L’Accademia Americana di Parodontologia nelle sue linee guida definisce come scopo della terapia parodontale la preservazione della dentatura naturale, mantenendo e migliorando la salute parodontale, il comfort, l’estetica, la funzione, e sostituendo gli elementi mancanti (per esempio con impianti) quando indicato (1998).
La terapia implantare può essere considerata come parte integrante di quella parodontale; gli specialisti in parodontologia, infatti, stanno diventando sempre più del personale specializzato di riferimento per la terapia implantare in pazienti con o senza storia di malattia parodontale. La predicibilità del trattamento è piuttosto alta, anche quando si applicano protocolli di carico protesico immediato o precoce. I pazienti, quindi, non si sorprendono più del successo di questo tipo di trattamento e le aspettative sono al giorno d’oggi alte quanto lo è il grado di successo della terapia implantare.
Il focus della terapia implantare attuale non è più dunque il solo successo del piano di trattamento, ma anche, e soprattutto, il miglioramento continuo dei risultati estetici ottenibili. Sono stati introdotti nuovi materiali e disegni implantari, così come vari protocolli di carico e finalizzazione protesica con lo scopo di massimizzare la resa estetica del trattamento.
Lo scopo di questa pubblicazione è di sviluppare l’argomento dell’estetica implantare e suggerire protocolli protesici che possano supportare le scelte cliniche al fine di ottenere risultati eccellenti.
Odontoiatria estetica implantare
Il concetto di Odontoiatria estetica implantare non è stato mai definito con chiarezza, quindi in questa occasione si è deciso di darne una possibile definizione. L’Odontoiatria estetica implantare dovrebbe essere “il tentativo di dare un’apparenza estetica naturale a componenti artificiali, senza compromettere la salute dei tessuti perimplantari, la funzione o il successo a lungo termine”.
È fondamentale avere ben chiari questi obiettivi quando si pianifica il trattamento implanto-protesico, certe scelte infatti potrebbero dare risultati estetici soddisfacenti, ma non associati a uno stato di salute dei tessuti perimplantari. In questo caso porterebbero a una soluzione appagante solo nel breve periodo e non a un reale successo a lungo termine.
Fattori influenzanti l’estetica
Nel momento in cui un dente viene perso e sostituito per mezzo di impianto è indispensabile conoscere e valutare tutte le variabili da gestire nel piano di trattamento per ottenere il successo estetico-funzionale. Il primo fattore chiave da considerare è la quantità di osso alveolare residuo dopo l’estrazione dell’elemento. L’altezza o lo spessore inadeguato dell’osso rimanente, piuttosto che la presenza di osso alveolare di scarsa qualità, possono compromettere il posizionamento corretto dell’impianto e, conseguentemente, influire sul risultato clinico finale; i profili dei tessuti molli, inoltre, sono fortemente influenzati dall’osso alveolare residuo.
La corretta gestione dell’osso residuo non solo permetterà il miglior posizionamento dell’impianto dal punto di vista dell’angolazione e della lunghezza dello stesso, ma renderà possibile la correzione di eventuali deiscenze gengivali, la miglior gestione dell’anatomia coronale e, conseguentemente, il raggiungimento di un’estetica ottimale. Va considerato, tuttavia, che la possibilità di correggere difetti ossei è parzialmente limitata clinicamente.
Aumento di cresta
Nonostante la grande serie di casi clinici eccellenti pubblicati in letteratura, la correzione dei difetti ossei verticali è scarsamente predicibile e le conseguenze negative di una terapia insoddisfacente possono essere la creazione di difetti ossei e di profili di tessuti molli peggiori di quelli della situazione di partenza. Viceversa l’aumento orizzontale di cresta ossea può essere considerato un trattamento predicibile, da valutare e realizzare nel caso in cui si renda necessario per ottenere un’integrazione implantare ottimale.
La rigenerazione ossea è un processo biologico complesso; lo sviluppo del tessuto osseo, infatti, è decisamente più lento di quello degli altri tessuti1,2 e per questo motivo l’eccessivo sviluppo di tessuti molli può disturbare o impedire l’osteogenesi nei difetti ossei e nelle aree di guarigione post-chirurgiche. È ben definito in letteratura come lo sviluppo di nuovo osso sia promosso dal periostio e dalle cellule del midollo osseo con potenzialità osteogeniche3. Esistono diversi metodi per ottenere lo sviluppo osseo4,5: osteoinduzione (per mezzo di sostanze osteoinduttive), osteoconduzione (con innesti che fungono da impalcature per la formazione di nuovo osso), distrazione ossea (frattura ossea ottenuta in modo chirurgicamente guidato), innesti vitali (blocchi di osso provenienti da un sito donatore) e rigenerazione ossea guidata (spazio da rigenerare mantenuto da barriere per favorire la colonizzazione da parte di nuovo osso). La rigenerazione ossea dovrebbe essere finalizzata a ottimizzare il posizionamento implantare, piuttosto che alla correzione dei difetti estetici; i protocolli chirurgici quindi si basano sull’accettazione delle eventuali carenze estetiche, focalizzandosi invece sulla predicibilità dell’integrazione degli impianti che andranno posizionati per dare un supporto ottimale alla ricostruzione protesica. L’estetica sarà determinata invece dal disegno e dalla qualità del lavoro protesico, il quale a sua volta dipenderà da una complessa ricostruzione protesica ad appoggio implantare che potrebbe coinvolgere non solo i denti, ma anche parte dei tessuti molli o della cresta alveolare (Figura 1).
Complesso protesico
Il complesso implanto-protesico spesso risulta sovracontornato e ritentivo per la placca e i residui alimentari; il disegno della ricostruzione dovrebbe considerare le capacità del paziente di mantenere un’igiene orale adeguata (Figura 2).
Quando possibile, andrebbero preferite corone fissate per mezzo di viti, piuttosto che complessi protesici cementati. I tessuti perimplantari, infatti, oltre a essere protetti da eventuali reazioni dovute alla presenza di residui di cemento possono essere monitorati nel tempo, e trattati in caso di fenomeni infiammatori, semplicemente svitando il manufatto protesico (Figura 3).
Questa condizione è particolarmente importante nei pazienti con situazioni sistemiche che possano predisporre a complicazioni perimplantari (per esempio, fumo, diabete). Le patologie parodontali e perimplantari, infatti, sembrano essere prevalenti nei pazienti fumatori6. Studi scientifici hanno riportato una diminuzione del flusso sanguigno gengivale dovuto al consumo di sigarette7 e sottolineato come il fumo possa indurre un aumento di specie batteriche parodontopatogene a causa della minor presenza di ossigeno introdotto nel tessuto8. Inoltre, sia la chemiotassi che le capacità fagocitarie dei polimorfonucleati (PMNs) rilevate nei fumatori sono apparse inferiori a quanto evidenziato negli altri soggetti9 e anche per quanto riguarda le quantità di IgA, IgG, IgM e soppressori del CD8 i valori rilevati nei fumatori sono stati significativamente inferiori10. Queste differenze tra fumatori e non fumatori andrebbero considerate attentamente dagli operatori clinici prima di affrontare procedure chirurgiche o disegni protesici che potrebbero non favorire la salute6-8,10.
L’estetica ideale
Se le carenze estetiche, quindi, non andassero corrette chirurgicamente ma mascherate protesicamente, quand’è che si dovrebbe pianificare la corretta estetica implantare? La pianificazione corretta andrebbe effettuata prima dell’estrazione dell’elemento compromesso. Il raggiungimento dell’estetica ideale implantare va ricercato già quando l’elemento dentale, o quel che ne resta, è ancora presente in arcata. In media il 40-60% del volume osseo alveolare originario viene perso in seguito all’estrazione11-14 e la gran parte di questa atrofia sembra manifestarsi entro i primi due anni15-19.
Le carenze di cresta ossea alveolare sono associate a minor retenzione e stabilità di manufatti protesici rimovibili, compromissione estetica di ricostruzioni protesiche fisse e necessità di procedure di innesto osseo pre o post chiururgia implantare20. Il grado e il tipo di atrofia della cresta ossea variano in base alle diverse aree del cavo orale21,22: la parte anteriore del mascellare superiore, area che normalmente determina l’estetica complessiva del sorriso, può ridursi del 23% nei primi 6 mesi dopo la perdita dell’elemento e di un aggiuntivo 11% nei 5 anni successivi23.
L’atrofia si sviluppa invece principalmente in senso vestibolare nella zona posteriore della mandibola, esitando nello spostamento in direzione linguale della cresta residua23,24. La presenza di una cresta atrofica, oltre a influenzare negativamente la possibilità di posizionare gli impianti in modo corretto, compromette il risultato finale estetico-funzionale25.
Al fine di prevenire queste situazioni sono state suggerite diverse tecniche26-28; quelle che appaiono più condivise scientificamente sono il posizionamento implantare immediato e la preservazione di volume osseo con innesto nell’alveolo post-estrattivo29-31. Lo scopo di queste procedure è di mantenere la morfologia ossea della cresta per massimizzare i risultati sia estetici che funzionali.
Estrazione traumatica
La preservazione della cresta alveolare residua inizia nella fase estrattiva, che deve essere eseguita con cura e in modo atraumatico32. L’estrazione andrebbe pianificata attentamente, valutando l’anatomia radicolare per mezzo di supporti radiografici.
Dopo avere ottenuto l’anestesia locale della zona interessata, andrà eseguita un’incisione intrasulcurale con lama 15-C per sezionare l’apparato di supporto sopracrestale, composto da attacco epiteliale e connettivale alla superficie radicolare. L’utilizzo di strumenti affilati a questo scopo permette di minimizzare il trauma e la conseguente perdita di tessuto gengivale.
L’incisione andrà limitata al solo dente interessato, poiché la conservazione delle fibre di ancoraggio dei tessuti molli dei denti adiacenti è di sostanziale importanza nel mantenimento coronale del margine gengivale. Per recidere l’apparato di attacco sottocrestale verranno utilizzati dei periotomi; in una prima fase lo strumento servirà per completare la sezione delle fibre crestali del legamento parodontale (PDL), l’asse lunga della lama del periotomo dovrà essere angolata di circa 20° rispetto all’asse maggiore del dente per mantenerla localizzata sulla cresta ed evitare che scivoli apicalmente lesionando la gengiva. Lo strumento andrà mosso ripetutamente in senso mesio-distale sull’intera circonferenza del dente e, successivamente, spinto apicalmente all’interno del legamento parodontale verso l’apice radicolare. L’operazione andrà ripetuta fino a che non sarà possibile ottenere un buon grado di mobilità dell’elemento e l’utilizzo della pinza andrà evitato sino a che non si otterrà un grado di mobilità ottimale. In questo modo sarà possibile eseguire l’estrazione in modo atraumatico, evitando distorsioni e danneggiamenti all’osso alveolare33-35.
Dopo aver estratto il dente, l’alveolo dovrà essere curettato con attenzione per rimuovere tutti i detriti di tessuti molli eventualmente presenti. Il sanguinamento andrebbe stimolato nel caso in cui sia assente e in questo caso può aiutare il posizionamento immediato implantare; l’osteotomia di preparazione del sito, infatti, stimolerà il sanguinamento dalla porzione apicale dell’alveolo.
Il sanguinamento è fondamentale per ottenere un adeguato riempimento osseo dell’alveolo poiché il sangue contiene le proteine fondamentali e i fattori di crescita necessari per la guarigione dell’osso36-38. Per tutti questi motivi, quindi, il sanguinamento del sito estrattivo andrebbe favorito e non impedito. Queste procedure facilitano i fenomeni locali di accelerazione della guarigione (RAP, Regional Acceleratory Phenomena) che stimolano la produzione di nuovo osso e l’integrazione degli eventuali innesti39-41.
Posizionamento implantare immediato
È possibile posizionare gli impianti nella stessa seduta dell’estrazione; questa soluzione andrebbe considerata ogni qualvolta sia possibile mantenere l’alveolo intatto dopo l’estrazione. In caso di assenza o danno alla parete ossea vestibolare il posizionamento immediato è invece sconsigliato. La lunghezza dell’impianto influenza la stabilità primaria, mentre la larghezza determina il profilo di emergenza protesico finale. Le piattaforme implantari dovrebbero essere mediamente più strette di almeno 4 mm rispetto allo spazio mesio-distale protesico. Quando gli impianti risultano troppo ampi in relazione allo spazio protesico a disposizione, le ricostruzioni tendono a invadere in modo eccessivo gli spazi interdentali, impedendo la corretta ricostruzione estetica.
Funzionalizzazione immediata
Il posizionamento di una corona provvisoria posizionata immediatamente dopo la chirurgia implantare previene il collasso dei tessuti perimplantari. È consigliabile utilizzare la corona del dente stesso (quando possibile) poiché avrà già la forma adeguata e i profili che andranno poi riprodotti nella finalizzazione protesica. Le corone dovranno essere fissate per mezzo di viti per evitare la penetrazione di eventuali materiali contaminanti sull’impianto appena posizionato e nel coagulo.
L’elemento provvisorio andrà verificato dal punto di vista occlusale onde evitare ogni tipo di precontatto e i contatti di lateralità; si consiglia di ripetere la verifica dei contatti occlusali nel tempo. Prima di effettuare la ricostruzione protesica definitiva è consigliabile attendere almeno 4 mesi di guarigione. Passato questo lasso di tempo, l’osteointegrazione dovrebbe essere ormai completa, ma la maturazione definitiva dei tessuti molli può risultare più lenta; pertanto, una conclusione affrettata della protesizzazione definitiva potrebbe portare a risultati insoddisfacenti. Il posizionamento del provvisorio immediatamente dopo la chirurgia faciliterà l’accettazione da parte del paziente di un periodo di attesa maggiore prima della finalizzazione.
Il design organico
Il termine “design organico” deriva dal concetto di “architettura organica”, coniato dall’architetto Frank Lloyd Wright nel 1954. Il lavoro di Wright diede origine a un concetto di design basato su strutture artificiali che mimano la natura. I principi del design organico si applicano perfettamente all’Odontoiatria implantare, il cui scopo finale è, infatti, dare un’apparenza naturale a componenti artificiali. Il design organico va oltre il concetto del posizionamento di una corona che abbia una forma accettabile fissata su un moncone; il suo scopo, infatti, è quello di ricostituire la porzione di radice dentale che normalmente non è ripristinata da un impianto convenzionale con successiva ricostruzione protesica. È un concetto derivato dalla natura per ottenere la natura stessa. È noto come la forma, la posizione e l’angolazione del dente determinino i profili dei tessuti duri e molli. Partendo da questo concetto è possibile quindi guidare i tessuti mediante l’utilizzo di un provvisorio immediato durante le fasi di guarigione. Si cercherà di guidare la maturazione dell’osso e dei tessuti molli in modo naturale e, allo stesso modo, verranno scelti materiali altamente biocompatibili per permettere la stabilità a lungo termine della ricostruzione, favorendo la salute dei tessuti perimplantari.
La tecnica prevede lo sviluppo di un provvisorio che sia in grado di mimare l’anatomia tridimensionale del dente controlaterale, imitando con attenzione punti di contatto e spazi interdentali. La forma della corona definitiva sarà sviluppata a partire dai profili dei tessuti molli già presenti, senza applicare alcun tipo di pressione sulla gengiva. Lo scopo di questo approccio è di fornire supporto all’anatomia naturale piuttosto che influenzarla protesicamente e questo permetterà lo sviluppo e la crescita corretta dei tessuti molli. In seguito all’integrazione dell’impianto e alla maturazione del tessuto gengivale, verrà rilevata l’impronta con delle tecniche in grado di fornire al laboratorio odontotecnico una replica fedele dei tessuti. La corona definitiva dovrebbe inserirsi in modo passivo sul moncone implantare, senza causare pressione o ischemia. Verranno scelte ricostruzioni protesiche fissate per mezzo di viti e realizzate con materiali altamente biocompatibili come oro o zirconia per avere un’interfaccia ottimale con i tessuti molli ed evitare accumuli di placca, favorendo la salute perimplantare.
Conclusioni
Basandosi sui fattori precedentemente analizzati, è possibile affermare che l’estetica della ricostruzione protesica implantare dipende fortemente dal disegno protesico. Quando la pianificazione del trattamento è effettuata prima dell’estrazione è possibile condizionare correttamente tessuti duri e molli, ottenendo risultati estetici ottimali, con conseguenti garanzie positive dal punto di vista funzionale e igienico.
Corrispondenza/Correspondence
Rodrigo Neiva
Department of Periodontology
University of Florida – College of Dentistry
Tel. +1 (352) 273-7881
rneiva@dental.ufl.edu
Rodrigo F. Neiva1
Ivan Rudek2
1Dipartimento di Parodontologia, College of Dentistry,
University of Florida, Gainesville, FL, USA
2Reparto di Parodontologia & Medicina Orale, Scuola di Odontoiatria, University of Michigan, Ann Arbor, MI, USA
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