Negli ultimi anni, l’attività clinica dell’anatomopatologo è cambiata profondamente. La diffusione della diagnosi molecolare ha permesso, innanzitutto, l’ampiamento delle conoscenze per quanto riguarda la patogenesi di moltissime patologie tumorali. In secondo luogo, ne ha permesso la caratterizzazione, ormai divenuta imprescindibile in diversi ambiti di applicazione. Per fare un esempio, al giorno d’oggi, studiare un tumore mammario omettendo l’analisi del profilo di espressione molecolare sarebbe una grave carenza, dal punto di vista diagnostico, terapeutico e prognostico.

L’ameloblastoma è un tumore odontogeno relativamente frequente, che interessa soprattutto la mandibola, con una preferenza per la fascia d’età fra i 30 e i 50 anni. Origina presumibilmente da residui cellulari della lamina dentale, residui del Malassez o dallo strato basale dell’epitelio. Pur essendo classificato come tumore benigno, esso si caratterizza per l’aggressività locale e la tendenza alla recidiva: obbliga pertanto in maniera sistematica a interventi demolitivi, che condizionano negativamente l’estetica e la qualità della vita del paziente.

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Le tecniche molecolari hanno permesso di approfondire la conoscenza della biologia dell’ameloblastoma. Una revisione giapponese, di recente pubblicazione, ha considerato le principali scoperte, alcune delle quali vengono riprese dalla presente trattazione.

Come detto, la malattia ha capacità invasiva sull’osso che la circonda, un comportamento che fa sospettare una modulazione dell’attività osteoclastica. In effetti, alcuni studi hanno evidenziato una tendenza all’overespressione dei cofattori RANK e RANKL, superiore anche a quanto osservato in altri tumori odontogeni. Un numero contenuto di lavori ha anche suggerito una doppia azione da parte del tumore, il quale, oltre a promuovere il riassorbimento del tessuto osseo, bloccherebbe l’osteogenesi.

L’aggressività del tumore seguirebbe anche altri pattern biologici, comuni ad altre patologie: l’espressione di TNF-α, che stimolerebbe ulteriormente il metabolismo osteoclastico, e quella di alcune proteasi digestive della famiglia delle metalloproteasi. Tra queste, sono state riconosciute, in particolare, MMP-2 e MMP-9.

Un altro aspetto di particolare interesse è quello concernente la genetica tumorale. Brown ha indicato la mutazione V600E a livello di BRAF come la principale nell’ameloblastoma (62% complessivamente, più comune a livello mandibolare). La proteina prodotta a partire dal gene BRAF è una componente del pathway MAPK, coinvolto nella trasduzione del segnale intracellulare. La mutazione sopracitata, comune a più tumori, rappresenterebbe un marker prognostico, in realtà positivo, perché correlato a recidiva più rara e tardiva. Esistono peraltro due anticorpi monoclonali, vemurafenib e dabrafenib, che inibiscono il gene BRAF mutato. Essi sono attualmente usati solo nel melanoma metastatico, già sperimentati in vitro sull’ameloblastoma.

Un ultimo ambito di studio, di recentissimo interesse, riguarda il comportamento delle cellule tumorali rispetto alle cellule stromali, quali, ad esempio, i fibroblasti. La comunicazione tra le due specie sarebbe mediata, in particolare, dalle interleuchine 1α, 6 e 8, che, complessivamente, promuovebbero la formazione di un microambiente vantaggioso per la proliferazione tumorale.

Riferimenti bibliografici a proposito dell'ameloblastoma

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33737992/

https://www-sciencedirect-com.pros.lib.unimi.it/science/article/pii/S1882761621000041?via%3Dihub

 

Biologia molecolare dell’ameloblastoma - Ultima modifica: 2021-05-05T06:15:01+00:00 da redazione
Biologia molecolare dell’ameloblastoma - Ultima modifica: 2021-05-05T06:15:01+00:00 da redazione