Nel panorama della pratica odontoiatrica italiana, ancora oggi, la maggior parte dei professionisti sceglie di non concentrare la propria attività clinica sul trattamento di specifiche categorie della popolazione e ha, quindi, la necessità di approfondire al meglio la moltitudine delle condizioni cliniche che può dover fronteggiare. Questo naturalmente non vuol dire che un professionista che si occupa principalmente di odontoiatria pediatrica non sia tenuto a conoscere la tematica che brevemente verrà qui di seguito trattata, ossia la presenza di bifosfonati all’interno dell’anamnesi farmacologica di un paziente. È semplicemente un dato di fatto che questo tipo di molecole sono più frequentemente somministrate a soggetti di età differente. D’altra parte, però, quando a richiedere una prestazione odontoiatrica sarà un paziente pediatrico che sta effettivamente seguendo questo tipo di cura, saranno necessarie competenze specialistiche ancora superiori.
Meccanismo d’azione dei bifosfonati
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È ormai un fatto risaputo, anche al di là dell’ambiente degli addetti ai lavori, che questo tipo di molecole siano in qualche modo collegate alla necrosi ossea dei mascellari. Si tratta di una complicanza rara ma, evidentemente, di notevole gravità e difficile trattamento. Questo aspetto è anche sotto la costante lente d’ingrandimento degli enti di farmacovigilanza, come si può rilevare immediatamente con una rapida indagine dei motori di ricerca generalisti: quest’anno, nel solo mese di marzo, l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) ha diffuso due comunicazioni su di uno dei più noti principi attivi della classe, comunicazioni prontamente recepite e diffuse dall’organismo nazionale corrispondente, l’AIFA.
Il web è estremamente utile anche per ricercare informazioni a più ampio raggio: è infatti lo stesso Ministero della Salute a integrare un capitolo dedicato all’osteonecrosi da bifosfonati all’interno delle sue raccomandazioni odontostomatologiche dedicate al soggetto adulto con malattia neoplastica. Esiste addirittura un documento a carattere monografico – di poco antecedente a quello appena citato – dal titolo Raccomandazioni per la prevenzione dell’osteonecrosi da bifosfonati, redatto a cura dell’allora Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
I bifosfonati presentano un’elevata affinità per il tessuto osseo, in particolare agiscono inibendo l’attività degli osteoclasti. Il risultato sarà, evidentemente, la riduzione del riassorbimento di matrice ossea. Questa classe di farmaci trova dunque indicazione per una varietà di patologie di tipo oncologico e metabolico a carico del sistema scheletrico: diffusione metastatica di neoplasie osteofile, mieloma multiplo, ipercalcemia secondaria a neoplasia, osteogenesis imperfecta, osteite deformante (nota anche come morbo di Paget). Oltre a queste gravi condizioni, negli anni, i bisfofonati hanno trovato utilizzo nel trattamento di varie forme di osteoporosi; tutt’oggi, le linee guida pubblicate dalla National Osteoporosis Foundation e da altri importanti organizzazioni statunitensi concordano nel definire i bifosfonati per os come una terapia di prima linea a fronte di una diagnosi accertata di osteoporosi.