La sindrome della bocca urente (o BMS, dall’inglese Burning Mouth Syndrome) o glossodinia è un disturbo abbastanza frequente che interessa solitamente le donne adulte in età post-menopausale e del quale non si conosce ancora la causa principale.
Il paziente manifesta un bruciore continuo della muscosa della bocca, solitamente a livello della punta della lingua, in assenza di qualsiasi causa scatenante. Il disturbo viene riferito come “metallico” o “salato” e una volta instauratosi persiste per periodi molto lunghi, influendo grandemente sulla qualità della vita. Può comportare infatti problematiche del sonno, irritabilità, ansia, difficoltà ad alimentarsi e una diminuzione della socializzazione, con deterioramento delle relazioni e disturbi depressivi.
Solitamente, l’odontoiatra è la figura professionale che per prima entra in contatto con pazienti che lamentano questa situazione e che dovrebbe, quindi, intercettare e trattare questa patologia.
In assenza di segni fisici intraorali, afte o altre anomalie visibili, la presenza di dolore per più di due ore al giorno per un periodo maggiore di tre mesi ci deve fare sospettare di essere di fronte a questa sindrome.
Altri fattori associati spesso sono la xerostomia, le micosi del cavo orale, la presenza di bruxismo e movimenti anomali della lingua e delle guance, la presenza di denti o restauri odontoiatrici usurati che possono irritare la mucosa orale, il reflusso gastro esofageo e l’ansia.
Si ritiene che la causa eziopatogenetica sia di natura neurogena, interessando i nervi nocicettivi del gusto e in particolare della chorda tympani, ramo del nervo facciale, le cui fibre vengono sostituite da fibre sensitive del nervo trigemino ricche di recettori TRPV1, i quali attivandosi determinano il costante senso di bruciore.
La terapia della BMS idiopatica è farmacologica sintomatica con anestesici locali e antidolorifici sistemici. Talvolta possono essere utili antidepressivi triciclici, l’integrazione di vitamine B e C, la terapia cognitivo-comportamentale in combinazione con un supporto psicologico.
Un approccio multidisciplinare è quindi indispensabile per trattare questi pazienti, che con l’invecchiamento della popolazione si fanno sempre più frequenti nei nostri studi.
Luigi Paglia