L’avvento delle nuove tecnologie digitali in grado di apprendere e di interagire con l’uomo apre nuove, finora incredibili possibilità. Ma un sistema basato su regole matematiche non può (almeno per ora) sostituirsi all’eclettica capacità di ragionamento e di vaglio critico umana. Eppure, con il giusto approccio e nel rispetto dell’etica professionale, potrebbe rivelarsi un supporto utile in medicina, e perfino in odontoiatria, per confrontare i dati più rapidamente, migliorare la precisione della diagnosi e pianificare trattamenti personalizzati

Solo l’8% delle piccole aziende italiane vende online, il 40% dei lavoratori non è in grado di utilizzare in maniera efficiente un software da ufficio, il 30% della popolazione italiana non usa Internet, il 70% della popolazione adulta ha un livello basso di competenza linguistica e matematica.

Questa è la fotografia dell’Italia, quartùltima in Europa, seguita solo da Bulgaria, Grecia e Romania, mentre il mondo sta diventando completamente digitale, anche per prenotare una visita. Quando parliamo di intelligenza artificiale, big data, machine learning non stiamo parlando di complessi sistemi lontani dalla nostra quotidianità. Utilizziamo questa tecnologia tutti i giorni, nessuno escluso; utilizziamo le mappe che ci indicano il percorso più veloce, prenotiamo online il nostro tavolo al ristorante o ci chiediamo perché il nostro telefono sponsorizzi proprio quella marca di berretti che stavamo cercando. Viviamo in un mondo digitale e non ne conosciamo le luci, figuriamoci le ombre. Partiamo allora dalle faccende più semplici: cos’è l’intelligenza artificiale? E come entra nelle nostre vite? L’intelligenza artificiale, o IA, è un campo in rapida evoluzione che si occupa di creare sistemi informatici in grado di eseguire attività che richiedono l’intelligenza umana, come la comprensione del linguaggio naturale, il riconoscimento di immagini, la risoluzione di problemi, il ragionamento e la pianificazione. Per capire quanto l’IA sia presente nel quotidiano, basti pensare che per dare la definizione di intelligenza artificiale, ho utilizzato l’IA stessa. Ho chiesto infatti a Chat GPT, un modello di linguaggio artificiale sviluppato da OpenAI che utilizza l’apprendimento automatico e il deep learning per generare conversazioni in linguaggio naturale con gli utenti, “che cos’è l’intelligenza artificiale?” ed ecco che in pochi secondi, qualcuno, o meglio “qualcosa” ha risposto alla mia domanda, in italiano, in modo puntuale e con corretta punteggiatura.

Una “magia” basata sugli algoritmi

Come possiamo essere certi che quello che dice un “robot” possa essere vero? Innanzitutto, che cos’è un algoritmo? Un algoritmo è il modo in cui si dà un’istruzione al computer per svolgere un compito. Questo compito può essere un calcolo complicato, ma anche una serie di istruzioni, come una ricetta o un piano di trattamento. Il calcolo, e quindi la risposta che chiediamo, è dato dalla somma di due fattori: gli algoritmi e i dati. Gli algoritmi sono il modo in cui il calcolatore “opera”, i dati sono il punto di partenza da cui ottiene le informazioni necessarie. In questi casi si parla di algoritmi “che apprendono”. In sostanza al computer vengono forniti dati che corrispondono a informazioni “storiche”, a casistiche già accadute. A partire da questi dati, l’algoritmo apprende come comportarsi di fronte a un nuovo dato e genera una risposta. In particolare, si parte dal presupposto di avere una serie di casi noti, quindi casi sui quali viene già emesso un verdetto da parte di un esperto, per esempio in medicina sano/malato, in banca do il credito/non do il credito, e l’algoritmo impara a comportarsi come l’esperto, quindi impara a decidere su un nuovo caso. Questo algoritmo, da un punto di vista della struttura, risponde a regole matematiche, e per questo non opinabili. Ma su quali dati opera? Se operasse su dati non coerenti con la soluzione corretta del problema, sarebbero guai.

Errare non è solo umano

Per ovviare a questa problematica, gli algoritmi devono essere istruiti. Basandosi spesso su dati “storici”, infatti, ci possono essere dei bias nelle risposte, degli errori. Se pensiamo per esempio alla selezione del personale, il genere maschile ha storicamente rivestito cariche di maggiori responsabilità e posizioni più rilevanti rispetto al genere femminile, dunque l’algoritmo tenderà a selezionare il candidato migliore come “uomo” anziché “donna”. Per ovviare al problema l’algoritmo può essere certamente istruito, per esempio “obbligando il sistema” alla selezione di una percentuale di donne, o di persone appartenenti a certe minoranze, ma altrettanto certamente la mente umana che ragiona autonomamente non può essere sostituita nel selezionare la persona migliore, sia essa donna o uomo. Un altro esempio: molti di questi algoritmi sono addestrati a risposte a partire da immagini fornite da Google. Google ha una raccolta di 14 milioni di immagini; peccato, per esempio, che questi 14 milioni di immagini derivino per il 44% da siti Internet e utenti americani; va da sé quindi che l’algoritmo apprenderà e risponderà meglio a questioni che hanno a che fare con gli americani e la cultura a loro connessa. In concreto, se l’algoritmo impara a predire il tumore della pelle, ma ha a disposizione per il 95% pelle bianca, sarà in grado di predire la malattia solo su pelle bianca, risultando non attendibile in casi diversi.

Tecnologia ancora in evoluzione

Il match tra dati, informazioni e soluzioni è qualcosa di relativamente nuovo; è vero che la tecnologia corre veloce, ma solo di recente la potenza di calcolo e la capacità di risolvere questi problemi è arrivata a livelli tali da poter applicare questa tecnologia alla pratica quotidiana, minimizzando gli errori. È solo questa potenza che ha fatto si che si creassero i “big data” e solo grazie al “machine learning”, che è sostanzialmente la capacità della macchina di apprendere di per sé, che oggi possiamo fare un uso ragionato dell’intelligenza artificiale. Il termine “big data” si riferisce a grandi volumi di dati - sia strutturati sia non strutturati - che sono generati a una velocità elevata e in una grande varietà di formati diversi. Questi dati possono essere raccolti da diverse fonti, come ad esempio dispositivi mobili, sensori, social media, database aziendali e così via. Il concetto di big data è stato reso possibile grazie alla rapida evoluzione delle tecnologie digitali, che hanno reso più facile e conveniente raccogliere e archiviare grandi quantità di dati. I big data possono essere analizzati utilizzando tecniche di elaborazione dati avanzate, come l’analisi statistica, l’apprendimento automatico e l’intelligenza artificiale, al fine di rivelare pattern, correlazioni e insight che altrimenti sarebbero difficili da individuare.

Bussola digitale per il medico

Oggi con il machine learning siamo in grado di “inventare” una tecnologia che permetta di distinguere pazienti che alla diagnosi andranno certamente verso una situazione di recidiva di tumore e altri no. Ma con quale accuratezza? Lo dice l’algoritmo stesso sulla base del numero di dati che ha utilizzato e quindi sulla base di quanto è stato addestrato. Qual è il valore aggiunto che l’IA può fornire al medico? L’IA permette in più di poter matchare, per esempio, le informazioni del DNA, che l’oncologo stesso non può essere in grado di leggere nella totalità, con l’insieme di segni e sintomi individuati dal medico. In questo modo l’oncologo avrà una risposta che lo orienta, non una risposta corretta. A partire da questa, e solo grazie alla propria mente e ai propri studi, allora il medico potrà fare una diagnosi e un piano di cura “migliori”. Dalla diffusione di strumenti digitali e proprio grazie alla possibilità offerta dai big data, si sviluppa la “Precision Medicine”, una interpretazione della medicina che mette in relazione diretta dati, conoscenze e competenze che attengono a tre ambiti della vita del paziente che incidono sugli effetti della cura:

  • i dati genetici del paziente;
  • i dati relativi al contesto ambientale nel quale vive o dove si sviluppa la cura in corso;
  • i dati collegati al comportamento e allo stile di vita del paziente.

Attenzione, però, a non confondere la medicina di precisione con la medicina personalizzata, che invece permette di avere una visione completa e profonda di tutto ciò che attiene e influisce sulla salute e sul benessere della persona, facendo riferimento a una specifica focalizzazione della disciplina medica su tutti i fattori che attengono alla storia, alla patologia, alle caratteristiche e al comportamento di un paziente.

Quindi, in generale, l’algoritmo può far parte del processo decisionale, ma deve necessariamente essere comprensibile all’essere umano. Il medico deve essere in grado di discernere e di prendere decisioni individuali. Interessante in questo contesto di innovazione dell’intelligenza artificiale stessa è l’explainable AI (che tradotto significa: IA spiegata), ossia un modello che spiega non soltanto cosa ha fatto l’algoritmo, ma anche perché lo ha fatto.
La premessa è che l’algoritmo elabora una predizione che può essere più o meno accurata a seconda di quanti dati ha a disposizione, di come è stato predisposto il campione e come è stato disegnato l’insieme delle risposte che vengono ritenute corrette;
solo successivamente l’algoritmo opera ed è in grado di risolvere nuovi casi. Essere a conoscenza di tutti questi processi è utile alla mente umana, che può in questo modo criticare, nel senso più filosofico del termine, l’informazione ricevuta.

Servono equilibrio e senso di responsabilità

Va da sé che a temi complessi si affiancano anche ostiche questioni, non ultime quelle etiche, di gestione di questi dati.
L’utilizzo dei big data in medicina richiede infatti una gestione adeguata dei dati stessi e una garanzia della sicurezza e della privacy dei pazienti. L’elaborazione dei dati deve essere effettuata in modo responsabile e rispettoso dei diritti del paziente, e gli accessi a questi devono essere limitati solo alle persone autorizzate, come i medici o i ricercatori, per evitare il rischio di violazioni della privacy o altre preoccupazioni etiche relative alla moralità, all’equità e alla giustizia nell’utilizzo di questi.
In particolare, l’analisi dei big data in medicina può sollevare alcune preoccupazioni etiche che riguardano:

1. La privacy. L’analisi dei dati dei pazienti deve essere effettuata in modo responsabile e rispettoso dei diritti del paziente. È importante proteggere la privacy e garantire che i dati sensibili non vengano utilizzati in modo improprio o divulgati a persone non autorizzate.

2. La giustizia. L’utilizzo dei big data in medicina deve garantire l’equità nell’accesso alle cure. Ciò significa che le informazioni raccolte dai big data devono essere utilizzate per garantire che tutte le persone abbiano accesso alle cure di cui hanno bisogno, indipendentemente dal loro background o dal loro status socioeconomico.

3. La trasparenza. L’utilizzo dei big data in medicina deve essere trasparente e aperto. Le persone coinvolte nell’analisi dei dati dei pazienti devono essere oneste riguardo a come i dati vengono utilizzati e quali sono i rischi associati.

4. L’accuratezza. L’utilizzo dei big data in medicina deve essere accurato e affidabile.
Le informazioni raccolte dai big data devono essere verificate e confermate da fonti affidabili per garantire che le decisioni prese sulla base di tali informazioni siano sicure ed efficaci.

Semplificazioni pericolose

Per concludere, sicuramente l’IA semplificherà la vita ai cittadini e alle aziende, ma è importante sapere che l’intelligenza artificiale non è la riproduzione di un cervello umano e nemmeno la somma neutra di conoscenze e saperi. Si serve sempre di software che apprendono e si orientano a seconda degli obiettivi da raggiungere. E poi c’è un tema etico e filosofico: delegare all’AI le decisioni o la ricerca delle risposte a ogni tipo di problema può rivelarsi una scelta che nel tempo rende superflue le competenze umane, fino a mutare la nostra stessa natura di esseri dotati di spirito critico. Alla fine, se è un algoritmo a decidere al posto nostro, noi a cosa serviamo?

Come usufruire dell'IA in ambito medico senza esserne sopraffatti

L’intelligenza artificiale in medicina può essere utilizzata per migliorare la precisione della diagnosi, la personalizzazione dei trattamenti e la prevenzione delle malattie attraverso l’analisi dei dati. I big data sono stati applicati in molti settori della medicina, tra cui:

ricerca, ad esempio per identificare nuovi farmaci o per sviluppare nuovi approcci terapeutici. L’analisi di grandi quantità di dati clinici e genomici può rivelare pattern e associazioni tra le condizioni di salute e i fattori di rischio;
diagnosi e prognosi, attraverso l’analisi di immagini mediche o di dati di monitoraggio continuo del paziente. Ciò può consentire ai medici di prendere decisioni più informate sulla terapia da prescrivere;
monitoraggio e prevenzione delle malattie; ad esempio, i dati raccolti da dispositivi di monitoraggio indossabili possono essere utilizzati per rilevare i primi sintomi di malattie croniche o per fornire informazioni sullo stato di salute dei pazienti a distanza;
gestione sanitaria, attraverso l’analisi dei dati sui costi e sull’utilizzo delle risorse, per identificare inefficienze e migliorare la qualità dell’assistenza. Nello specifico, in odontoiatria si utilizza l’IA in:
diagnosi e pianificazione del trattamento. L’IA può essere utilizzata per analizzare le immagini dentali come radiografie e tomografie computerizzate per identificare eventuali problemi dentali o diagnostici. Inoltre, i sistemi di IA possono aiutare i dentisti a pianificare i trattamenti e a personalizzare i piani di cura per i pazienti in base alle loro esigenze specifiche;
assistenza ai pazienti. L’IA può essere utilizzata per migliorare l’esperienza dei pazienti. È possibile utilizzare chatbot alimentati dall’IA per rispondere alle domande dei pazienti, prenotare appuntamenti e fornire informazioni sui trattamenti dentali;
robotica dentale. L’IA viene utilizzata anche nella robotica dentale per migliorare la precisione e l’efficacia dei trattamenti. I robot odontoiatrici, in casi eccezionali, possono utilizzare l’IA per identificare i denti da trattare, pianificare la posizione e l’angolazione degli strumenti, e anche per rilevare e adattarsi alla forma unica della bocca del paziente.

Fonti

1. Gabanelli M, Magatti M. L’Italia sta pagando caro l’analfabetismo digitale. Le colpe e i rimedi. Corriere della Sera, 9 settembre 2019.

2. Gabanelli M, Marinelli A. Cos‘è un algoritmo e cosa succede quando sbaglia. Corriere della Sera, 11 febbraio 2020 3. https://chat.openai.com

Intelligenza artificiale o artefatto di intelligenza? - Ultima modifica: 2024-09-13T10:00:27+00:00 da K4
Intelligenza artificiale o artefatto di intelligenza? - Ultima modifica: 2024-09-13T10:00:27+00:00 da K4