La fattura è un documento complesso, che ha rilevanza giuridica sotto vari profili: quello fiscale è il primo a cui si pensa, ma c’è anche quello civilistico, come prova indiretta dell’esistenza di un rapporto fra il professionista e il suo cliente-paziente. Le regole generali della fatturazione sono contenute nell’art. 21 del DPR 26 ottobre 1972 nr. 633, che disciplina l’Iva. In questo articolo si offre una selezione di temi che riguardano la fatturazione al paziente, scelti fra quelli che possono destare dubbi applicativi.
I dettagli da conoscere sono numerosi, e dunque è sconsigliabile trascurare la loro piena conoscenza, ritenendo erroneamente che “fare una fattura” sia un’azione che si possa praticare senza apposita preparazione. Ci sono corsi specifici sulla fattura odontoiatrica, e conviene senz’altro frequentarli o farli frequentare al proprio personale.
Il duplice esemplare
Le fatture dei medici nei confronti dei pazienti sono ancora emesse in modo analogico, su supporto cartaceo. Il divieto di emissione di fatture elettroniche per cure mediche è da tempo reiterato annualmente. La fattura deve essere stampata in due “esemplari” identici, come dice la legge (e non in due “copie”): uno va consegnato al cliente e l’altro conservato per almeno sette anni da parte del professionista, per almeno dieci anni se chi emette è una STP o un’impresa.
Nel momento in cui si crea il documento si dovrà dunque rispettare questa indicazione; chi usa una stampante dovrà eseguire la stampa in sequenza di due documenti identici. La fotocopia dell’unico esemplare consegnato al paziente non può legalmente sostituire l’esemplare da conservare.
In alcuni studi, invece, si vede trascurare questa indicazione di legge, procedendo a stampare solamente l’esemplare da consegnare al paziente e inviando al commercialista il “pdf” della fattura o perfino il file “xml” che ormai quasi tutti i gestionali producono quando elaborano una fattura.
Le due “scorciatoie” sono sbagliate: la prima perché non vi è certezza che il commercialista provveda a stampare il “pdf” (e comunque la conservazione di documenti presso lo studio del consulente abbisogna di specifiche formalità preventive), la seconda perché il file “xml” non ha nulla a che fare con la fattura cartacea e i relativi obblighi di stampa e di conservazione.
La omessa conservazione del secondo esemplare delle fatture emesse, in quanto non stampato secondo legge, è una “irregolarità formale” sanzionata da un minimo di 1.000 euro fino a un massimo di 8.000 euro. Inoltre, esiste il rischio di una contestazione di irregolarità documentale, prevista dal comma 2 dell’art. 55 del DPR 633 del 1972, cui si potrebbe incorrere a seguito di un’eventuale ispezione fiscale esponendosi così all’accertamento “induttivo”.
Un’altra particolarità della fattura cartacea che non tutti conoscono riguarda il momento in cui si la si considera emessa a tutti gli effetti legali.
La legge è chiara: non è la mera stampa dei due esemplari che consente di ritenere emessa la fattura, ma la consegna materiale nelle mani del cliente/paziente o la spedizione postale dell’esemplare a lui destinato. In altre parole, se si stampa la fattura a seguito di un incasso e la si tiene nel cassetto, in termini legali quella fattura non è emessa.
Si tenga presente che l’invio per posta elettronica al cliente di un file, seppur “pdf”, che rappresenta la fattura, non surroga in alcun modo la materiale consegna o spedizione di cui si è detto.
Il bollo e il “gestionale”
Una regola speciale che impatta sulla fatturazione dei dentisti è quella che deriva dalla legge che disciplina l’imposta di bollo, che quando l’importo della fattura supera l’importo di €. 77,47 impone il pagamento dell’imposta tramite apposizione sull’esemplare cartaceo consegnato o spedito al paziente del “contrassegno telematico”.
Quando si vuole chiedere al cliente il rimborso della spesa per il bollo, una buona parte dei programmi gestionali odontoiatrici è programmata per inserire una voce apposita nella parte bassa della fattura, come se fosse un elemento a sé, avulso dalle operazioni cliniche indicate in fattura. Può anche capitare che l’importo del bollo sia escluso, dal sistema gestionale, dal calcolo dell’imponibile fiscale.
Se il gestionale opera in questo modo, è necessaria una sua correzione, in quanto l’importo del bollo, quando lo si vuole recuperare dal cliente, va trattato come una normale prestazione fatturata, essendo un suo diretto accessorio e integrazione del corrispettivo. Quindi non deve apparire nella parte bassa della fattura, bensì nel corpo: è sempre reddito imponibile e “eredita” dalla prestazione la stessa esenzione dall’Iva. Inoltre, occorre controllare se il gestionale inserisce nella fattura, in corrispondenza dell’importo del bollo addebitato al cliente, un riferimento alla legge sull’Iva diverso dal “canonico” art. 10 del DPR 633 del 1972: di solito si tratta dell’art. 15 dello stesso decreto, ma ciò è irregolare e va corretto.
Il mancato appuntamento
C’è chi ritiene che la richiesta di una somma di denaro a ristoro delle conseguenze per l’assenza ingiustificata del paziente a un appuntamento possa arginare il fenomeno e, comunque, alleviare le conseguenze economiche per lo studio. Questo comportamento da parte del paziente è però “concludente” dal punto di vista giuridico e configura la volontà di recesso unilaterale dal contratto professionale, che l’articolo 2237 del Codice civile gli offre come un suo pieno diritto, che non abbisogna di alcuna formalità e, anzi, è esercitabile ad libitum.
La stessa norma dispone, però, che il professionista ha diritto di chiedere le spese sostenute e il compenso per l’opera svolta fino al momento del recesso. In pratica, fino all’ora fissata per l’appuntamento “saltato”, per il quale, in base alla legge, non vi potrà essere alcun compenso da chiedere. Rimangono dunque da conteggiare, e poi fatturare, le “spese sostenute” e l’opera complessivamente svolta fino a quel momento.
Nell’ipotesi che il rapporto non si tronchi e che si riesca a fissare un nuovo appuntamento, si può evitare di “fare il conto” per il passato e ci si può concentrare su quel solo appuntamento mancato e sul recupero delle spese per lo stesso eventualmente sostenute, da chiedere al paziente in una successiva occasione. In genere le sole spese richiedibili sono quelle effettivamente sostenute: ad esempio la parcella dell’igienista o di un collega, le spese per il laboratorio o quelle per i materiali non recuperabili in successive sedute. In pratica, le spese che possono essere individuate in modo preciso, documentate e direttamente associabili alla mancata prestazione. Tali spese potranno essere fatturate, al momento dell’incasso, considerandole come accessorie alla cura non effettuata, che andrà menzionata in fattura.