Su queste pagine ci si è ampiamente occupati del trattamento chirurgico della perimplantite che, in parallelo con le malattie parodontali, prevede interventi di resettiva o rigenerativa, oltre che decontaminazione laser di superficie o implantoplastica. Alcuni autori obiettano come i risultati clinici e radiografici di tali tecniche siano da reputarsi ancora controversi, soprattutto sul lungo termine.
L’obiettivo principale del trattamento della perimplantite dovrebbe essere la risoluzione dell'infiammazione dei tessuti molli perimplantari (non sanguinamento al sondaggio, non suppurazione) e il mantenimento della stabilità dell'osso di supporto. Ciò passa per il mantenimento di un ambiente perimplantare popolato da batteri compatibili con la salute perimplantare.
La terapia non chirurgica ha dimostrato efficacia nella gestione della patologia predisponente alla perimplantite, la mucosite perimplantare.
Per quanto riguarda l’approccio non chirurgico alla perimplantite, nonostante evidenze pregresse da reputare a loro volta contraddittorie, si segnalano, più recentemente, indicazioni promettenti. Mettraux, ad esempio, segnala una riduzione dal 100 al 43% del sanguinamento al sondaggio e dall’87 allo 0% della suppurazione, a un follow-up di 2 anni, dopo trattamento con curette metalliche e in fibra di carbonio e ripetuta applicazione di laser a diodo. Analogamente, Bassetti rileva, a un anno, dopo terapia fotomodulante, una riduzione significativa dei dati di sondaggio, sanguinamento, conta batterica e marker infiammatorio IL1B.
Allo stato attuale, invece, rimane controverso il possibile ruolo della terapia antibiotica sistemica, che risulterebbe utile a fronte di condizioni di particolare gravità. Il guadagno radiografico di livello osseo costituisce, infine, uno dei criteri principali nella definizione di un outcome terapeutico positivo.
Terapia non chirurgica + antibiotico terapia sistemica nelle perimplantiti
Recentemente, Nart ha pubblicato su Clinical Oral Investigations un case series prospettico atto a valutare radiograficamente l’efficacia di una tecnica non chirurgica basata sul debridement meccanico associata ad antibioticoterapia sistemica.
I 21 impianti (in altrettanti pazienti) inclusi sono stati sottoposti a scaling con strumento a ultrasuoni con abrasivo a base di glicina, seguito dalla somministrazione di metronidazolo nella posologia di 500 mg, 3 volte al giorno, per 7 giorni. I pazienti sono stati rivalutati per un anno ogni 3-6 mesi: a ogni controllo, se necessari, sono stati forniti rinforzi di igiene orale, e ulteriore debridement sovra e sottogengivale.
I risultati rivelano cambiamenti, la maggior parte dei quali statisticamente significativi, per quanto concerne tutte le variabili cliniche e radiografiche a 12 mesi.
Secondo i criteri di successo applicati, il 40.90% delle perimplantiti è stato arrestato e risolto, mentre nel restante 59.1% è risultato presente almeno un sito con sanguinamento al sondaggio.
Nessuno degli impianti presentava una perdita ossea progressiva a fine studio e il 95.45% dei siti ha mostrato una profondità della tasca perimplantare <5 mm.
In conclusione, la terapia non chirurgica della perimplantite risulta efficace nell’arrestare la perdita ossea progressiva, ridurre il sondaggio e la suppurazione e raggiungere il bone fill radiografico nella maggior parte dei casi. Non risulta però completamente efficace nella riduzione del dato di sanguinamento al sondaggio, che permane 2/3 dei casi.
Riferimenti bibliografici
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31123873