La protesi totale rimovibile rappresenta, ancora oggi, un valido compromesso riabilitativo per l’arcata edentula, soprattutto a livello del mascellare superiore.
Le analisi considerate da questo testo riguardano un aspetto relativo ai materiali dentari, quanto mai importante in uno momento, come quello attuale, di transizione dal workflow di laboratorio classico a quello digitale, anche in protesi mobile.
Il materiale standard, nella realizzazione di protesi totali è, praticamente da sempre, il polimetilmetilmetacrilato (PMMA). Questo in virtù della sintesi, assai favorevole, fra biocompatibilità e bagnabilità, trattabilità, costi e caratteristiche meccaniche. Proprio queste ultime costituiscono l’elemento centrale di indagine delle due revisioni sistematiche, entrambe incentrate sugli studi in vitro: l’una, pubblicata da João de Oliveira su Journal of Prosthetic Dentistry, l’altra condotta da Emanuele de Oliveira per Journal of Prosthodontics. Entrambe sono state pubblicate lo scorso maggio.
Il PMMA viene classicamente polimerizzato a caldo: questo comporta il rilascio di monomero residuo, il che può interferire con la stabilità dimensionale e incrementare la porosità di superficie. Possono derivare stomatiti su base allergica e infettiva (tipicamente candidosi), complicanze piuttosto comuni.
Nel workflow CAD/CAM, vengono impiegati blocchi di PMMA prepolimerizzati, fresati nella forma pianificata.
CAD/CAM: due studi a confronto sui vantaggi e svantaggi
La prima revisione, quella di João de Oliveira, si è concentrata esclusivamente sulle proprietà meccaniche. Partendo da una base di più di 2500 record da PubMed, Web of Science e Scopus, i revisori hanno selezionato 15 studi potenzialmente adatti: 13 di questi sono stati portati a valutazione qualitativa e, infine, 10 alla meta-analisi. La qualità dell’evidenza, relativa a 222 campioni prodotti tramite tecnica classica e 285 CAD/CAM, è stata definita buona. I risultati attestano vantaggi per il workflow CAD/CAM, per quanto riguarda il modulo elastico, ma non la resistenza allo sforzo di flessione. È stata riscontrata anche una ruvidità di superficie significativamente maggiore a livello del PMMA polimerizzato a caldo.
Il secondo studio ha considerato, sostanzialmente, le stesse banche dati (esclusa Scopus e aggiunte Embase e LILACS) e riporta numeri simili. Il pool di partenza era di 914 ma, di questi, solo 17 sono stati inseriti nell’analisi quantitativa. Oltre alla resistenza allo sforzo di flessione, è stata considerata la durezza, oltre che la stessa ruvidità di superficie e la bagnabilità. I risultati sono ritenuti ugualmente soddisfacente per le due metodiche di laboratori. Anche in questo caso, è stato rilevato un vantaggio, a favore del CAD/CAM, per quanto riguarda la ruvidità di superficie.
In conclusione, le evidenze dei due studi sono solo apparentemente contraddittorie: dal confronto, emergono valutazioni interessanti, relativi a parametri valutati aggiuntivamente rispetto alle sole caratteristiche meccaniche.