Pare, questa, una delle tante sentenze emesse in tema di consenso informato: se il paziente non è stato correttamente e pienamente informato è stato leso il suo diritto all’autodeterminazione; quindi se il paziente si trova nelle condizioni, perché non sa, di non volere una determinata prestazione, il medico non la può fare.
In realtà la sentenza non si limita a questo: è un aiuto anche per quei professionisti che, dopo aver ben operato secundum legem artis, si trovano costretti a difendersi avanti le Autorità togate per le conseguenze non dei propri lavori ma dei propri silenzi.
Il caso
La Cassazione era interessata di una laringectomia totale (niente di odontoiatrico, quindi, ma questo non sia di sollievo!). A un paziente, sottoposto a più operazioni chirurgiche per un cancro alle alte vie respiratorie, veniva completamente asportata la laringe a conclusione di un intervento dei cui effetti era stato reso edotto oralmente. Il primo grado aveva visto vittoriosa la struttura e i medici, il secondo gli eredi del paziente, nel frattempo deceduto. Uno dei motivi di impugnazione della sentenza avanti la Corte di Cassazione era proprio relativo al consenso e all’onere della prova “…la Corte avrebbe violato le norme che riguardano la ripartizione dell’onere della prova in ordine al rifiuto dell’intervento. La decisione sarebbe censurabile nella parte in cui la Corte territoriale afferma che il danno per il mancato consenso informato all’intervento, dal quale è derivata l’asportazione totale della laringe, quale complicanza prevedibile dell’intervento perfettamente riuscito, deve essere equiparato all’errata esecuzione dell’intervento, in quanto il paziente non avrebbe prestato il consenso a quell’asportazione e ciò sulla base di quanto dedotto nell’atto di citazione. In violazione del principio dell’onere della prova la dimostrazione che il paziente non avrebbe prestato il consenso viene dedotta dalla semplice allegazione presente nell’atto di citazione di M.A., ma tale deduzione, indipendentemente dalla idoneità a dimostrare l’intendimento del paziente, non è stata reiterata nell’atto di appello. La stessa avrebbe dovuto intendersi abbandonata, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.”.
La decisione
Così la Suprema Corte decideva: “… costituisce principio consolidato quello secondo cui la mancanza di consenso assume rilievo a fini risarcitori quando siano configurabili conseguenze pregiudizievoli derivate dalla violazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione in sé considerato, a prescindere dalla lesione incolpevole della salute del paziente. Tale diritto, distinto da quello alla salute, rappresenta, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 438 del 2008), una doverosa forma di rispetto per la libertà dell’individuo, nonché uno strumento relazionale volto al perseguimento e alla tutela del suo interesse a una compiuta informazione…” cui “… consegue, difatti:
- il diritto, per il paziente, di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico;
- la facoltà di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari;
- la facoltà di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrano maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze postoperatorie;
- il diritto di rifiutare l’intervento o la terapia e/o di decidere consapevolmente di interromperla;
- la facoltà di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze dell’intervento, ove queste risultino, sul piano post-operatorio e riabilitativo, particolarmente gravose e foriere di sofferenze prevedibili (per il medico) quanto inaspettate (per il paziente) a causa dell’omessa informazione;
- il diritto, nel caso in cui alla prestazione terapeutica conseguano pregiudizi che il paziente avrebbe alternativamente preferito non sopportare nell’ambito di scelte personali allo stesso demandate, di optare per il permanere della situazione patologica in atto e non per le conseguenze dell’intervento medico;
- il diritto, se debitamente informato, a vivere il periodo successivo all’intervento con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e le eventuali sofferenze) - predisposizione la cui mancanza andrebbe realisticamente e verosimilmente imputata proprio (e solo) all’assenza di informazione.
Alla luce di quanto precede, sono enucleabili le seguenti ipotesi di danni risarcibili per mancanza di adeguato consenso informato:
- intervento errato che il paziente avrebbe comunque accettato anche nel caso di omessa/insufficiente informazione: un intervento, cioè, che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi nelle medesime condizioni, hic et nunc: in tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale;
- intervento errato che il paziente avrebbe rifiutato: omessa/insufficiente informazione in relazione a un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento sarà esteso anche al danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente;
- intervento correttamente eseguito che il paziente avrebbe accettato: omessa informazione in relazione a un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute - da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito - andrà valutata in relazione alla situazione differenziale tra quella conseguente all’intervento e quella (comunque patologica) antecedente ad esso;
- intervento correttamente eseguito che il paziente avrebbe rifiutato se edotto; omessa informazione in relazione a un intervento che non ha cagionato danno alla salute del paziente (e che sia stato correttamente eseguito): in tal caso, la lesione del diritto all’autodeterminazione costituirà oggetto di danno risarcibile tutte le volte che, ma solo se, il paziente abbia subito le inaspettate conseguenze dell’intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse. La fattispecie in esame riguarda l’ultima ipotesi enucleata, dovendosi ribadire che, in astratto, sussiste un danno risarcibile connesso alle conseguenze inaspettate dell’intervento chirurgico, tali proprio perché la condotta dei sanitari non è stata preceduta da una informazione adeguata nei termini evidenziati in premessa, il paziente, infatti, vanta la legittima pretesa di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le conseguenze dell’intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, atteso che la nostra Costituzione sancisce il rispetto della persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive …”.
I danni lamentati e richiesti sono stati molti, è vero, ma non quelli… giusti: danno patrimoniale da invalidità temporanea assoluta, relativa e permanente, danno morale, danno alla capacità lavorativa specifica, danno esistenziale, danno alla vita di relazione: “… il giudice di merito avrebbe dovuto accertare se il corretto adempimento, da parte dei sanitari, dei doveri informativi avrebbe prodotto l’effetto della non esecuzione dell’intervento chirurgico dal quale, senza colpa di alcuno, lo stato patologico è poi derivato, ovvero avrebbe consentito al paziente la necessaria preparazione e la necessaria predisposizione ad affrontare il periodo postoperatorio nella piena e necessaria consapevolezza del suo dipanarsi nel tempo; se il paziente avesse, comunque e consapevolmente, acconsentito all’intervento, dichiarandosi disposto a subirlo, indipendentemente dalle conseguenze, anche all’esito di una incompleta informazione nei termini indicati, non ricorrerebbe il nesso di causalità materiale tra la condotta del medico e il danno lamentato, perché egli avrebbe consapevolmente scelto di subire quell’incolpevole lesione determinatasi all’esito di un intervento eseguito secondo le leges artis da parte dei sanitari; ove il paziente - come nel caso di specie - sul presupposto che l’atto medico sia stato compiuto senza un consenso consapevolmente prestato, richieda il risarcimento del danno da lesione della salute, determinato dalle non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, deve allegare e dimostrare che egli avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato; come rilevato dalla parte ricorrente, l’attore avrebbe dovuto provare, anche con presunzioni, che, se adeguatamente informato, non avrebbe autorizzato l’intervento anche nell’ipotesi di operazione salva vita”.
Il giusto danno
A prescindere da quanto ancora una volta si possa evincere circa la necessità che l’informativa data sia il più completa possibile, oggi la Cassazione ha dato anche un altro suggerimento, più operativo forse (o più prosaico): ogni azione comporta una precisa conseguenza che, ove nociva, comporta un preciso danno. Qualora foste destinatari di un atto di citazione, controllate cosa vi viene richiesto: può essere che non sia il giusto danno!