Negli ultimi anni si assiste a un rinnovato interesse per la metodica dell’autotrapianto dentale, sia dal punto di vista delle evidenze scientifiche sia per la messa a punto di protocolli operativi clinici. Confrontata con una riabilitazione protesica, la sostituzione di un elemento mediante autotrapianto presenta innegabili vantaggi
L’implantologia osteointegrata costituisce una metodica riabilitativa che si distingue per gli eccellenti tassi di successo e sopravvivenza, elevati non solo nel contesto dell’odontoiatria, ma nel campo della medicina generale. Ciò vale ormai anche per gli approcci implantari immediati, ovvero postestrattivi, che trovano sempre più spesso indicazione.
Tali evidenze non implicano, tuttavia, che l’implantologia debba assurgere a senso unico nella riabilitazione dell’elemento hopeless. Negli ultimi anni si assiste a un rinnovato interesse per la metodica dell’autotrapianto dentale, sia dal punto di vista delle evidenze scientifiche sia per quanto riguarda la messa a punto di protocolli operativi clinici. L’autotrapianto consiste nella sostituzione di un elemento dentale, indicato per l’estrazione, con un altro elemento, sano, dello stesso paziente, che si trova fuori dall’occlusione o di importanza inferiore ai fini della stessa. Questo viene a sua volta estratto e riallocato nell’alveolo postestrattivo dell’elemento perso. Il trapianto dentale rappresenta, invero, una metodica operativa estremamente antica.
Il razionale moderno consiste evidentemente nel trapianto autologo e affonda le sue radici – è proprio il caso di dirlo – nella scuola scandinava degli Anni 50 e 60. Origini queste comuni, non casualmente, con la moderna parodontologia.
Machado LA, do Nascimento RR, Ferreira DM et al. Long-term prognosis of tooth autotransplantation: a systematic review and meta-analysis. Int J Oral Maxillofac Surg 2016 May;45(5):610-7.
I vantaggi rispetto alla riabilitazione protesica
Confrontata con una riabilitazione protesica, la sostituzione di un elemento mediante autotrapianto presenta innegabili vantaggi. In primo luogo, quando trova pieno successo, supera il limite biomeccanico fondamentale dell’impianto. Infatti, non viene a trovarsi – almeno non dovrebbe – in una condizione di anchilosi. Se correttamente mantenuto durante le manovre chirurgiche, il legamento parodontale dovrebbe essere in grado di riformarsi.
Ciò comporta innumerevoli vantaggi: il dente manterrebbe la funzionalità propriocettiva, sarebbe mobilizzabile ortodonticamente e non andrebbe a ostacolare lo sviluppo dento-scheletrico. Quest’ultimo aspetto rende l’autotrapianto un’opzione percorribile nel subadulto, al quale l’implantologia è preclusa fino al termine della crescita. Nel caso in cui le radici dell’elemento donatore siano in formazione, anche la vitalità del dente può essere mantenuta.
Indicazioni per la realizzazione
L’indicazione all’autotrapianto è spesso correlata – ma non necessariamente – all’età. Il primo molare permanente erompe attorno ai 6 anni. Ancora oggi, nonostante sigillature, trattamenti al fluoro e altre procedure di profilassi, non è infrequente incontrare soggetti, tipicamente cariorecettivi, con igiene orale inadeguata, magari svantaggiati dal punto di vista socioeconomico, pluritrattati a un’età giovanile.
La perdita di un primo molare, soprattutto in un paziente in crescita, può comportare seri disturbi dell’occlusione, una eventualità da evitare assolutamente. La soluzione, pertanto, può essere l’autotrapianto di un elemento in corso di rizogenesi. A un’età più avanzata, un altro elemento a fornire indicazione è l’incisivo centrale, di cui non è necessario approfondire l’importanza nell’estetica del volto. Il centrale superiore rappresenta anche l’elemento più frequentemente coinvolto dai traumi. Un elemento avulso o fratturato permanente debitamente conservato, trattato e mantenuto può e deve essere salvato, anche a costo di trattamenti reiterati.
Nel caso in cui l’odontoiatra si trovi impossibilitato al mantenimento, una soluzione può essere l’autotrapianto, ad esempio di un premolare, da sottoporre successivamente a trattamenti di mimesi. Le ultime potenziali indicazioni, sempre nel paziente giovane, sono agenesie e disturbi dell’eruzione.
Escludendo i terzi molari, gli elementi più frequentemente coinvolti sono il secondo premolare e l’incisivo laterale: soprattutto quest’ultimo può essere sostituito mediante autotrapianto. Per quanto riguarda l’inclusione, l’elemento più spesso interessato è ancora il terzo molare. Un elemento più strategico dal punto di vista funzionale, abbastanza frequentemente affetto da disturbi dell’eruzione, è il canino superiore. Nei casi in cui la disinclusione risulti non percorribile, avulsione e autotrapianto potrebbero rappresentare la soluzione.
Rispetto ai casi precedenti, questi ultimi dovranno differenziarsi necessariamente dal punto di vista chirurgico, dato che il sito ricevente non è rappresentato da un alveolo postestrattivo.
Armstrong L., O’Reilly C., Ahmed B. Autotransplantation of third molars: a literature review and preliminary protocols. Br Dent J 2020 Feb;228(4):247-251
Le tecniche più utilizzate
La tecnica di base può essere adeguata al quadro clinico e anche alle tecnologie a disposizione.
Luca Boschini, una delle autorità sul tema, non solo in ambito italiano, ha proposto una tecnica semplificata per effettuare terapia canalare e apicectomia extraoralmente. In un altro lavoro, ha risolto un’inclusione complessa di canino con l’autotrapianto del dente.
Parlando di tecnologia, Peña-Cardelles e colleghi hanno realizzato una replica stereolitografica del dente donatore allo scopo di preparare alla perfezione il sito ricevente prima dell’estrazione.
Autori come Strbac o lo stesso Boschini hanno impiegato software implantari allo scopo di pianificare l’autotrapianto ed effettuare l’intervento tramite chirurgia guidata, ovvero con l’uso di una guida chirurgica.
L’aspetto che colpisce maggiormente sono le forti affinità con l’implantologia. Questo pone l’autotrapianto non come un concorrente, ma come una naturale alternativa a questa, soprattutto nei pazienti più giovani.
Al chirurgo orale non è richiesta una particolare conversione, in termini di strumentazione, ma il semplice rispetto di indicazioni e protocolli ormai consolidati per poter eseguire un autotrapianto.