Eziopatogensi del dolore
Dal punto di vista ezio-patogenetico, il dolore può essere suddiviso in:
- nocicettivo, secondario a una fisiologica attivazione dei nocicettori da uno stimolo di natura endogena o esogena;
- infiammatorio, secondario a un’attivazione dei nocicettori da parte di un processo infiammatorio di tipo acuto o cronico;
- neuropatico, secondario a una o più disfunzioni del sistema nervoso centrale e periferico;
- psicogeno, dovuto a un’anomala interpretazione di messaggi percettivi, secondari a un alterato status psichico ed emozionale.
Il dolore nocicettivo
Il dolore nocicettivo è quello che origina dalla stimolazione di specifici recettori denominati nocicettori, ampiamente diffusi nel nostro organismo al fine di preservarne l’integrità. La loro attivazione porta alla conversione (trasduzione) in stimolo nervoso di messaggi di tipo meccanico (traumi), termico (ustioni, congelamento) o chimico (pirosi gastrica, ustione chimica) e alla conseguente conduzione lungo le fibre nervose fino al midollo spinale. A questo processo segue la trasmissione lungo i fasci spinali fino alle strutture sottocorticali e corticali, dove avviene la percezione. Il dolore nocicettivo è quindi secondario a una fisiologica attivazione dei nocicettori da uno stimolo di natura endogena o esogena ed è classicamente diviso in somatico e viscerale. Il dolore somatico riceve lo stimolo esterno o esterocettivo dalle fibre afferenti dei nervi cerebrospinali e frenici che sono in grado di percepire e condurre selettivamente una grande varietà di stimoli sensoriali come la trazione, il taglio, la frizione, la pressione, la decompressione e il calore. Il paziente quindi percepisce uno stimolo esterno, variabilmente distribuito su una sede superficiale più o meno estesa o puntiforme, comunque di tipo bidimensionale e delimitabile. La stimolazione esogena può essere qualitativamente differente come uno stimolo trafittivo oppure fulminante o puntorio con, in genere, una percezione corrispondente alla sede d’insorgenza.
Al contrario il dolore viscerale ha come fibre afferenti dolorifiche quelle dei nervi simpatici e parasimpatici che percepiscono poche sensazioni come la pressione, la distensione e lo spasmo. La sede è profonda e non puntiforme o bidimensionale ma spaziale o tridimensionale, la localizzazione inoltre è spesso imprecisa e diffusa. A livello qualitativo il dolore è ottuso e sordo, non vi è necessariamente corrispondenza tra sede dell’impulso e localizzazione topografica del dolore; inoltre, manifestazioni vegetative come vomito, vertigini e nausea possono essere presenti. A livello eziopatogenetico nelle lesioni causa di danno tissutale vengono rilasciati enzimi proteolitici che agiscono sulle gammaglobuline, con il risultato di liberare sostanze che stimolano i nocicettori periferici. Queste sostanze sono le bradichinine, l’istamina, le prostaglandine, la serotonina e gli ioni potassio che fanno la loro comparsa e sono in grado di suscitare dolore. Inoltre, la stimolazione diretta dei nocicettori libera sostanze che aumentano la percezione algica: la più conosciuta di esse è la sostanza P che è liberata dalle terminazioni delle fibre C quando viene stimolato un nervo periferico. Essa provoca, inoltre, eritema attraverso la dilatazione dei vasi cutanei ed edema attraverso la liberazione di istamina dai mastociti. Questa reazione, chiamata “infiammazione neurogena” da White ed Helme, è mediata da potenziali d’azione antidromici che partono dalle piccole cellule nervose nei gangli spinali (trasporto retrogrado) ed è alla base del riflesso assonico di Lewis. Farmaci antalgici classici come FANS, oppioidi e paracetamolo sono molto efficaci su questo tipo di dolore.
Il dolore infiammatorio
L’infiammazione o la flogosi è un meccanismo di difesa non specifico innato, che costituisce una risposta protettiva, seguente all’azione dannosa di agenti fisici, chimici e biologici, il cui obiettivo finale è l’eliminazione della causa iniziale di danno cellulare o tissutale, nonché avviare il processo riparativo. Nell’infiammazione le osservazioni cliniche classiche di arrossamento (rubor), calore (calor) e gonfiore (tumor) sono invariabilmente accompagnate da dolore (dolor). La reazione infiammatoria può essere di tipo acuto o cronico. Il dolore post-operatorio, ad esempio, presenta le classiche caratteristiche del dolore infiammatorio acuto con un rapido onset e offset, mentre in alcuni stati patologici, quali artrite, l’infiammazione persiste e provoca dolore infiammatorio cronico. Infiammazione e dolore infiammatorio sono mediati da una pletora di diverse sostanze rilasciate a causa del danno tissutale stesso con la conseguente cascata di processi chimici. L’elenco dei mediatori dell’infiammazione è lungo e la ricerca continua ad aggiungerne molti altri.
Il danno tissutale rilascia un numero di sostanze direttamente dalle cellule danneggiate come protoni, chinine, ATP e NGF mentre una miriade di sistemi inibitori intrinseci esistono per mitigare la cascata dell’infiammazione che è potenzialmente dannosa se non controllata con la lisi dei mediatori stessi. Lo sfruttamento di questi sistemi potrebbe fornire in futuro una via terapeutica nel trattamento del dolore infiammatorio. Alcuni mediatori dell’infiammazione attivano direttamente e sensibilizzano le fibre nervose afferenti (C e A delta), altri stimolano il rilascio di ulteriori mediatori provenienti da cellule del sistema immunitario le quali sono attratte, a loro volta, da altre sostanze pro infiammatorie. Le cellule immunitarie reclutate presso il sito leso agiscono con un massivo rilascio di fattori di crescita e citochine, queste ultime importanti nella generazione e nel mantenimento dell’algesia. I leucociti polimorfonucleati, di cui i neutrofili sono la componente più abbondante, sembrano essere le cellule immunitarie principalmente coinvolte nella generazione del dolore infiammatorio.
Differenti componenti infiammatori possono attivare o sensibilizzare i neuroni afferenti inducendo una risposta a uno stimolo nocivo o facilitandola. L’aumento della risposta nei neuroni afferenti può essere indotta alterandone l’elettrofisiologia, ovvero rendendo più frequente il potenziale d’azione; questi cambiamenti si manifestano clinicamente come un aumento della risposta a uno stimolo nocivo con sviluppo di ipersensibilità. Il conseguente aumento di input afferente al midollo spinale porta allo sviluppo e al mantenimento di una sensibilità secondaria centrale, che può condurre a dolore cronico anche dopo la risoluzione dell’infiammazione. Il dolore infiammatorio è diagnosticabile a livello clinico con estrema facilità e trattato con farmaci come FANS e corticosteroidi.
Il dolore neuropatico
Il dolore neuropatico è definito come “il dolore causato da una lesione o malattia del sistema nervoso somato-sensoriale” e risulta secondario a una o più disfunzioni del sistema nervoso centrale e periferico. Ci sono state ampie discussioni all’interno dell’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) e del suo Special Interest Group sul dolore neuropatico (NeuPSIG) prima che questa definizione fosse accettata nel 2011. Il dolore neuropatico rappresenta una sfida per i sistemi sanitari essendo di comune riscontro ma spesso sotto-diagnosticato e sotto-trattato portando sofferenza, disabilità e una ridotta qualità della vita. Il dolore neuropatico è classificato come centrale (proveniente dai danni al cervello o al midollo spinale) o periferico (proveniente da danni ai nervi periferici o ai plessi). Una seconda classificazione è stata fatta sulla base del carattere del danno al sistema nervoso: infiammatorio, metabolico, vascolare o meccanico. L’eziologia è infatti varia e comprende patologie come il diabete, infezioni o complicanze chirurgiche. In generale i dolori neuropatici si distribuiscono a livello dermatomerico e non sono di forte intensità, ma continui e sfibranti, con riflessioni anche pesanti nella qualità di vita del paziente.
Presentano inoltre caratteristiche parossistiche come la sensazione di avvertire scosse elettriche o formicolii, possono essere evocati da stimoli normalmente non dolorosi (allodinia) e a livello motorio si possono associare a fascicolazioni e distonie. Alterazioni sensitive come ipoestesia o iperalgesia sono estremamente comuni e conseguenti probabilmente all’alterazione stessa delle fibre nervose. Esempi a livello odontostomatologico potrebbero essere la neuropatia presente nella nevralgia trigeminale, nella sofferenza gangliale del nervo glosso-faringeo e le sofferenze sensoriali evidenti nelle fasi terminali delle infezioni secondarie da virus zoster. Le sintomatologie neuropatiche vengono curate con farmaci aspecifici come le gabapentine, l’acido alfalipoico, gli antidepressivi triciclici e il pregabalin.
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