È quando sembra voler suggerire l’esperienza di Giancarlo Vecchiati, classe 1950, socio fondatore e past presidente di COI - Cooperazione Odontoiatrica Internazionale, l’associazione di volontariato odontoiatrico attiva in Italia e all’estero dal 1993, che non si è fermata neppure durante la pandemia.
L’impegno di Giancarlo Vecchiati in COI - Cooperazione Odontoiatrica Internazionale è coinciso con la nascita dell’Associazione nel 1993. Un evento non avvenuto per caso, racconta, né sulla base di una spinta emotiva, semmai come conclusione di un percorso di maturazione e consapevolezza sui temi della solidarietà, della giustizia sociale nato ai tempi del liceo classico e poi proseguito con la partecipazione dal 1983 ad attività di volontariato in Burundi, in Kenia e in Etiopia, in una Ong medica, prima con ruolo medico e poi anche odontoiatrico.
All’inizio degli anni ‘90 ci fu la svolta che portò alla nascita di COI, con la constatazione sul campo che il volontariato che si praticava allora, tipo vacanze intelligenti o turismo umanitario, con iniziative “spot”, era senz’altro lodevole nelle intenzioni, ma nei risultati serviva a tamponare i bisogni acuti dei fortunati che sapevano quando arrivava “il dentista bianco”. In più alimentava false aspettative, creava dipendenza dal volontario e non si poteva neanche dare continuità ai servizi per mancanza di un numero sufficiente di volontari. Ma soprattutto era un approccio che non aiutava a risolvere i problemi né a eliminare le cause che li provocavano, tanto meno ad aiutare l’autosviluppo delle comunità locali. Inoltre, Vecchiati constatò che in una Ong medica non si dava importanza alla salute orale e il dentista nella Cooperazione non aveva un ruolo, una dignità e un’identità come professionista della salute orale, riconosciuta e considerata. Tant’è vero che non esisteva una Ong odontoiatrica.
Così nacque il COI di cui Giancarlo Vecchiati fu il primo presidente. La prima casa dei professionisti della salute orale che affermavano con orgoglio, ricorda Vecchiati, il ruolo e l’importanza della salute orale nella cooperazione sanitaria internazionale, riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri.
Dottor Vecchiati, oggi di cosa si occupa all’interno del COI? Come si svolge la sua giornata tipo quando veste i panni del volontario?
Il ruolo che mi viene riconosciuto oggi, dopo 28 anni, continua a essere da un lato quello di punto di riferimento, animatore, continuo propositore di idee, progetti, attività, con una visione proiettata sempre verso il futuro e verso ruoli e progetti nuovi per il COI. Dall’altro, quello di essere con i volontari veterani la memoria storica dell’Associazione, garanzia dell’identità del COI, responsabile per le relazioni istituzionali e i rapporti con le comunità e i partner e tutto quel che serve...
La mia giornata dedicata al COI è un insieme di tante cose, non sempre uguale a ieri o a domani. Una giornata, ore o minuti, che spesso i soci e i volontari non conoscono, che i famigliari qualche volta mal sopportano, che ai colleghi non interessa. Una giornata che dura quasi un anno, anno dopo anno da 28 anni...
Quali problematiche cliniche affrontate più frequentemente nei vostri ambulatori in Italia e all’estero?
Se pensiamo ai progetti all’estero con contesti e problematiche diverse, il nostro Master presso l’Università di Torino è stato fondamentale perché ci ha insegnato ad avere l’approccio e gli strumenti giusti per ogni situazione.
In Burkina Faso, per esempio, dove le carie non trattate nei minori evolvono creando infezioni ricorrenti che a volte raggiungono livelli di alta gravità con exitus fatale (il NOMA), da anni seguiamo un progetto integrato di igiene, con la supervisione e la formazione degli infermieri educati in odontoiatria di base e prevenzione, dove alla base si aggrediscono i fattori di rischio comuni con le infezioni gastrointestinali e oculari e accoppiando interventi preventivi.
In Libano, invece, nei campi profughi, gli odontoiatri palestinesi sono stati formati a contrastare le infezioni crociate e questo li ha aiutati a fronteggiare la pandemia di Covid, in attesa dei vaccini. Nei progetti in Italia, le attività cliniche svolte nell’ambulatorio operante nella nostra sede riguardano la protesi sociale, l’igiene orale e le sigillature, oltre alle attività di conservativa, estrattiva, pedodonzia, ortodonzia ed endodonzia svolte negli ambulatori delle Associazioni del Coordinamento di Odontoiatria di Torino di cui facciamo parte.
Le altre attività riguardano l’Odontoiatria di iniziativa sul territorio con la conservativa sui minori con la tecnica ART (Atraumatic Restorative Treatment) nelle strutture dei richiedenti asilo, nei campi nomadi e le attività di promozione della salute orale di comunità per i minori e i nuclei familiari svantaggiati socio economicamente nelle scuole rurali e nei quartieri periferici di Torino.
E i problemi organizzativi? Non sono certo simili a quelli di uno studio privato...
Sono diversi a secondo del contesto. Se parliamo di Africa o di Paesi a basso reddito e in condizioni svantaggiate, sono sicuramente anche diversi quasi sempre da quelli di uno studio privato in Italia. Non per niente nel nostro Master insegniamo, ad esempio, a realizzare sempre un accurato studio di fattibilità per anticipare il più possibile i problemi, prima che si presentino. E i problemi organizzativi sono tra quelli.
Tra i tanti, qual è il progetto più importante a cui state lavorando attualmente?
Vista la situazione del nostro Paese e la pandemia di Covid con le sue varie conseguenze, tra cui la difficoltà a operare e interagire con Paesi al di fuori dell’Italia, ci siamo concentrati sull’odontoiatria sociale che ci vede attivi con diversi progetti in contesti diversi e con partner differenti. Operativamente quello che assorbe più energie e risorse, ma che ci sta dando molte soddisfazioni, è il progetto di “Odontoiatria sociale in rete: il Coordinamento di odontoiatria sociale di Torino”, esempio di welfare di comunità in ambito odontoiatrico, grazie alla sinergia e alla partnership tra sette realtà di volontariato – differenti per competenze, attività, esperienze e impostazioni operative – la Città di Torino e un cofinanziatore esterno bancario.
Vi state preparando a nuove sfide? Se sì, a quali?
Certamente sì. Per festeggiare il trentennale del COI, ci prepariamo a raccogliere nuove e importanti sfide, lanciando una nuova strategia di sviluppo dell’Associazione.
Tra le diverse opzioni allo studio posso citare fusioni o affiliazioni che ci permettano, per i Paesi a basso reddito, di diventare partner strategici e consulenti per Associazioni e Istituzioni che vogliano implementare progetti di sviluppo della salute orale nell’ambito di attività sanitarie di base a livello rurale e comunitario. Da ultimo, ma non meno importante, c’è la volontà di sviluppare ulteriori progetti di odontoiatria sociale, in partnership.
Attualmente, di cosa ha maggiormente bisogno la vostra associazione?
Senza dubbio la prima necessità è quella delle risorse umane, per potenziare l’associazione e metterla in grado di rispondere alle sempre maggiori richieste di intervento: abbiamo bisogno di odontoiatri, igienisti, in primis, ma anche di altre professionalità e competenze importanti in un’organizzazione con molteplici ruoli e ambiti operativi (comunicazione, logistica, contabilità, organizzazione eventi e fundraising, ASO… anche in smart working!!).
Sono necessari volontari che abbiano motivazioni di solidarietà umana e sociale, desiderio di ampliare le proprie competenze ed esperienze professionali anche attraverso una specifica formazione. Persone che abbiano voglia di mettersi in gioco accettando la sfida di operare in molteplici contesti, con modalità operative diverse dalla propria quotidianità lavorativa, al di fuori dell’ambiente “protetto e protettivo” delle quattro mura dello studio, spesso in contesti multidisciplinari e multiculturali e sociali.
Infine, abbiamo bisogno di volontari che abbiano desiderio e disponibilità a mettersi in gioco per essere odontoiatri e igienisti in modo nuovo, dedicando competenza, cuore e tempo, quest’ultimo anche poco ma quando possibile in modo continuativo. Tuttavia, sono indispensabili anche le risorse economiche ovviamente, oltre a prodotti specifici come spazzolini, dentifrici e quant’altro utile alla promozione della salute e dell’igiene orale.
In una vita sempre più frenetica e complessa, sollecitata da tanti interessi e relazioni umane, può sembrare difficile, forse anacronistica, la scelta di fare volontariato...
Io l’ho fatto come scelta di vita. Non me ne pento e la mia famiglia non mi critica se le ho portato via del tempo. Non mi dispiace aver rinunciato a “cose” o a “ruoli” per altri determinanti. I miei ritmi di vita si sono rivelati molto intensi, il mio corpo presenterà il conto, ma credo sia molto importante nella vita fare un lavoro che ci gratifichi e ci permetta, forse non di salvare delle vite, ma sicuramente di migliorare la qualità della vita delle persone e aiutarle ad avere una prospettiva positiva per il futuro.
È il privilegio di svolgere una professione sanitaria, che ci aiuta a capire che nella vita esistono valori non monetari e priorità da rispettare. D’altro canto, la qualità del mio lavoro e soprattutto il paziente ci hanno guadagnato.
Fare volontariato, incontrare persone per le quali il problema di salute orale non è forse il problema più importante della giornata, specie quando si è sotto la soglia di povertà, in contesti di degrado, marginalità sociale e polimorbilità, aiuta ad ascoltare, a capire, a scoprire che spesso dietro una bocca trascurata ci sono cause che, anche se non lo apprendiamo all’Università, dovremmo saper riconoscere e imparare a contrastare acquisendo altre competenze.
Ho imparato che il paradigma dell’approccio incentrato sulla malattia sarà sempre meno un approccio sostenibile sia per il paziente che per il sistema sanitario, sia per il singolo odontoiatra.
Ho imparato che sono fortunato, perché sono nato nel posto giusto, nel contesto giusto. L’ho capito in modo drammatico proprio nei primi anni della mia esperienza di volontariato. “Dottore deve dirmi a quale di questi bambini posso somministrare le ultime fiale di antibiotico che ci sono rimaste”. Così mi chiese la suora caposala. “Il dottor Mwiza è irreperibile, non c’è tempo da perdere...”. In quel momento capii che responsabilità enorme avevo. Decidere chi salvare e chi lasciare morire per una malattia curabile, se solo avessimo avuto più antibiotici. Allora capii che dovevo continuare e fare di più.