Questo tipo di connessione sta raccogliendo sempre più consensi. Vediamo quali motivi conducono al suo utilizzo
L’implantologia osteointegrata, dal punto di vista chirurgico, ha raggiunto livelli di predicibilità estremamente positivi. I tassi di sopravvivenza e di successo sono assolutamente elevati non solo se valutati in ambito odontoiatrico, ma anche da un punto di vista medico in senso lato. L’implantologia, tuttavia, non è una disciplina esclusivamente chirurgica, bensì chirurgico-protesica. La parte protesica, al pari dell’aspetto chirurgico, se non di più, negli ultimi anni ha subito innovazioni sostanziali. L’attuale generazione della componentistica implantare è in grado di offrire performance eccellenti e di implementare la biomeccanica protesica, massimizzando i risultati funzionali ed estetici.
• Gehrke P., Burg. S., Peters U. et al. Bacterial translocation and microgap formation at a novel conical indexed implant abutment system for single crowns. Clin Oral Investig 2021 Aug;16. doi: 10.1007/s00784-021-04112-2.
I limiti del sistema avvitato
Uno degli aspetti che più caratterizzano una sistematica implanto-protesica è rappresentato dalla tipologia di connessione tra moncone e impianto. La soluzione oggi maggiormente diffusa è rappresentata dal sistema avvitato, grazie al quale l’abutment viene solidarizzato alla fixture tramite una vite. La connessione, pertanto, dipende dal torque con cui viene applicata la vite. Questo tipo di connessione può essere soggetta a problematiche nel momento in cui il carico occlusale viene a superare il precarico della vite: ciò comporta, più comunemente, l’allentamento della vite e, nei casi più gravi, la sua deformazione o frattura. Il semplice allentamento è, evidentemente, una problematica di facile gestione: il paziente lamenterà la mobilità del manufatto protesico e l’odontoiatra dovrà accedere nuovamente alla vite. Ciò comporterà un discomfort per il paziente e un costo, diretto e indiretto (in termini di tempo) sia per lui sia per il professionista. La protesi avvitata, peraltro, presenta un limite di natura estetica costituito dalla presenza del foro di accesso alla vite, che deve essere in qualche modo mascherato. L’alternativa è rappresentata dal posizionamento di protesi cementate su abutment comunque fissati a vite. Normalmente, a questo scopo si utilizzano cementi provvisori, che consentono di accedere con facilità alle connessioni in caso di necessità.
Il ruolo del cono morse
Una soluzione alternativa alle connessioni tradizionali, in grado di superare questo tipo di problematiche, è rappresentata dalla connessione conometrica tra moncone e impianto. Questa si basa sull’accoppiamento – detto cono Morse – tra due componenti di forma conica, un maschio e una femmina.
Ciò permette di non utilizzare viti né cementi: anche l’adattamento tra l’abutment e il restauro può essere ottenuto, infatti, mediante l’utilizzo di componenti prefabbricati. Il manufatto può essere comunque rimosso mediante l’utilizzo di un apposito estrattore.
La sistematica conometrica risulta adattabile agli attuali trend protesici. Gli stessi autori, in un secondo lavoro di poco successivo al precedente, hanno affrontato l’aspetto odontotecnico attualmente trainante, ovvero l’utilizzo della tecnologia CAD/CAM. Probabilmente attingendo anche alla medesima coorte precedentemente considerata, i pazienti hanno considerato coppie di corone in disilicato monolitico su coppie di impianti, valutando però solo i casi condotti con workflow interamente digitale. Le impronte sono state raccolte mediante scansione intraorale; la progettazione è stata condotta utilizzando il medesimo software e la prototipazione con una delle sistematiche maggiormente diffuse sul mercato del settore.
• Degidi M., Nardi D., Sighinolfi G. Degidi D. The conometric concept for the definitive rehabilitation of a single posterior implant by using a conical indexed abutment: A technique. J Prosthet Dent 2020 Apr;123(4):576-579.
In questo caso, con un campione di 23 protesi seguite per due anni, non sono stati registrati fallimenti né sono stati osservati segni di sofferenza e infiammazione a carico dei tessuti perimplantari.
Ciò non esime comunque, a monte, l’implantologo da una attenta valutazione tridimensionale dal sito da riabilitare: l’ingaggio cone-in-cone è comunque impossibile in presenza di una discrepanza tra l’asse principale degli impianti tale da eccedere le capacità di compensazione degli abutment angolati del sistema protesico utilizzato.
In ultima analisi, vale la pena di fare il punto finale sulle evidenze a proposito dei sistemi conometrici. Lo scorso anno, su International Journal of Dentistry and Oral Science, è stata pubblicata una revisione sistematica. Questa ci ricorda come la metodica sia stata valutata su più materiali, compresa la zirconia. Gli autori hanno incluso nella ricerca trial clinici randomizzati e non randomizzati, studi prospettici e anche lavori in vitro.
Alla fine, sono stati inclusi sette lavori scientifici.
Per quanto non sia stato possibile attuare una metanalisi, i risultati hanno confermato il rischio contenuto di fratture (0-8.7%) e la buona salvaguardia dei tessuti perimplantari (PPD tra 1.3 e 2 mm e perdita di osso crestale media di 0.4 mm). È risultato un survival rate cumulativo del 97.4-100%. Anche i tassi di soddisfazione riguardo alla resa estetica (82-91.8%) e complessiva (79-91%), da parte dei pazienti, sono da considerarsi accettabili.