Parlando di odontoiatria restaurativa, nel corso degli ultimi anni, gli sforzi della ricerca e gli orientamenti della clinica si sono incentrati fortemente verso il mantenimento della vitalità dell’elemento dentale. Ciò prevede l’impiego di materiali non solamente biocompatibili, ma dotati di un ruolo attivo nei confronti dei tessuti pulpari. Prediligere la disponibilità biologica, naturalmente, non deve comportare un sacrificio in termini di lavorabilità e performance clinica. Può essere pertanto interessante una digressione su quelle che, basandosi sugli standard attuali, dovrebbero essere le caratteristiche ideali di un cemento ad uso odontoiatrico, con riferimento a quanto riferito da alcuni dei principali opinion leader del settore. Nella fattispecie, si consideri il documento di aggiornamento a cura dei Docenti di Materiali Dentari e Tecnologie Protesiche e di Laboratorio delle università italiane.
In primo luogo, come accennato, è doveroso assicurarsi delle prestazioni del materiale dal punto di vista meccanico e fisico in generale. La solubilità nei fluidi orali è una caratteristica primaria, anche se iniziano a farsi largo soluzioni atte ad isolare, anche parzialmente, il campo operatorio. Il rapporto con gli stessi fluidi dev’essere monitorato anche nel tempo, perché anche l’assorbimento di liquidi può favorire l’infiltrazione microbica e quindi la formazione di lesioni cariose secondarie. La carioresistenza in senso lato si basa ovviamente su diversi altri dati, essendo la carie per prima un complesso patologico multifattoriale. L’idrosolubilità, tuttavia, sembra ricoprire un ruolo fondamentale nello specifico di tali casi.
Il cemento, se preparato con i dosaggi consigliati, dev’essere maneggiabile con facilità: posizionato a contatto con il substrato dentale, dovrebbe disporsi a formare una pellicola sottile e fortemente adesa, anche a indurimento completo. Un’aspetto da non sottovalutare è inoltre la radiopacità: l’uso di cementi radiotrasparenti potrebbe portare a indicazioni fuorvianti nel follow up radiografico (falsi positivi ma anche falsi negativi). Anche ragionando in termini di estetica del restauro – non necessariamente per quanto riguarda solo il settore frontale – la resa si dovrebbe accompagnare alla stabilità nel tempo. Dato poi che i diversi materiali da restauro sono influenzati in maniera variabile dal cemento sottostante, sarebbe quest’ultimo a doversi “adeguare” e non viceversa.
Infine, l’altro aspetto sopracitato riguardante la biocompatibilità, in un momento in cui, come detto, si tende a conservare l’elemento vitale e preparato in maniera conservativa, al di sotto del manufatto protesico. L’onset del materiale è un momento estremamente delicato in questo senso. L’indurimento del cemento – polimerizzazione nel caso dei materiali resinosi – è a sua volta un elemento chiave per valutare la maneggevolezza del prodotto.