Luigi Paglia
Luigi Paglia, direttore scientifico de Il Dentista Moderno

Un buon risultato protesico è il frutto di un lavoro di “team” con il coinvolgimento spesso di molte discipline odontoiatriche. Giornalmente possiamo osservare nei nostri studi come la domanda di trattamenti interdisciplinari e che abbiano finalità estetiche sia cresciuta negli ultimi anni.
Molto spesso la molla che muove il paziente è proprio la necessità di migliorare il proprio sorriso e renderlo esteticamente più gradevole.
È sicuramente necessario, in questi casi, un esame approfondito dell’occlusione, delle caratteristiche della dentatura, del parodonto per elaborare un piano di lavoro interdisciplinare e individualizzato che cerchi di risolvere tutti i problemi clinici offrendo le soluzioni che il paziente si aspetta e spesso… pretende!
Per approfondire questo argomento vi proponiamo di spendere 5 minuti leggendo le risposte di Cristian Coraini e Alessandro Nanussi che da anni collaborano alla ricerca dell’eccellenza protesica condividendo la passione per l’odontoiatria e il lavoro di team.

Buona lettura

 

 

Da quale caso può iniziare un giovane odontoiatra che si avvicina alla protesi fissa?

Certamente dal dente singolo: l’intarsio, la corona. Spesso i colleghi giovani vanno o incoraggiati, intravedendone le potenzialità, o all’opposto contenuti, qualora traspaia un eccessivo entusiasmo clinico: il famoso assioma primum non nŏcēre va a braccetto mai come ora con la necessità protesica di preparare poco e bene, “essere conservativi” e minimamente invasivi, che poi è un leitmotiv dell’intera odontoiatria e di tutta la medicina attuale. Fissare step operativi e procedurali in un progressivo percorso formativo, alzando via via l’asticella delle difficoltà dei singoli casi da trattare, fa parte di un percorso legato alla gestione complessiva e “3D” che occorre acquisire gradualmente.

Ortodonzia e protesi: quale rapporto?

Il loro rapporto è molto stretto. Correggere protesicamente pazienti originariamente ortodontici non solo ha dei limiti, ma contrasta con l’essere minimamente invasivi: si finisce facilmente per sacrificare struttura dentale sana in nome della simmetria e dell’allineamento. Anche il protesista, ma direi ogni figura odontoiatrica anche super specializzata, deve avere quella visione d’insieme tale per cui anche se non pratica direttamente le altre branche, le deve conoscere e saperne intuire e proporre le necessità cliniche, per il bene del paziente, che va anteposto a tutto. Tra queste, l’ortodonzia, da concepire come vero e proprio potente strumento correttivo pre-protesico, capace di mutare drasticamente un piano di terapia sia legato al recupero del dente singolo compromesso sia in casi di media-elevata entità ed estensione orto-protesica.

Rapporto Protesi/parodontologia quali sono i punti critici?

Svolgendo da più di un ventennio entrambe le discipline, questo è un aspetto a cui tengo particolarmente. La linea di confine tra le due discipline, che devono necessariamente andare insieme, è rappresentata dai tessuti gengivali. Parlerei di sinergie più che di criticità. Ogni lavoro protesico deve esprimere quella triade ideale che tanto i nostri illustri Maestri protesisti e parodontologi ci hanno insegnato, e tra loro i più grandi soprattutto italiani (che orgoglio!): l’integrazione biologica, estetica e funzionale, che ogni protesista deve garantire. Da un punto di vista parodontale, sebbene la definizione di ampiezza biologica sia di recente mutata nel lessico, non è variata nelle misure, che restano quelle ben note. Concetti parodontali nuovi e più recenti devono essere appresi e saputi applicare quotidianamente, ad esempio l’esposizione chirurgica del margine o la sua rilocazione coronale. Questi concetti hanno rivoluzionato alcune procedure soprattutto restaurative, sempre nella logica della minima invasività e del rispetto di queste misure, nonché in rispetto dei protocolli clinico-operativi alla base di un’odontoiatria odierna d’eccellenza. Dal punto di vista protesico su tutte sicuramente BOPT (indicata in casi sani) e VEP (indicata in casi di elementi affetti da perdita di attacco limitata, fino a 3 mm), costituiscono brillanti rielaborazioni della preparazione verticale che è tornata in auge negli ultimi anni anche in nome della minima invasività. Il buon protesista non deve appartenere a parrocchie o far parte di filosofie “totalitarie”, deve sapere preparare poco e bene e abbinare il tipo di finishing ideale al singolo caso: perio-protesico e quindi chirurgico, o sano (non chirurgico), distinguendone indicazioni, vantaggi e svantaggi, e deve essere supportato da un laboratorio che negli anni ha subìto una sorta di rivoluzione alla quale deve essersi potuto adeguare.

Qual è il vantaggio di un approccio minimante invasivo in protesi fissa... e quale lo svantaggio?

Il vantaggio è intuitivo: l’assioma “preparare poco e bene” rappresenta garanzia di poter essere conservativi e rispettosi della struttura dentale, in primis. Ciò conferirà longevità ai lavori protesici così eseguiti e darà possibilità al protesista e al paziente di poter “rientrare” in caso di fallimento con maggiori probabilità terapeutiche. Tra gli svantaggi (relativi) direi che preparare cercando di rimanere nello smalto o nell’interfaccia smalto-dentinale non è facile. Inoltre, benché la merceologia dei materiali ci stia aiutando sempre di più, in particolare nell’era monolitica, non dobbiamo dimenticare che (e lo dico da ex odontotecnico), stratificare in particolare, o comunque riabilitare a spessori ridotti, mette spesso il laboratorio in condizioni di difficoltà tecnico-operative di non sempre semplice risoluzione.

Nelle riabilitazioni protesiche complesse quali sono le competenze interdisciplinari da mettere in campo?

Direi davvero tutte. Durante la didattica faccio sempre due esempi, uno riferito all’edilizia, l’altro al mondo della musica. Il riferimento edilizio-protesico lo raffiguro spiegando che la protesi equivale al tetto di un edificio nuovo o da ristrutturare, dove per tetto protesicamente intendo la o le corone definitive. Prima di costruirlo, si va in cantina a verificare le fondamenta (endodonzia-parodontologia), seguono poi serramenti, pavimentazioni, impianti elettrico, idraulico, finiture, eccetera (le altre discipline).
Il riferimento musicale è rappresentato invece dal protesista, l’equivalente di un direttore d’orchestra: stabilisce i tempi, gli step di intervento, coordina le altre figure, quando occorre fa respirare il paziente o se serve serra i tempi, e chiude il caso al momento opportuno. Anche se nella stessa figura non coincidono le diverse discipline, è importante che il protesista abbia competenze chirurgiche (orali e maxillo-facciali), parodontali, ortognatodontiche, endodontiche, conservative… e che si ponga in un contesto di condivisione e confronto con ogni collega coinvolto, facendo sì che il paziente si senta preso per mano e condotto da un coordinatore, in un contesto di “team terapeutico”, che gli faccia percepire di essere seguito, curato, se serve coccolato e posto al centro di un progetto nel quale sia l’attore principale. Ogni altra figura specialistica coinvolta deve avere conoscenze basilari legate alle altre discipline, perché solo avendo una visione 3D o d’insieme ci si sentirà parte di un team multi-disciplinare e forte. Lavorare in squadra rafforza le potenzialità e le virtù del singolo: se il singolo poi vuole acquisire conoscenze plurime o specifiche e desidera crescere, il gioco è fatto.

Cosa si intende per approccio funzionale e che vantaggi offre?

Come sai bene, nel nostro studio di Milano ci occupiamo in team e da parecchi anni in modo approfondito di tali aspetti insieme al mio socio Alessandro Nanussi.
Non esiste estetica e riabilitazione protesica senza funzione. Oggi la funzione intesa a 360° riguarda fortunatamente non solo l’odontoiatria, ma l’intera medicina in genere, in modo globale. Il paziente viene inteso sempre più come “paziente in toto”, e come persona che deve stare bene. Avere un approccio funzionale significa pensare di riabilitare un paziente protesico considerandone gli aspetti stomatognatici come parti integranti di un insieme, da cui è difficile prescindere. Registare i parametri funzionali significa in primo luogo tenere in considerazione e rispettare i movimenti delle articolazioni nel progettare le strutture e i disegni anatomici degli elementi dentali, in particolare quelle occlusali, che con le stesse si muovono influenzandosi ed essendo correlate reciprocamente. Inoltre, non dimentichiamoci una cosa molto semplice e oggettiva: attorno agli elementi dentari vi sono i muscoli. Se i denti occludono e lavorano bene, è doveroso considerare se la stessa cosa la faranno anche i muscoli reclutati dal carico occlusale nei tragitti di disclusione dall’attività masticatoria. I due aspetti sono per forza collegati. Gli ausili strumentali che la moderna odontoiatria offre oggi sono a nostro modo di vedere fondamentali.

Dinamiche posturali e protesi fissa: qual è il rapporto?

Domanda challenging… lascerei la risposta ad Alessandro Nanussi, credo in pochi avrebbero affiliazioni più centrate sul tema.

«Forma e funzione devono coesistere entro un range di adattamento che è variabile da un paziente all’altro e, in momenti diversi, nello stesso paziente», interviene Alessandro Nanussi. «Una situazione posturale compromessa può talvolta rappresentare una potenziale interferenza con la funzione stomatognatica, perché tutto il complesso cranio-cervico-mandibolare è correlato al resto dell’apparato locomotore. Quindi anche la posizione di intercuspidazione (non ne esiste una ideale, ma c’è un range di posizioni possibili) può essere più o meno “integrata” negli schemi funzionali che il paziente adotta per gestire i contatti dentali, i tragitti di disclusione, i cicli masticatori, la deglutizione. Ne deriva che alcune volte la percezione di comfort su una nuova riabilitazione protesica, o la presenza di forze occlusali non equilibrate, o un lavoro dei muscoli masticatori fortemente adattato, possono essere il frutto anche di interferenze extra-stomatognatiche sulla posizione e sulla funzione della mandibola.
In questo approccio può essere quindi utile indagare sulla salute posturale del paziente collaborando in un contesto multidisciplinare con chi si occupa della sua riabilitazione generale, per non “ereditare” una funzione stomatognatica imprevedibilmente afflitta da forti anomalie posturali, quindi potenzialmente difficile da gestire. Svolgere una terapia protesica che richieda da parte del paziente il minimo adattamento possibile contribuirà a migliorarne l’accettazione, evitando che sia il paziente a dover compensare dis-funzionalmente schemi occlusali stabiliti in modo arbitrario: nella maggior parte dei casi saranno tollerati, ma in pazienti posturalmente sofferenti o emozionalmente sollecitati, notiamo sempre più che le forze in gioco possono determinare sovraccarichi a vari livelli e dunque potenziale imprevedibile insuccesso, che naturalmente cercheremo di intercettare e se possibile evitare».

A che punto siamo con il digitale in odontoiatria?

Siamo ben oltre il presente. Il digitale, che ha dapprima stravolto i laboratori, si è impadronito anche dello studio dentistico e rappresenta un “treno” di inevitabile coinvolgimento, con possibilità presenti enormi e potenzialità future crescenti e interessantissime. Purtroppo, dobbiamo paradossalmente riscontrare che gli istituti tecnici-professionali su base artigianale sono in crisi di presenza e di nuove iscrizioni, e questo deve fare riflettere. Ciò che fino a pochi anni fa rappresentava un percorso protesico molto sofisticato e ricco di tecnicismi - basti pensare ad esempio alla condilografia - oggi è di più rapido utilizzo, di maggiore fruibilità e di più semplice esecuzione (condilografia e assiografia digitale, registrazione dei movimenti individuali del paziente, settaggio di un articolatore a valori individuali, real movement e integrazione di set-up, smile design, cefalometria...). Inoltre, spesso un’ipotesi terapeutica risulta protesicamente più complessa e invasiva rispetto a quella che può essere formulata sulla base di una ipotesi di trattamento ortodontico preliminare.
Oggi, infatti, grazie al digitale è possibile integrare un set-up virtuale nel contesto dello studio tridimensionale delle arcate e del loro rapporto statico e dinamico, nel rispetto sia dei parametri cefalometrici sia di quelli estetici, portando a sviluppare un’ipotesi terapeutica realmente predittiva. Le scansioni facciali, ad esempio, sono oggi il tema del momento, per una serie di motivazioni difficili da riassumere in breve, ma che vanno almeno citate.

 

5 minuti con Cristian Coraini - Ultima modifica: 2024-05-23T16:43:30+00:00 da Luigi Paglia
5 minuti con Cristian Coraini - Ultima modifica: 2024-05-23T16:43:30+00:00 da Luigi Paglia