L'ortodontista si interfaccia in buona parte della propria attività clinica, con pazienti pediatrici e, pertanto, deve prestare massima attenzione ai rischi di cross-contaminazione. Strumenti o applicazioni di uso ortodontico possono andare incontro, appunto, a fenomeni di contaminazione nel caso di mancato rispetto delle norme igieniche in corso di processi produttivi e di packaging. L'impiego di prodotti esposti a rischio di contaminazione previo metodica di disinfezione – se non di sterilizzazione – è una misura utile a contenere tale rischio.
In generale, la terapia ortodontica, fissa o rimovibile, può indurre modificazioni a livello della flora batterica orale abbassando il pH, favorendo l'accumulo di placca dentale e incrementando il conteggio microbico nel fluido salivare.
A fianco delle metodiche di sterilizzazione a caldo, le tecniche di disinfezione chimica sono un ausilio preventivo fondamentale, da condurre secondo una tecnica adeguata che non può prescindere dalla conoscenza dei prodotti disponibili. Glutaraldeide, perossido di idrogeno (acqua ossigenata), alcool e clorexidina sono i disinfettanti più comunemente utilizzati nel processo di sterilizzazione chimica. In modo particolare, la clorexidina è un disinfettante assai favorevole, in virtù dell'azione battericida ad ampio spettro che assicura nei confronti di batteri gram-positivi e gram-negativi.
Più di uno studio, in vitro e in vivo, mette in guardia sulla possibilità di contaminazione microbica nel corso del passaggio di manufatti ortodontici dal laboratorio e addirittura nel caso di prodotti – brackets, bande e archi – ricevuti direttamente dal produttore. Nella tranquillità derivante dagli standard elevati di sicurezza assicurati in una realtà come quella italiana, è comunque importante valutare l'efficacia degli eventuali protocolli di disinfezione. Il rischio di contaminazione, a maggior ragione, rischia di essere imputabile al professionista, utilizzatore finale del prodotto e responsabile del piano di cure.
Recentemente, Vivek e colleghi hanno condotto uno studio in vitro, i cui risultati sono stati pubblicati su Progress in Orthodontics, nell'intento di verificare l'efficacia della clorexidina nella decontaminazione di bracket ortodontici.
Bracket ed efficacia della clorixidina
Un totale di 140 bracket da quattro diversi produttori sono stati divisi in sei gruppi: compresi un gruppo di controllo negativo, sottoposto a sterilizzazione in autoclave, e uno negativo, contaminato con Staphylococcus aureus al fine di ottenere la massima crescita batterica.
Sono stati condotti più test microbiologici e biochimici al fine di rilevare i pattern di crescita batterica. I bracket che hanno mostrato contaminazione microbica sono stati quindi sottoposti a disinfezione utilizzando soluzioni di clorexidina allo 0.01% e al 2%.
Sono stati ritrovati microrganismi quali Staphylococcus epidermidis, Lactobacilli, Klebsiella pneumoniae, Bacillus licheniformis e B. cereus, oltre allo stesso S. aureus.
Il solo gruppo 2 ha risposto positivamente al trattamento con clorexidina allo 0.01%, mentre tutti i gruppi contenenti ceppi Gram- sono stati pienamente decontaminati dalla clorexidina al 2%.
Dal punto di vista pratico, l'efficacia della soluzione di clorexidina al 2% ha portato gli autori a suggerirne l'impiego clinico prima del posizionamento dei bracket ortodontici nel cavo orale. Con i limiti di uno studio in vitro, appare innegabile l'adozione di protocolli ripetibili di disinfezione nel contesto delle sedute ortodontiche.