto corono-radicolare. Da ultime, si considerino le fratture longitudinali della radice, lesioni hopeless che vengono frequentemente correlate alla presenza di perni fusi. È interessante sottolineare che, come accennato in precedenza, la presenza di manufatti protesici possa costituire una delle indicazioni all’
endodonzia retrograda. È in questo senso fondamentale escludere, a fronte di un sospetto anche minimo, la presenza di una frattura verticale. Una volta escluse tutte le controindicazioni, la fase diagnostica può essere completata inquadrando la
lesione periapicale da un punto di vista classificativo. Negli ultimi anni, un aiuto fondamentale è arrivato dalle nuove tecniche di diagnostica tridimensionale basati sulla tecnologia
micro CBCT. Questa metodica, pur essendo ancora limitata ai casi endodontici più complessi, fornisce una resa brillante del sito da trattare. La classificazione “scolastica” oggi più diffusa, stando anche alle indicazioni della Società Italiana di Chirurgia Orale e Implantologia, è quella di von Arx del 2001. si tratta di una classificazione in 3 classi, basata su estensione, posizione anatomica e patogenesi della lesione.