La gestione dei pazienti che seguono una terapia con anticoagulanti orali e necessitano di interventi odontoiatrici richiede grande attenzione. Prima di effettuare qualsiasi trattamento, occorre analizzare, caso per caso, il rapporto fra i benefici e i rischi. Ed è sempre raccomandato instaurare una stretta collaborazione con il medico curante. 

La terapia anticoagulante viene utilizzata in diverse condizioni per prevenire o trattare il tromboembolismo. I pazienti che assumono questi farmaci sono ad alto rischio di trombosi venosa profonda (TVP), embolia polmonare (EP), fibrillazione atriale, infarto del miocardio, attacchi ischemici transitori, ictus o sono portatori di protesi valvolari cardiache.
Nei passati decenni, il Warfarin, antagonista della vitamina K, era la molecola anticoagulante orale di scelta che presentava però diversi limiti, come un ristretto indice terapeutico e una complessa farmacodinamica, e necessitava di monitoraggio regolare e aggiustamento costante della posologia.
Ad oggi sono presenti sul mercato quelli che vengono definiti “nuovi anticoagulanti orali” o “NAO”, molecole che agiscono su specifici step della cascata della coagulazione e che superano i limiti precedenti. Sono caratterizzati da una farmacocinetica predicibile, non vengono influenzati dalla dieta, hanno un rapido on set e una breve emivita e di conseguenza non necessitano un monitoraggio così serrato come le molecole precedenti.
Tuttavia, mancano di una molecola antagonista in caso di complicanze. La Tabella 1 riassume i principali anticoagulanti e antiaggreganti orali. Nel Grafico 1 viene riportata la cascata di eventi che avviene nella coagulazione.

Tabella 1 – Farmaci anticoagulanti e antiaggreganti
Classe farmacologica Nomi dei farmaci
Anticoagulanti warfarin (Coumadin®)
Antiaggreganti clopidogrel (Plavix®)ticlopidina (Ticlid®)prasugrel (Effient®)ticagrelor (Brilinta®)aspirina
Nuovi anticoaugulanti orali dabigatran (Pradaxa®)rivaroxaban (Xarelto®)apixaban (Eliquis®)edoxaban (Lixiana®)

 

Grafico 1 - Cascata coagulativa e sede azione degli anticoagulanti

 

Terapia anticoaugulante e interventi odontoiatrici

La gestione dei pazienti in terapia con anticoagulanti orali che necessitano di interventi odontoiatrici è un momento estremamente delicato, poiché il mancato utilizzo di protocolli adeguati al controllo dell’emostasi e il rischio tromboembolico può portare a gravi conseguenze sia per il paziente che per l’odontoiatra.
Dal punto di vista odontoiatrico, se la coagulazione del sangue è alterata dall’assunzione dei farmaci, potrebbe essere rischioso sottoporsi a terapie che prevedono la coagulazione per andare a buon fine, ad esempio interventi di chirurgia orale come estrazioni, impianti, asportazioni di cisti, ma anche interventi più di routine come ablazioni del tartaro o levigature radicolari.
Nel caso di intervento chirurgico programmato, ci dovremo aspettare che il paziente che assume anticoagulanti orali produca un sanguinamento superiore al normale. Nel decidere di interrompere la terapia al fine di ridurre il sanguinamento, il rischio di esporre il paziente al rischio di fenomeni trombo-embolici si innalza inevitabilmente.
La definizione del bilancio fra i benefici e i rischi dovrà essere condotta caso per caso; la scelta del clinico deve trovare quindi indicazioni assolute in situazioni cliniche specifiche:

  • tipo di intervento chirurgico; è necessario valutare la complessità dell’intervento chirurgico e la necessità di ottenere un campo operatorio pulito, che permetta la risoluzione della chirurgia il più velocemente possibile. A riguardo, si consiglia di conservare la documentazione clinica e radiografica che attesti la complessità del caso e possa giustificare un’eventuale interruzione della terapia anticoagulante.
    Tutta la chirurgia il cui sanguinamento è controllabile con anti-fibrinolitici locali, deve essere eseguita senza interruzione della terapia anticoagulante
  • tipo di TAO; nel caso in cui il pazienta assuma Warfarin, il valore di INR (International Normalized Ratio) fornisce informazioni molto utili per predire il sanguinamento durante l’intervento chirurgico: valori di INR inferiori a 3 definiscono il paziente presumibilmente a basso rischio di sanguinamento.
    Prima di richiedere un INR, è bene consultare il medico curante, in quanto i pazienti ad alto rischio trombo-embolico vengono generalmente mantenuti a valori di INR superiori, proprio per l’elevato rischio medico associato.

Quando invece il paziente assume i nuovi anticoagulanti orali non è presente un parametro di laboratorio definito; la possibilità di sanguinamento dovrà essere dedotta dall’anamnesi del paziente, indagando sulla facilità o meno al sanguinamento durante la sua vita quotidiana.
A questa deduzione per lo più empirica, è possibile graduare il rischio con lo score di HAS-BLED, un sistema di punteggio sviluppato per valutare il rischio di sanguinamento nelle persone che assumono anticoagulanti (Tabella 2).

 

Tabella 2 - Valutazione del rischio emorragico
Lettera Caratteristiche cliniche Punti
H (Hypertension) ipertensione arteriosa sistolica > 160 mmHg 1
A Funzione renale e/o epatica Anormali (1 punto ognuna)* 1 o 2
S Stroke precedente 1
B (Bleeding) sanguinamento anamnestico o predisposizione (anemia) 1
L INR labile (< 60 % del tempo in range terapeutico TTR) 1
E Età >65 anni 1
D Uso concomitante di FANS, antiaggreganti piastrinici(Drugs) o abuso di alcool (1 punto ognuno) 1 o 2
* Per funzione renale anormale si intende dialisi renale, trapianto renale o creatinina ≥ 2,2 mg/dl.
Per funzione epatica anormale si intende una cirrosi o valori di bilirubina > 2 volte il valore superiore del normale con ALT o AST o fosfatasi alcalina > 3 volte il valore superiore del normale.

 

 

Sospensione della TAO e rischio trombo embolico

Qualora il paziente sia in terapia con Warfarin e si richieda la modifica della TAO per intervento chirurgico, l’obiettivo sarà quello di portare la capacità di coagulazione del sangue a un livello tale da ridurre il rischio emorragico senza tuttavia sottoporre il paziente a un eccessivo rischio trombo-embolico. In questo caso si porterà il valore di INR a 1,5/2 e la chirurgica odontoiatrica dovrà necessariamente essere eseguita in questa giornata. Successivamente i valori di coagulazione verranno poi riportati a livelli preoperatori.
Stando così le cose, il paziente rimane 6-7 giorni con valori di INR diversi da quelli ottimali, ed è questo il periodo in cui il paziente è a rischio di fenomeni trombo-embolici (Grafico 2).

 

 

Storicamente, quando il rischio medico veniva considerato elevato, era prassi sostituire, in accordo con il medico curante, la terapia con la cosiddetta terapia ponte o “bridging”. Essa consisteva nell’utilizzo di eparina da somministrarsi giornalmente durante il periodo in cui la TAO veniva modificata. La somministrazione di eparina, che possiede una azione diretta e molto rapida, manteneva scoagulato il paziente durante il periodo in cui veniva modificata la TAO.
La sospensione della terapia con eparina il giorno dell’intervento permetteva una “ri-coagulazione” rapida del paziente, riducendo così l’entità dell’emorragia intra-operatoria, mentre la ripresa della somministrazione di eparina subito dopo l’intervento determinava la “ri-scoagulazione” rapida del paziente, in attesa dell’azione farmacologica della TAO che si verificava circa 2-3 giorni dopo la ripresa della somministrazione del Warfarin.

Ad oggi, le nuove Linee Guida EHRA sull’uso degli anticoagulanti orali diretti (2021 European Heart Rhythm Association Practical Guide on the Use of Non-Vitamin K Antagonist Oral Anticoagulants in Patients with Atrial Fibrillation) sconsigliano fortemente lo switch all’eparina nel periodo peri-procedurale.
Per molti interventi minori è possibile continuare il trattamento con gli anticoagulanti orali diretti mentre questo va sospeso nell’ambito di procedura più invasive.
I nuovi anticoagulanti orali hanno il vantaggio di avere un’emivita plasmatica di 12-14 ore.
È proprio la maggior rapidità dell’inizio e della fine dell’effetto anticoagulante di tali farmaci che, nella pratica odontoiatrica, porterebbe a un maggior vantaggio rispetto al Warfarin, nella gestione dei pazienti da sottoporsi a trattamento chirurgico.
Considerata la ridotta emivita di tali farmaci, la sospensione della terapia può essere praticata 24 ore prima dell’intervento, assicurando una emostasi adeguata, mentre la sua ripresa nella stessa giornata ridurrebbe a 24-48 ore (vs i 6-7 giorni della TAO tradizionale) l’esposizione del paziente al rischio trombo-embolico (Grafico 3).

 

 

Conclusioni

In conclusione, l’impiego degli anticoagulanti orali in pazienti sottoposti a trattamenti odontoiatrici richiede una pianificazione attenta e una stretta collaborazione tra il dentista e il medico curante. È essenziale valutare accuratamente il rischio di sanguinamento e di coagulazione, adottando le misure necessarie per garantire la sicurezza del paziente durante l’intervento odontoiatrico. Una gestione interprofessionale efficace può contribuire a ottimizzare i risultati clinici e a garantire un’esperienza odontoiatrica positiva per i pazienti che assumono anticoagulanti orali.

 

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